“Contro le tasse: perché abbattere le imposte si può, si deve”. Il nuovo libro di Oscar Giannino

Oscar Giannino foto

Una delle più grandi menzogne che la propaganda socialista e comunista è riuscita a far considerare come verità , è quella secondo cui la riduzione delle tasse – soprattutto delle aliquote più alte – aiuti i ricchi. A scapito dei meno abbienti, dello stato sociale, e dei servizi agli anziani.° ° ° ° ° 

Secondo gli impostori di cui sopra, dunque, chi invoca la riduzione delle tasse, lo fa ad esclusivo interesse dei Paperon dei Paperoni.

Una cazzata fantasmagorica!

Smentita dai numeri. Smentita dai fatti. Smentita dalla realtà .

Tuttavia, la menzogna propalata dai nipotini di Stalin&C., trova sempre terreno fertile.

E ciò che stupisce non è tanto – o solo – il fatto che essa abbia ascolto e cittadinanza a sinistra (lì dove l‘ostilità  al mercato è quasi inestirpabile), no: ciò che sconvolge è che la menzogna in questione, trovi udienza finanche a destra.

Presso certa destra, s´intende: mica tutta.

Quale destra?

Quella fessacchiotta e anacronistica degli Alemanno, degli Storace e dei Gasparri. Quella, insomma, di chi – invece di leggere, leggere e leggere; di studiare, studiare e studiare – sta lì a cianciare di cacchiate, avendo in odio la risoluzione dei problemi. Quelli della povera gente in primis.

Ché se la povertà  fosse eliminata davvero, e chi li voterebbe più i politici in questione (così come buona parte dei politici in generale)?

La povertà  fa comodo: a sinistra come a destra (e fa comodo anche ai Beppe Grillo).

“Mantenere” le persone in condizione di indigenza, di bisogno: serve a renderle “schiave” della politica. Dei partiti, e dunque dei “politici di professione” (o dei Guru dell´antipolitica).

Quelli, invece, come il sottoscritto – liberali e liberisti – che invocano a gran voce la riduzione delle tasse – così come un drastico ridimensionamento dello Stato Padre/Padrone/Padrino – vogliono espungere la povertà  ovunque essa si annidi.

Ma non attaccando e vessando chi – per merito o “per nascita” – abbia di più, giammai!

Ma tagliando drasticamente le tasse.

A tutti. E partendo dalle aliquote dei più ricchi!

E qui veniamo al dunque.

Perché dopo aver enunciato questo, il lettore cui la propaganda socialista/marxista abbia fatto il lavaggio del cervello, si chiederà : “Ma caro Camelot, ma se hai appena detto che vuoi aiutare i meno abbienti, perché cacchio dici che si debbano abbassare le tasse partendo da quelle dei più ricchi”?

A questa domanda, io che sono un “sanguigno, ruspante e parareaganiano (che ancora non s´è capito cosa voglia dire)” cazzone di destra, risponderei in modo raccogliticcio.

Quantunque disponga di discreti titoli di studio, essendo un “cagnolino“, potrei solo addurre motivazioni comprensibili ai quadrupedi (miei affini).

Talchè, siccome immagino che tra i miei lettori siano presenti soprattutto bipedi, è bene fare affidamento° su chi – in materia, ma non solo – abbia titoli più di me (essendo un bipede).

Si parla di° Oscar Giannino.

In questi giorni, Libero, offre (al prezzo di 5 euro) un suo splendido libello: “Contro le tasse. Perché abbattere le imposte si può, si deve, e non è affatto “di destra””.

E dal saggio in questione, traggo quanto necessario per spiegare il bisogno di un drastico taglio delle aliquote.

Partiamo dal caso americano:

“I tagli – scrive Giannino – hanno sempre ampliato la platea impositiva e prodotto maggior gettito nel medio periodo, come avvenne nel 1925 quando l´aliquota marginale massima sui redditi personali fu abbassata dal 60 al 28% e il gettito in due anni si accrebbe di un terzo”.

“Lo stesso avvenne sotto John Kennedy (l´amico dei mafiosi cui Veltroni dice di ispirarsi, ndr), che nel 1965 la portò dall´80 al 68%”.

“Quando quel grande rivoluzionario conservatore di Ronald Reagan fece scendere in quattro anni l´aliquota massima da dove Kennedy l´aveva lasciata a poco più del 30%, non si è trattato di una “rivoluzione per i ricchi“: negli anni 1981-89, il reddito del quintile più basso della stratificazione sociale americana crebbe del 7%, dell´8% quello del successivo quintile, del 12% quello mediano. Per effetto dei tagli reaganiani alle imposte, l´1% dei contribuenti più ricchi passò dal garantire da solo il 18% del gettito nel 1981, al 24% otto anni dopo, e il 10% più ricco passò dal versare il 44% del gettito totale al 55%“.

Leggetevi gli ultimi otto righi: almeno un paio di centinaia di volte!

Ancora:

“Quanto all´argomento centrale che tanto preoccupa in Usa e in Italia il “fronte del no” – capitanato dalla sinistra eurortodossa che, da noi, ha sempre respinto i tagli in nome del no al temuto deficit che essi creano nell´immediato – il deficit federale americano era a 208 miliardi di dollari (attualizzati a prezzi odierni) quando nel 1983 Reagan adottò i tagli, toccò i 221 miliardi tre anni dopo, ma la persistenza in essere dei tagli costrinse il Congresso ad atti di energica riduzione addirittura automatica della spesa pubblica, come la legge Gramm-Rudman, che nel 1988 aveva ricondotto il deficit a 155 miliardi di dollari”.

“Non creano il deficit, i tagli alle tasse, sono le spese pubbliche incontrollabili ad accrescere inizialmente i disavanzi, che l´Europa al contrario difende. La stessa lezione si è puntualmente riprodotta in questi anni, dopo i tagli alle imposte varati da George W. Bush”.

“Dal 2003, 7,5 milioni di posti di lavoro aggiuntivi sono stati creati negli Usa (avete letto bene?, ndr), giunti al sedicesimo trimestre consecutivo di espansione dell´economia dopo la breve frenata del 2001”

“Il risultato è stato spettacolare, e dà  ragione su tutta la linea a noi liberisti. Le imposte federali americane stanno registrando un exploit stratosferico, hanno accolto nel 2006 un extragettito di 89 miliardi di dollari più del previsto nel 2005, e si avviano a essere nell´esercizio attuale di 123 miliardi superiori al previsto nel 2006”.

Perché i tagli delle aliquote più alte, se energici e concentrati nel tempo, non sono affatto regali ai ricchi ma danno ali alla crescita, e facendo emergere imponibile accrescono il gettito e arricchiscono lo Stato. Ed è sempre stato così, qualunque sia stato il colore del governo che ha deciso in tal senso”.

Ancora a sostegno del fatto che la riduzione delle aliquote più alte, aiuti i meno abbienti:

“E´ stata una terribile battaglia, quella combattuta in questi anni dai difensori della spesa pubblica per aggredire i tagli alle imposte tacciandoli di essere solo al servizio dei ricchi, e controproponendo solo ritocchi per i bassi redditi”.

“L´esempio americano risulta ancora una volta più che mai utile. I dati sugli effetti di oltre venti anni di riduzione delle aliquote sulle diverse fasce di reddito americano sono quelli elaborati dal Congressional Budget Office”.

Nel 1984, prima della rivoluzione di Reagan, l´aliquota marginale più elevata sui redditi sfiorava addirittura il 70%“.

Oggi è scesa alla metà . Risultato, considerando il contributo al totale delle imposte federali disaggregato per quintile di reddito: quello più basso, cioè i più poveri, hanno visto abbassare la propria quota dal 2,4% del 1984 all´1,1% del totale del gettito raccolto nel 2005: il quintile più alto, i ricchi, hanno visto alzare la propria quota parte sul totale delle imposte raccolte dal 55,6% di venti anni fa al 67,3% del 2002 (chiaro?, ndr); quanto agli “ultraricchi” , il decile più alto di reddito, è passato dal 39,3% del totale del 1984 al 52% secco del 2005 (chiaro?, ndr); i “nababbi“, cioè il 5% di redditi più alti, è passato dal 28,2% di venti anni fa al 39% del 2005 (chiaro?, ndr); e infine i “Paperoni”, l´1% di redditi americani massimi, sono passati dal 14,7% del totale delle imposte raccolte nel 1984, al 25% del 2005 (chiaro?, ndr) “.

Perché con aliquote più basse i ricchi pagano di più e i poveri di meno. Si badi bene, questo effetto di traslazione si accresce e diventa “socialmente” tanto più evidente quanto maggiore e concentrato nel tempo è il taglio alle aliquote più elevate, l´esatto contrario di quanto predicano da noi i sedicenti rassicuratori della “socialità “, sempre pronti a ripetere che bisogna angelicamente procedere tagliando dal basso”.

Ancora:

“L´eterna sfida fra il liberal-liberismo (che è di Destra, ndr) e il modello socialdemocratico (che ovviamente è di Sinistra, ciao Giavazzi, salutam´ a´ sorete, ndr) è fatta di numeri, visto che i due modelli si giudicano in base alla crescita che realizzano e distribuiscono. Ed è esattamente la domanda che si è posto uno tra i più stimati macroeconomisti americani, il premio Nobel Edward C. Prescott”.

“Cinque anni fa, nel suo bellissimo Barrier to Riches, Prescott aveva esposto la sintesi delle sue ricerche intorno a che cosa impedisse ai concorrenti degli Usa di adottare la chiave del nuovo businness cycle americano, caratterizzato da forte crescita e bassa inflazione: la massimizzazione della produttività  multifattoriale”.

“Poiché è un economista serio, Prescott aveva chiesto agli economisti europei di seguire a propria volta la sua pista, per cimentarsi con studi e simulazioni”.

“Ebbene nell´aprile 2007 è finalmente avvenuto. Gunter Coenen, Peter McAdam, e Roland Straub, che prestano la propria opera di economisti a Francoforte, presso il direttorato studi e ricerche della Banca Centrale Europea, hanno finalmente portato nuovi argomenti concreti a favore di noi mosche bianche liberiste che chiediamo il calo generale delle imposte”.

“La loro ricerca è stata pubblicata nella serie dei Working Papers della Bce, con il numero progressivo 747, e il titolo Tax Reform And Labour-Market Performance In The Euro Area“.

“Anche da noi tanti stimati economisti come Luigi Spaventa e, naturalmente, Vincenzo Visco, respingevano la tesi di Prescott sostenendo che le sue regole e principi da noi non trovano alcuna conferma empirica. Sono stati smentiti, e per di più da tre guru dell´Eurotower, la culla dell´ortodossia rigorista europea, non da tre esponenti conservatori britannici seguaci di Hayek e di Milton Friedman. I tre studiosi della Bce, sono giunti, anch´essi, a conclusioni in piena linea con le tesi di Prescott”.

Se in Eurolandia si seguisse la pista di Prescott e si tagliassero tasse e contributi sociali portandoli al livello degli Stati Uniti, nel lungo termine l´economia crescerebbe del 12% e i salari del 25% (avete capito? Altrimenti rileggete!, ndr), sottolineano gli esperti dell´Eurotower. Cresceremmo di più e meglio della Cina. Nel caso italiano a un prelievo contributivo assai elevato sul lavoro, soprattutto a carico dell´impresa (24%, contro il 21,9% della media Ue-12), si sommano imposte sui consumi e sul reddito che sforano ampiamente la media dell´eurozona. “Abbassando il carico fiscale nell´area dell´euro ai livelli degli Stati Uniti – concludono gli studiosi della Bce – il risultato sarebbe un aumento delle ore lavorate e della produzione di oltre il 10% nel lungo termine””.

“Capite cosa vuol dire, che i salari aumenterebbero del 25% netto con aliquote basse? Capite che è l´esatto contrario di quanto sostengono coloro che hanno reintrodotto in finanziaria le cinque aliquote Irpef (mandando a farsi benedire la riforma introdotta da Tremonti, ndr), affermando che lo facevano contando così di poter reperire più risorse a beneficio di chi ha redditi più bassi?”.

“Mentivano. Chi alza le aliquote lo fa solo per affastellare più fieno dalle nostre tasche nella greppia dello Stato in cui partiti e governi affondano le mani“.

“Quel che conta però non è la previsione al decimale. Ma la lezione da trarre. Prelievi fiscali più bassi inducono a lavorare di più e ciò significa più fette di torta per un maggior numero di cittadini. Far finta di studiare fino a trent´anni e pensionarsi a cinquantasette come facciamo noi – e molti vogliono continuare a fare, protestando contro il cosiddetto “scalone” della riforma Maroni – significa invece tirare la cinghia e pagare più tasse, al di là  di ogni illusione”.

Il che è chiaro a tutti.

Tranne ai comunisti di sinistra e di destra (Storace, Alemanno e Gasparri). 😉

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34 Responses to "“Contro le tasse: perché abbattere le imposte si può, si deve”. Il nuovo libro di Oscar Giannino"

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