Perché Fini è un grande statista, e grazie a lui la destra non è finita in mano ad impresentabili e incompetenti (Gasparri, La Russa, Storace)

Gianfranco Fini foto

Dunque, come dovrebbe essere sufficientemente chiaro a quelli che leggono abitualmente questo blog, il sottoscritto è un finiano convinto.° 

Da circa 16 anni.

E finiano lo sono, né per convenienza né per calcolo.

Ma semplicemente perché Fini, nove volte su dieci, ha un´Idea di destra che coincide perfettamente con la mia.

Talchè per me essere finiano, significa solo continuare a credere nella mia destra, che Fini rappresenta perfettamente (e ciò quantunque qualcuno definisca la destra di Fini e del sottoscritto, come il “buco con la menta attorno”!).

Fatta questa premessa, arrivo al dunque.

L´Islam.

Gioco forza la “questione Islam” è diventata una di quelle variabili, con le quali la politica con la P maiuscola deve fare i propri conti.

Abbiamo bisogno di extracomunitari.

Ci servono perché il nostro Paese ha un tasso di fertilità  femminile bassissimo (1,5%).

Se si figlia poco, si ha poca manodopera.

Se la manodopera interna è poca, dobbiamo far entrare extracomunitari.

Non è una questione “ideologica”. E´ una questione pratica!

Con l´ideologia non si governa un Paese. Al massimo si governa un condominio, e nemmeno quello!

Siccome abbiamo bisogno di extracomunitari, e siccome l´attentato alle Torri Gemelle ha prodotto una profonda diffidenza nei confronti dell´Islam, la questione delle questioni riguarda per l´appunto il rapporto che noi si deve avere nei confronti degli islamici residenti nel nostro territorio.

Premesso ciò, aggiungo giusto qualche altra parola, prima di farvi leggere una lettera inviata da Fini al Corriere della Sera.

Tanti contestano Fini.

Vorrebbero che lo stesso assumesse posizioni “più maschie”!

Vorrebbero che Fini “incarnasse” la Destra tradizionalista. Quella: Dio, Patria e Famiglia!

Quella attenta all´identità  nazionale, neanche l´identità  nazionale sia un neonato da proteggere dalle grinfie di un giaguaro (un´identità  forte, non ha bisogno di essere difesa con “mezzi protezionistici”. Un´identità  forte, sopravvive al confronto con altre culture!).

Sempre quelli che contestano Fini, vorrebbero che la Destra italiana “sbraitasse” le sciocchezze Teocon da “comari”, parrucchiere e shampiste. Del tipo: attenzione agli islamici perché sono brutti e cattivi. Attenti agli islamici, perché non esiste l´Islam buono (quello moderato e laico). Attenti agli islamici perché l´Occidente rischia di morire.

Anche qui: se l´Occidente ha da sopravvivere, sopravviverà  da solo.

Se l´Occidente è un modello di civiltà  giusta, libera, equa e democratica, dal confronto con l´Islam non può che risultare vincente. E non può che rafforzarsi.

Se gli islamici che “arrivano da noi” accettano le nostre regole e rispettano le nostre leggi, noi abbiamo il dovere di accettarli e di rispettarli.

Con un atteggiamento improntato al massimo di reciprocità !

Per finire.

Alle “comari” (alla Giuliano Ferrara, alla Antonio Socci e alla Marcello Pera) che invocano una “deriva confessionale” per il centrodestra italiano, perché convinti che l´Occidente sia in crisi spirituale, religiosa e morale, e vorrebbero che il centrodestra ostentasse il gagliardetto della “difesa dei valori dell´Occidente”, io rispondo:

Abbiamo una crisi spirituale, morale e religiosa?

Verissimo!

E paradossalmente gli islamici ci servono anche a questo.

Ci servono perché sono profondamente diversi da noi.

Noi siamo ricchi, atei e materialisti.

Loro sono poveri e molto legati ad una dimensione spirituale e frugale della vita.

Noi abbiamo ciò che a loro manca.

Loro hanno ciò che noi abbiamo smarrito.

Un liberale e un conservatore, sa che dal “confronto” deriva solo e soltanto benessere diffuso.

Un liberale e un conservatore, non può che invocare la libera circolazione delle idee, dei modelli di società  e dei valori (oltrechè delle merci e delle persone).

Un liberale e un conservatore sa che qualunque cosa è vincente, e quindi utile a tutti e giusta, solo se “resiste” al confronto.

La “società  aperta” non può essere un concetto da ribadire, solo quando si invochi uno stato meno pesante in economia.

La “società  aperta” è “il” modello di società  dell´Occidente, proprio perché non pone “barriere” pregiudiziali, religioso/confessionali o razzistiche.

E siccome non pone queste barriere, la “società  aperta” consente all´Occidente di essere quella culla di Civiltà  straordinaria che è.

Detto ciò, ecco la lettera di Fini:

Fini: «Sbagliata una legge anti-velo»

“Caro direttore, può una discussione difficile e problematica come quella sull’integrazione e sulla libertà  religiosa coincidere con le dimensioni di un velo? Senza negare il carattere simbolico del copricapo femminile e condannando ogni forma di costrizione a indossarlo (andare con il volto coperto è già  vietato dalle leggi italiane vigenti, vietare l’ostentazione di simboli religiosi, quali essi siano, è profondamente sbagliato) giova ricordare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

La Dichiarazione, all’articolo 18, recita: «Ogni individuo ha diritto alla libertà  di religione; questo diritto implica la libertà  di manifestare la propria religione, da sola o in comune, tanto in pubblico quanto in privato, con l’insegnamento, le pratiche, il culto e l’adempimento dei riti». Ma può la libertà  di culto rappresentare una minaccia alla identità  di un popolo, di una nazione? Molti ne parlano, ma pochi si chiedono quale sarà  la prospettiva per il millennio che si è appena aperto in un contesto di pulsioni e contrapposizioni religiose acuite dal fenomeno imponente dei flussi migratori e dal decadimento valoriale e demografico dell’Occidente. Secondo André Malraux, il secolo ventunesimo «sarà  religioso o non lo sarà ». Se è vero, sarà  come noi lo sapremo modellare e l’Islam, che riappare in maniera incisiva sulla scena universale dopo un’assenza di diversi secoli, giocherà  certamente un ruolo non trascurabile.

Ma quale Islam? L’integralismo, secondo il professor Mohamed Talbi, docente presso l’Università  di Tunisi, non consiste nel portare la barba o vestire un chador: in un mondo libero ognuno deve essere libero di vestirsi come crede. L’essenza dell’integralismo non è nel modo di vestire e ancor meno nella stretta osservanza del culto. Non si è integralisti perché si prega o perché si crede in Allah, benché alcuni su questo punto facciano una confusione raramente innocente. Essere integralisti islamici significa rifiutare la libertà  dell’altro, anche musulmano, che si veste e pensa diversamente. Ogni integralista, con turbante o senza, si considera infallibile e si comporta come tutore di Dio. Per questo l’integralismo ed il fondamentalismo sono sempre più minacce rivolte non solo verso l’Occidente, ma verso l’Islam stesso. In una società  multietnica e multiconfessionale, non dovrebbe creare alcun problema il fedele che prega il suo Dio. Se la libertà  religiosa è il cardine di una Costituzione liberale e democratica, il riconoscimento, ad una minoranza come quella islamica, del diritto di avere i propri luoghi di culto non contraddice il senso dell’identità  nazionale ma contribuisce a far crescere quest’identità  verso forme più consapevoli e mature. Eppure la difesa della propria identità  diventa spesso il rifugio di fronte a tutte le paure che i processi di globalizzazione provocano. Naturalmente questi timori nascono da problemi reali che derivano dalla difficile integrazione delle popolazioni islamiche nella nostra società . Certo non si può, in nome dei diritti civili che sarebbero minacciati dalla presenza islamica, negare il principio della libertà  di religione.

Di conseguenza, per riprendere le parole del cardinale Sodano: «I cristiani sono per la libertà  di culto e di religione dovunque e per tutti». E pertanto immaginare un Paese blindato agli immigrati di confessione religiosa diversa è una strada impercorribile e da rifiutare. In Italia sembra però che in troppi non si accorgano che una cultura teocratica come quella islamica male si adatta ad una civiltà  liberale come la nostra; non si tratta di impedire alle persone di diversa religione di praticare il proprio culto.

Si tratta, semmai, di non garantire permessi e diritti di cittadinanza ad immigrati che rifiutano la cultura, gli usi e gli ordinamenti del Paese ospitante. Immigrati che ambiscono ad innestare nel nostro tessuto socio- culturale, religioso, politico ed economico il proprio «credo» che spesso confligge con i principi fondamentali del nostro Stato di diritto. In troppi, specie a sinistra, non hanno compreso che il multiculturalismo non è un perfezionamento del pluralismo proprio della società  aperta e liberale. Ne rappresenta la negazione e la distruzione: accettare che si costituiscano, all’interno di una società  pluralista, identità  culturali separate e chiuse mina alla radice il pluralismo e minaccia la società  aperta. Nel futuro diventerà  pertanto fondamentale far comprendere agli immigrati islamici che provengono da Paesi dove le norme civili sono regolate dalla sola religione e dove religione e Stato formano un’unità  indissolubile, che in Italia i rapporti tra Stato e organizzazioni religiose sono molto diversi. Se le minoranze religiose hanno tra noi quelle libertà  e quei diritti che costituzionalmente spettano a tutti i cittadini senza eccezioni, non ci si può appellare ai principi della legge islamica per esigere spazi o prerogative giuridiche speciali quali, per esempio, le scuole coraniche. Per orientarsi nel difficile tema Islam/integrazione occorre pertanto tenere fermo il principio fondamentale della cultura liberale secondo cui solo i singoli individui possono essere titolari di diritti; mai, in nessun caso, i gruppi o le entità  collettive. Perché la concessione di «diritti collettivi» determinerebbe una sorta di feudalizzazione del nostro diritto positivo, calpesterebbe gli stessi diritti individuali dei membri del gruppo (basta pensare alle donne musulmane che avrebbero tutto da perdere da una mancata integrazione in una cultura assai più liberale della loro) e, nascondendosi dietro al cosiddetto multiculturalismo, porrebbe le basi per più gravi conflitti”.

Gianfranco Fini

E una standing ovation da parte mia a Fini!

° 

16 Responses to "Perché Fini è un grande statista, e grazie a lui la destra non è finita in mano ad impresentabili e incompetenti (Gasparri, La Russa, Storace)"

  • camelot says:
  • camelot says:
  • ilaria says:
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  • Davide says:
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  • paolo77 says:
  • ilCogito says:
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  • paolo77 says:
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