Nov 08
30
La forza delle “società aperte” risiede in alcune cose, preziosissime: la loro libertà ; il fatto che in esse sia assente ogni forma di “eticismo” confessionale (o di Stato); il fatto che esse siano permeabili alla contaminazione, dunque passibili di risentire dell´influsso di altre culture; il fatto che in esse domini il dubbio laico (e non la certezza).
Da tutto ciò scaturiscono molteplici conseguenze: nelle “società aperte” profondo è il rispetto per ogni opzione esistenziale; nelle “società aperte” ogni conoscenza viene messa alla prova dei fatti; nelle “società aperte” non esiste una verità di stato, imposta per legge e immutabile; nelle “società aperte” vigono leggi – quanto più possibile – condivise, fondate sul principio laico della ragionevolezza, e non su quello della verità dogmatica, dunque tali leggi possono mutare, perché discendono dall´Uomo e non da Dio; nelle “società aperte” convivono, in armonioso equilibrio (ove più, ove meno), uomini dagli usi e dai costumi i più disparati: essi, ogni giorno, hanno molteplici e fruttuosi scambi, le conoscenze di ciascuno si offrono agli altri, sicché chiunque può costantemente ampliare il proprio sapere, colmare lacune, e scoprire altre verità , onde arricchirsene, avere una conoscenza della “realtà effettuale” la più vasta possibile, e la meno ancorata al pregiudizio.
Libertà e dubbio; scambi e assenza di verità dogmatiche; rispetto per ogni stile di vita, anche il più eccentrico; separazione tra stato e chiesa (le leggi dell´uno non assimilano le verità dogmatiche dell´altra).
Ancor più sinteticamente, si potrebbe dire che le “società aperte” – che sono opposte alle società teocratiche di stampo islamista – si fondano sul relativismo. E diversamente non potrebbe essere.
Grazie ad esso, milioni di uomini religiosi, ogni giorno, hanno possibilità di professare la propria fede, e di farlo anche lì dove tale fede non sia condivisa dalla maggioranza dei cittadini. Allo stesso tempo, grazie al relativismo, milioni di uomini che ad un dio non credono, possono vivere la propria esistenza come pare loro più opportuno, senza rischiare la ghirba o la galera, solo perché magari non ossequiano festività ritenute sacre da taluni, o perché copulano – senza figliare – di frequente, o perché lo fanno con persone del loro stesso sesso.
Nelle “società aperte”, fondate sul relativismo, si addiviene ad un compromesso tra le “parti”. Scegliendo soluzioni legislative – il più possibile – condivise (dalla maggioranza), e tali da lasciare ogni “parte” libera di seguitare a vivere come ritiene più conveniente. Ogni soluzione è perfettibile. E per questo motivo, le “società aperte” mutano di frequente le proprie leggi: onde adeguarle al nuovo sapere, ai nuovi equilibri che sono venuti a crearsi in seno alla società , alle nuove sensibilità che sono emerse.
Le “società aperte”, pertanto, vivono cicli. Sempiternamente. Dato che in esse una Verità non trova dimora, stabile ed eterna, al loro interno s´avvicendano fasi molteplici ed assai diverse, l´una dall´altra: un eterno ritorno di nascite, crescite, sviluppi, splendori e decadenze.
Ciascuno di questi cicli, inoltre, s´appalesa in parte come meccanicamente necessitato (e quindi prodotto dal ciclo precedente), in parte come frutto delle scelte (a volte) consapevoli dei singoli individui, che in tali società vivono. Ma, siccome nulla è per sempre – e giammai lo è una fase di decadenza, di “ellenizzazione” dei costumi (leggasi: scarsa propensione a figliare) -, i cittadini delle “società aperte” – poiché anche per la “fisica sociale” vale la teoria secondo cui “ad ogni azione segue una reazione eguale e contraria” -, liberamente – ripeto: liberamente – mutano, ad un certo tratto della loro esistenza collettiva, il proprio comportamento. Onde renderlo spontaneamente idoneo alla propria sopravvivenza: dato che l´istinto che fa vivere la vita, appartiene ai singoli così come alle collettività . E se una collettività di “cittadini liberi”, appura che la condotta che in un dato momento sta tenendo, non è utile alla propria sopravvivenza, senza bisogno di una Luce o di un Faro che le indichi la Via, muta stile di vita.
Le “società aperte” mutano, appunto; le società teocratiche di stampo islamista, no.
Le prime s´arricchiscono, crescono, evolvono; le seconde rimangono sempre eguali.
Le prime, certo, sbagliano (mai quanto le seconde). Ma ogni errore serve a compiere un passo in avanti, e a migliorare l´esistenza di tutte le persone che in esse vivono. Senza errori, non v´è crescita. Senza errori, non v´è vita. Senza errori, non v´è sapere.
Solo pregiudizio, intolleranza, guerra e morte.
Grazie a Dio, l´Europa solidamente giudaico-cristiana, è una “società aperta”, liberale e fondata sul relativismo.
E non una società chiusa, arroccata su se stessa, come vorrebbe fosse Magdi Cristiano Allam (in nulla dissimile da tanti islamisti, in nulla dissimile da tanti comunisti).
“Una società liberale è una società relativista, solo per questo presupposto essa è in grado di rimanere libera e aperta ad un ulteriore cammino” (Benedetto XVI).
Se volete, votate Ok.
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