Quando le “toghe rosse” epurarono Agostino Cordova per salvare Bassolino
Dunque, come noto, in questi giorni si fa un gran parlare del terremoto giudiziario – forse una nuova Tangentopoli – che starebbe per abbattersi sui politici napoletani del centrosinistra.° °
Al centro delle indagini della magistratura, una delibera – denominata Global Service – varata dalla Giunta Iervolino (nel 2007), e con la quale si sarebbe dovuto attribuire all´imprenditore Alfredo Romeo (vicino a Francesco Rutelli), una commessa pubblica – del valore di 400 milioni di euro – per la riqualificazione del patrimonio urbano del Comune di Napoli.
Gli inquirenti sospettano che la delibera fosse – in qualche modo – pilotata. Vale a dire ritengono che gli amministratori napoletani abbiano escluso dalla gara altri competitor, per avvantaggiare Romeo.
Per quale motivo?
I magistrati – a quanto riferiscono i giornalisti -, sono convinti del fatto che Romeo avesse siglato un “accordo di spartizione” della commessa pubblica, con alcuni politici locali. In buona sostanza: la società di Romeo avrebbe vinto l´appalto, e poi avrebbe subappaltato alcune specifiche mansioni (per la riqualificazione dell´arredo urbano cittadino), a ditte “vicine” ad alcuni politici locali.
Tutto ciò, stando a ciò che da più di una settimana riferiscono i quotidiani, sarebbe provato da intercettazioni telefoniche disposte dalla Magistratura.
Ora, prima di proseguire è necessario far riferimento ad un aspetto non secondario della vicenda. Vale a dire: alla delibera di cui si è parlato non fece seguito alcuna erogazione di danaro. Cioè la Global Service è rimasta lettera morta, perché il Comune era privo delle risorse economiche necessarie a finanziare le opere di manutenzione, disposte dalla delibera stessa.
Questo è un aspetto non irrilevante della vicenda. In quanto, comunque la si pensi al riguardo, è quantomeno grottesco che da una settimana i giornali parlino dell´imminente arresto di 20/25 amministratori locali, in relazione a presunte irregolarità nell´assegnazione di un appalto pubblico che, nei fatti, mai è stato finanziato, mai si è tradotto in atti concreti, mai ha portato il Romeo ad incassare danari pubblici.
Fin qui, i fatti. Veniamo ai risvolti politici.
Dunque, come dovrebbe essere noto, presa contezza della malaparata – e per salvare il salvabile – Veltroni ha chiesto a Bassolino di dimettersi dal suo incarico, entro Natale.
Il leader del Pd, infatti, teme che lo tsunami giudiziario (di cui si è parlato) possa danneggiare – ancor più – l´immagine del partito in Campania (oggi, sul Corriere della Sera, Maria Teresa Meli parla di un sondaggio che vedrebbe il consenso del Pd al 28%: in drammatica discesa).
Bassolino, però, nemmeno ha preso in considerazione le richieste del suo segretario. Seguitando a fare lo gnorri e a prendere tempo.
Tuttavia, ciò che a me preme sottolineare, in relazione a tutta questa storia, è altro: in questo istante, finanche i politici del centrosinistra, sono concordi nell´affermare che il Pd campano e napoletano, sia da rifondare: perché indubitabilmente corrotto e rappresentato da personaggi discutibili e troppo “disinvolti” (questo blog lo racconta da 3 anni).
Questa “degenerazione” – è opinione largamente condivisa – sarebbe il frutto di una circostanza: la troppo lunga esperienza di governo di Bassolino. Il quale, magari partito col piede giusto e le migliori intenzioni, avrebbe poi finito per divenire eccessivamente acquiescente nei riguardi di comportamenti opachi, che sotto il suo “Regno” andavano radicandosi.
Insomma: pur di rimanere legato alla poltrona, il già Sindaco di Napoli – e poi Presidente della Giunta Regionale campana – avrebbe finito per tollerare, magari assecondandolo addirittura, il malaffare prodotto dai “suoi uomini”.
E qui, allora, arriviamo alla questione che è al centro di questo post.
Visto che indiscutibilmente, la Napoli di Bassolino ha seguitato ad essere – come nella Prima Repubblica di Gava, Pomicino, Di Donato e De Lorenzo -, la terra del malaffare diffuso, come mai la Magistratura, soprattutto quella inquirente, non ha provveduto – se non con estremo ritardo – a “bonificare” il territorio? Come mai, insomma, la Procura di Napoli ha chiuso un occhio, se non tutti e due, dinanzi a fenomeni di corruzione che si vuole – ora – di così ampia portata?
La risposta è semplice: Napoli non è solo la sua classe politica, probabilmente corrotta. Napoli è un blocco sociale dominante, molto articolato e frastagliato al proprio interno, che contempla soggetti potenti. Che hanno protetto Bassolino, e che hanno ostacolato qualsiasi tentativo di porre argine ai fenomeni corruttivi che, sotto il suo Regno, venivano manifestandosi.
Questo blocco sociale dominante, come s´è già detto, contempla diversi soggetti. Innanzitutto, indiscutibilmente tutti i giornali locali: il Mattino, il Corriere del Mezzogiorno, l´edizione napoletana di Repubblica.
Per più di due lustri, “casualmente”, la direzione di tali testate giornalistiche è stata affidata a persone che avevano militato nel Pci napoletano (o campano): penso, ad esempio, all’ex direttore del Mattino, Paolo Gambescia (che, infatti, poi è divenuto parlamentare dei Ds); e penso, ad esempio, al direttore dell´inserto napoletano del CorSera, l´ex comunista Marco De Marco (ancora in carica).
E´ ben difficile, capirete, che una persona che abbia militato nello stesso partito di Bassolino, in gioventù (e che magari sia ancora di sinistra, il che è più che legittimo), vada poi a parlare male di lui, e denunci gli illeciti che la sua coalizione va facendo.
Ma fin qui, nulla di illegale: i giornali vengono editati e sono di proprietà di privati, i quali possono affidarne la direzione – e ci mancherebbe pure! – a chi pare loro.
Gli editori possono fare ciò che loro più aggrada, e noi cittadini muniti di blog, ci riserviamo il diritto di raccontare – con altrettanta legittimità – queste cose. Perché anche la stampa ha “coperto” le malefatte di Bassolino (e lo ha protetto).
Ma non è finita qui. Perché sul banco degli imputati, non può che sedere anche la Magistratura. Soprattutto una sua “corrente”, che per anni nella Procura di Napoli ha spadroneggiato: Magistratura Democratica. Vale a dire la corrente di sinistra dei togati. Che ha protetto Bassolino, allontanando – negli anni – chi cercava di indagare su di lui.
Com´è avvenuto nel caso di Agostino Cordova, il “Mastino napoletano”.
L´uomo che osò sfidare i suoi colleghi di Procura, ed osò sottoporre ad indagine il Re di Napoli: e per questo motivo fu epurato, in nome della “incompatibilità ambientale” (ad opera dell‘organo “politico”, noto come Consiglio Superiore della Magistratura).
Oggi è stato intervistato dal Corriere della Sera, e ha ripercorso i suoi anni a Napoli:
è una nuova Tangentopoli oppure una Tangentopoli di quei partiti che furono «salvati» negli anni Novanta? (chiede la giornalista).
«Propendo per la seconda ipotesi. Tangentopoli che non è mai scomparsa: è un fenomeno endemico».
Magistratura democratica, la corrente di sinistra, preferì lei a Falcone quando si trattò della Superprocura.
«Non ero una toga rossa ma, per loro, quasi. Avevo persino inquisito Gelli e la P2, oltre alla giunte democristiane calabresi! Quindi venni inteso come un imitatore di Mani Pulite. Ben presto però a Napoli si sono resi conto che quanto a colori politici io sono daltonico».
Cioè?
«Non vedo il colore di chi commette i reati. Lo dissi chiaro nel 1995 quanto ebbi il primo grosso scontro pubblico con il sindaco Bassolino, per due indagini sul Comune. Giornali locali e agenzie di stampa riuscirono persino a storpiare la parola, perché non si capisse quello che avevo detto. Scrissero “cattolico” e non “daltonico”».
E poi che successe?
«Andai avanti, non me ne curai molto. Nel 2000, il Csm mi diede atto della “mia notevolissima capacità professionale”. Che avevo condotto “la Procura di Napoli a un’efficienza organizzativa mai raggiunta in passato” e che ero “un magistrato inquirente insensibile a pressioni condizionamenti o attacchi di qualsiasi tipo e genere”. Eppure un anno dopo, partì il trasferimento e fui espulso».
Il «rinascimento di Napoli» finì in mondezza, lei se ne è occupato?
«Negli ultimi tempi, intervenni 18 volte sui rifiuti e nel 2006 chiesi per ben tre volte alla Commissione Antimafia di acquisire le relative note di cui indicai data e numero di protocollo. Non ne ho più saputo nulla».
Oggi è necessaria la riforma della giustizia?
«Sì. Bisogna adeguare organici e strutture alle esigenze di giustizia e non il contrario, evitare amnistie e indulti che rendono eventuali, remote ed aleatorie le pene, mentre quelle di mafia sono immediate ed inappellabili. E riformare il sistema elettivo del Csm, in quanto è contro il principio di trasparenza che gli eletti valutino e giudichino i propri elettori e procacciatori di voti. La riforma potrebbe avvenire con l’estrazione a sorte tra le varie fasce di magistrati, o per designazione del Capo dello Stato».
Se volete, votate Ok.
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