Feb 08
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Fini e Berlusconi nel Popolo della Libertà : la svolta storica al servizio della Nazione
In queste ore contrassegnate dall´annuncio della formazione di una lista unitaria – cui prenderanno parte Alleanza Nazionale, Forza Italia e altri partiti minori della Casa della Libertà -, gli italiani probabilmente saranno divisi sul giudizio da dare all´iniziativa.° ° °
Qualcuno penserà che si tratti soltanto di un´operazione di facciata: Veltroni si presenta con un nuovo partito, dunque Fini e Berlusconi hanno voluto imitarlo.
Altri probabilmente saranno disorientati: ma come si fa a cancellare – con un tratto di matita – l´identità di un partito (Forza Italia ovvero An), per confluire in tutta fretta in un nuovo soggetto politico?
In entrambi i casi, ovviamente, le obiezioni e i dubbi sono legittimi.
Anche se in parte sono frutto di conoscenze errate.
Il processo unitario nel centrodestra, infatti, non nasce oggi. Né ha preso avvio con la meravigliosa manifestazione del 2 dicembre 2006.
Il convincimento che nello schieramento contrapposto al centrosinistra, si dovesse dare vita ad un percorso unitario – e ad una fase di semplificazione -, è relativamente remoto.
E´ sufficiente, infatti, analizzare questo documento, per capire come fosse chiaro ai leader del centrodestra – già nel 2005, ma in verità anche prima -, che la configurazione della Casa delle Libertà dovesse essere superata.
E che l´obbiettivo dovesse essere un partito unitario. Entro cui far convivere liberali e conservatori, laici e cattolici, tradizionalisti e libertari, riformatori e moderati.
Un obbiettivo beninteso ambizioso e storico, difficile quanto angusto.
Ma comunque necessario.
Necessario nell´interesse della Nazione: per dare risposte più incisive e coese ai problemi del Paese. Per ridurre la frammentazione partitica, e il potere di ricatto delle micro-formazioni.
Necessario per modernizzare l´Italia.
Per darle un quadro di opzioni programmatiche, idonee a metterla al passo coi tempi.
Necessario a superare la sterile e stantia contrapposizione, basata sugli ideologismi – funesti – del ‘900.
Necessaria, dunque, per ridisegnare il volto della Nazione. Assicurandole benessere, perequazione, ed un futuro meno incerto.
La scelta, dunque, di un soggetto unitario nel centrodestra – ma eguale discorso deve farsi in relazione al Partito democratico -, non è un´improvvisazione o un colpo di teatro.
E´ una risposta seria e rigorosa alle sfide di oggi e di domani.
Sfide epocali che nulla hanno a che vedere con le dinamiche del “secolo breve”.
Allora, i modelli di politica economica – bene o male adottati nei diversi contesti europei, ma non solo -, erano (quasi) ossequiosamente keynesiani.
Partivano, cioè, da una concezione sacrale dello Stato.
Inteso come “perfezione assoluta”, come unica entità capace di assumere decisioni giuste, nell´interesse dei cittadini.
Valutavano come indispensabile l´intervento del Leviatano in economia (deficit spending).
Insomma il “secolo breve” stabilì – ovviamente con delle eccezioni -, il primato dello Stato/Padre/Padrone/Padrino.
Negli anni ‘80 (del ‘900, s´intende), qualcosa iniziò a cambiare.
Prospere apparivano quelle nazioni che, affidandosi a nuovi modelli economici (di chiaro stampo liberale e liberista), e a soluzioni bipartitiche: riuscivano a fronteggiare le nuove sfide di fine secolo, mentre altre nazioni arrancavano. O comunque realizzavano performance meno significative.
Le cose, poi, sono andate sempre più velocemente cambiando.
Fino a quando – in Europa – si decise di dare vita ad un percorso di integrazione (con il Trattato di Maastricht), culminato – per alcune nazioni – con l´adozione dell´euro.
Da allora anche l´Italia ha mutato pelle: ha rinunciato ad una moneta nazionale, alla possibilità di mutare il Tasso di sconto, alla possibilità di agire – sia pur limitatamente – sul tasso di cambio.
Ha rinunciato, soprattutto e segnatamente con il Trattato di Maastricht, alla possibilità di ricorrere al deficit spending.
Alla possibilità , cioè, di far intervenire lo stato in economia. Con massicce “dosi” di spesa pubblica, per accrescere la “domanda aggregata”.
Ha accettato – il nostro Paese – che i modelli economici del ‘900 venissero accantonati (mi riferisco ai modelli keynesiani).
Per seguire modelli liberali che, ovunque – e se ben applicati – producono maggiore ricchezza individuale, diminuzione della disoccupazione, possibilità per le classi meno agiate di migliorare la propria condizione di vita.
Il problema, però, è che malgrado le classi dirigenti del nostro Paese abbiano accettato le regole di Maastricht e la moneta unica, alla fine non hanno posto in essere politiche davvero liberali. E quindi coerenti e adatte al Trattato di Maastricht e all´adozione di una moneta unitaria.
Da qui, l´infinita serie di problemi economici che il nostro Paese si trascina dietro, da quasi tre lustri.
Mentre altre nazioni, infatti, hanno vissuto mutamenti profondi che hanno visto l´affermarsi di partiti “idonei” alle sfide nel nuovo secolo; da noi, invece, i paradigmi di riferimento sono rimasti quelli del ‘900!
Siamo l´unico Paese in Europa – e al mondo – ad avere 6 partiti che si richiamano al comunismo!
Siamo l´unico Paese in Europa – e al mondo – dove le forze politiche di centrodestra, teoricamente liberali e liberiste, a conti fatti, mostrano poca confidenza e contiguità , con i modelli economici liberali.
In sostanza: sono cambiate alcune variabili fondamentali, abbiamo perso la nostra moneta, abbiamo rinunciato all´intervento dello stato in economia, ma poi non abbiamo adeguato le “proposte politiche” dei partiti.
I quali hanno seguitato a proporre soluzioni incompatibili con le regole di Maastricht e con la moneta unica!
Perché è avvenuto tutto ciò?
Perché gli italiani – causa di ogni male della Nazione – sono un popolo conservatore, o meglio abitudinario.
Refrattario alle innovazioni e ai cambiamenti.
Diffidente verso il futuro e ogni prospettiva di modernità .
Gli italiani sono un cancro!
Un cancro che, evidentemente, si riflette appieno nella classe politica. Quest´ultima essendo lo specchio di chi la vota!
Da queste cause, gli effetti noti a tutti.
Mentre altre nazioni – penso alla Spagna o all´Irlanda – hanno scommesso sul futuro, dando vita a nuovi partiti, con programmi e soluzioni idonee alle trasformazioni epocali che il nuovo secolo portava con sé; noi italiani – bamboccioni e mammoni tutti -, abbiamo seguitato a parlare di partiti socialisti, di partiti democristiani e comunisti.
Ovunque in Europa – anche quella dell´Est – si risolveva problemi, si incrementava il reddito nazionale, l´occupazione, il benessere.
Da noi, invece, si discuteva di falce e martello, della rosa rossa o bianca.
Il 13 aprile, però, le cose potrebbero cambiare.
Quelli che lamentano l´immobilismo, l´assenza di cambiamenti e di decisionismo: hanno opzioni nuove e idonee alle sfide della modernità .
Possono scegliere di continuare a chiagnere e a fottere: in tal caso voteranno per “la Sinistra l´Arcobaleno”, piuttosto che per la Rosa Bianca o per il Centro di Starace.
Oppure possono scegliere di divenire una Nazione moderna. E un Popolo che affronti a testa alta il suo futuro.
Possono scegliere di gettare una prima pietra per l´edificazione di un nuovo sistema politico-partitico.
O di continuare ad essere una Nazione triste e arretrata: con mille partitini, con clientele a tutto spiano, con costi della politica esosi e privi di etica, con una Casta spocchiosa ed arrogante.
Insomma gli italiani sono innanzi ad un bivio: voltar pagina, o seguitare a lamentarsi.
Se si intende scegliere la prima opzione – il voltar pagina -, si deve votare il Popolo della Libertà (o il Partito democratico).
Il cambiamento è a portata di mano.
Vedremo se gli italiani ne sono consapevoli.
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