Gen 09
17
Federalismo fiscale. Più tasse da pagare?
Sono necessarie alcune premesse.
Innanzitutto, checché se ne pensi, il Federalismo fiscale – almeno in teoria – può risultare utile al Mezzogiorno d´Italia, più che al Settentrione.
Perché?
Per un semplice motivo: le amministrazioni locali del Sud Italia, hanno sempre sprecato ingenti risorse economiche. E lo hanno fatto, sapendo che Pantalone – lo Stato centrale – avrebbe poi messo le cose a posto, trasferendo altri danari, onde ripianare i disavanzi di bilancio.
Ora, con il Federalismo fiscale, quest´andazzo non potrebbe più continuare (teoricamente). E per il Meridione sarebbe cosa utile: le risorse economiche verrebbero impiegate con maggiore parsimonia; non verrebbero sprecate per fare clientele; il cittadino potrebbe avere, a fronte delle tasse che paga, servizi più efficienti.
Dunque, almeno teoricamente, a fare il tifo per l´introduzione del Federalismo fiscale, dovrebbero essere prima di tutto i meridionali.
Questa, la prima premessa; passiamo alla seconda.
Quando il governo Berlusconi, l´estate scorsa, varò la manovra triennale – che prevedeva, tra le tante cose, l´abolizione totale dell´Ici e la detassazione di premi, incentivi e straordinari -, Tremonti ebbe a dire che l´abbattimento generale della pressione fiscale, sarebbe arrivato – in futuro – come “dividendo del Federalismo fiscale“.
Un modo abbastanza chiaro, per dire quanto segue: “Soldi per abbassare le tasse, non ce ne sono. Siccome, però, stiamo lavorando all´introduzione del Federalismo fiscale; e siccome lo stesso dovrebbe spingere le amministrazioni locali ad un uso più oculato dei danari dei cittadini (e generare, dunque, risparmi), la riduzione generalizzata delle tasse avverrà ad opera delle Regioni (e delle Province e dei Comuni), quando il Federalismo stesso sarà pienamente operativo”.
Se ne dovrebbe desumere, quindi, che il Federalismo fiscale – quale “tratteggiato” dalla Bozza Calderoli – abbia in sé tutte le caratteristiche per garantire, una volta entrato in vigore, un abbassamento generalizzato della pressione fiscale.
Ma le cose stanno davvero così?
Assolutamente no! E questo è il problema.
Ad esserne convinti, sono in tanti: anche molti leghisti.
Quando, ad esempio, la Bozza Calderoli fu presentata, il responsabile economico della Lega – Massimo Garavaglia – ebbe a dichiarare:
“Più che di risparmio immediato, da domani si avrà un sistema più competitivo“.
“A regime, ovvero nel giro di cinque anni, il risparmio a famiglia si aggirerà attorno ai 500 euro all’anno, sempre se si riuscirà ad aggredire il mostro: ovvero l’evasione fiscale, che è distribuita in maniera molto difforme, e la spesa pubblica improduttiva, anche questa distribuita in modo assolutamente difforme“.
Ricapitolando: se domani dovesse essere introdotto il Federalismo fiscale, noi cittadini non avremmo un risparmio immediato: per conseguirlo, dovremmo aspettare circa 5 anni (e guadagneremmo, comunque, poco: 500 euro annui a famiglia). Inoltre, tale risparmio potrebbe appalesarsi – nella forma della riduzione della pressione fiscale – solo se si riuscisse “ad aggredire il mostro: ovvero l´evasione fiscale“, e solo se si riuscisse a tagliare “la spesa pubblica improduttiva“.
Che un po´ come se io dicessi che comprerò una Ferrari, il giorno che mi capiterà di trovare per strada 500.000 euro. Né più, né meno.
Non solo.
Sempre la Bozza Calderoli – e qui lo si è detto fin da subito – prevede (a favore di Comuni e Province) la possibilità di far ricorso a nuovi balzelli:
“per particolari scopi quali la realizzazione di opere pubbliche ovvero a finanziare oneri derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilità urbana“.
Cioè: non solo non v´è certezza che il Federalismo fiscale comporti un abbattimento delle tasse; ma è possibile, addirittura, che esso generi un aumento della pressione fiscale. Traduco: più tasse per tutti!
Questo genere di asserzioni, non le fa solo il terroncello che qui scrive, le fanno anche molti settentrionali (e per di più di centrodestra). Libero ed Il Giornale (scritti e letti soprattutto da “polentoni”), ad esempio, fin da quando la Bozza Calderoli è stata presentata, hanno lanciato l´allarme: “Attenti: sembra ch´essa prefiguri l´introduzione di nuovi balzelli”!
“Prima osservazione. Nelle sintesi delle agenzie la bozza somiglia molto a un elenco di nuove tasse. Chiamate con il loro nome oppure camuffate con termini come «razionalizzazione dell´imposizione fiscale relativa agli autoveicoli e alle accise sulla benzina e gasolio» e «razionalizzazione dell´imposizione fiscale immobiliare». Il contribuente sa, per amara esperienza, che quando di parla di razionalizzazione a proposito di tasse è in arrivo, piccola o grande, una stangata“.
Ciò detto, va fatta una precisazione.
La Bozza in questione, contiene – all´articolo 21 – una clausola di salvaguardia finanziaria, che recita quanto segue:
“L´attuazione della presente legge deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto europeo di stabilità e crescita e non deve comportare oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato e la finanza pubblica nel suo complesso“.
Quindi, a rigor di logica, non dovrebbe costare nemmeno un euro in più, l´introduzione del Federalismo fiscale.
Eppure, come s´è già detto, più di un analista ha rilevato come materialmente sia impossibile che la sua introduzione avvenga a costo zero.
Oltre a svariati giornalisti di Libero e de Il Giornale, si è cimentato in alcune analisi anche il professor Luca Ricolfi. Che, è bene precisare, è favorevole al Federalismo fiscale (come riforma). E tuttavia, teme che così com´esso è stato congegnato, possa produrre costi aggiuntivi per il contribuente.
Si è già avuto modo di parlare di una sua analisi (che invito a leggere), nella quale egli stima possibile – per effetto del Federalismo fiscale – un aumento della spesa sanitaria nazionale di 650 milioni di euro:
“Scegliendo la Toscana (ossia la più costosa delle regioni virtuose), la spesa sanitaria nazionale aumenterebbe di 650 milioni all´anno e ben 11 regioni su 20 sarebbero rifinanziate, ossia riceverebbero più soldi di prima (perché spendono meno della Toscana)”.
Sul numero odierno di Panorama, poi, Ricolfi è ritornato sull´argomento.
“Il lato B del federalismo è il meccanismo di perequazione delle differenze di capacità fiscale dei vari territori. Tramontata la vecchia idea secondo cui ogni territorio ha diritto di trattenere una quota fissa del proprio gettito fiscale, la nuova idea che (soprattutto per merito, o demerito, del Pd e delle regioni meridionali) si è affermata negli ultimi mesi è che sia lo Stato centrale ad assicurare ai territori con minore capacità fiscale, tipicamente le regioni del Mezzogiorno, le risorse finanziarie di cui hanno bisogno per erogare i servizi essenziali“.
“Già , ma che cosa significa capacità fiscale? Più precisamente: qual è il deficit di capacità fiscale che lo Stato si impegna a perequare? Le risposte possibili sono due”.
“Prima risposta: il deficit da perequare è solo quello che deriva da un minore reddito pro capite, che ovviamente limita il gettito potenziale. Seconda risposta: il deficit da perequare è quello che deriva da un minore gettito effettivo, che a sua volta può dipendere sia da un deficit di sviluppo sia da un eccesso di evasione fiscale. Le regioni meridionali soffrono di entrambi ma, come si vede dal grafico in basso, l´ampiezza del deficit di gettito è circa il doppio di quella del deficit da sottosviluppo, e diventa addirittura il triplo per imposte molto evase come l´Iva”.
“Il problema tecnico-politico del lato B del federalismo è dunque questo: se un territorio ha bisogno di 100 per pagare i servizi che deve erogare, e in base al suo reddito potrebbe pagare 90 di tasse, ma in realtà paga solo 70, lo Stato colma soltanto il deficit da sottosviluppo (10) o anche quello da evasione fiscale (20)? Detto in altre parole: una volta colmato il primo deficit (10) in base a un principio di solidarietà , lo Stato si ferma qui, e impone al territorio evasore di aumentare le tasse locali, o ripiana anche il deficit da furbizia?”.
“Ad ascoltare la retorica della riforma federalista si direbbe che la risposta sia che lo Stato ripianerà solo i deficit da sottosviluppo. A leggere le varie bozze di federalismo, che non prevedono mai un meccanismo chiaro per impedire la perequazione ingiusta (da evasione), si direbbe invece il contrario: lo Stato finirà per assicurare a tutti gli amministratori locali le risorse di cui hanno bisogno, a prescindere dal fatto che i cittadini dei rispettivi territori paghino le tasse oppure no”.
“Quindi prepariamoci: la somma fra il lato A (risorse in base ai compiti) e il lato B (perequazione completa) ci regalerà più tasse di prima“.
Ora, voi capirete che se analisi accurate e serie – e prive di pregiudizi politici o ideologico/dogmatici -, arrivano a paventare la possibilità che dal Federalismo fiscale scaturiscano nuove tasse, quelli come me – e tanti ce ne sono – qualche interrogativo iniziano a porselo. Soprattutto a causa della crisi economica internazionale.
Sarò ancora più chiaro.
Non abbiamo quattrini per ridurre le tasse; Tremonti ha detto che la riduzione della pressione fiscale verrà come conseguenza delle virtù “magiche” del Federalismo fiscale; a quanto pare, però, non solo il suddetto Federalismo non appare idoneo – per stessa ammissione del responsabile economico della Lega – a garantire come certa, una riduzione delle tasse; ma in più, numerosi analisti postulano che dalla sua introduzione potrebbero derivare costi aggiuntivi per il contribuente.
La domanda, dunque, non può che essere una: stante la crisi economica internazionale che rende improcrastinabile una riduzione del carico fiscale (per le fasce di reddito più basse della popolazione, e per le imprese); e stante il fatto che dal Federalismo fiscale potrebbero arrivare nuovi balzelli per i cittadini; non sarà forse opportuno accantonare l´idea di introdurre tale riforma, visto che non possiamo permetterci il lusso di aspettare che le tasse diminuiscano, un giorno lontano, come eventuale – e per nulla certo – “dividendo del Federalismo fiscale“?
Ci si rende conto, o no, che nel mondo intero, i Capi di governo (o di Stato) stanno modificando i loro programmi di legislatura, mettendo da parte – in molti casi – progetti che avevano promesso di attuare in campagna elettorale, perché la crisi economica internazionale ha imposto nuove e più importanti priorità ? Ci si rende conto, o no, che finanche l´Uomo Nuovo – Obama – ha dichiarato che non potrà estendere, almeno nell´immediato, l´assistenza sanitaria a quei cittadini che oggi non ne usufruiscano (come aveva promesso in campagna elettorale), perché la crisi internazionale impone che i soldi vengano usati per ridurre le tasse, e aumentare la domanda? E ci si rende conto, o no, che la promessa di estendere la “copertura sanitaria”, è stata uno dei cavalli di battaglia più importanti di Obama, forse il principale, e grazie ad esso ha vinto?
Se lui cambia programma di governo, per adeguarlo alla crisi, possibile che non lo faccia anche il governo italiano?
Ma scherziamo, o cosa?
Il governo Berlusconi ha il dovere di attuare alcune misure, tutte indispensabili:
Aumentare le risorse destinate agli ammortizzatori sociali (cosa che pare intenzionato a fare). E affrontare con coraggio e responsabilità , il tema relativo alla necessità di rivedere l´età pensionabile. Traduzione: abrogare la controriforma Prodi, che costa 10 miliardi di euro (spalmati su 10 anni), e usare il risparmio derivante – dall´innalzamento dell´età pensionabile – come “copertura finanziaria” dei suddetti ammortizzatori (assieme ad altre risorse). Non si può consentire che dei bambini di 58 anni vadano in pensione; soprattutto se questo preclude la possibilità di garantire ammortizzatori sociali ai giovani, e per di più precari! Non risponde ad equità . Figli disoccupati, per garantire la pensione ai padri baby-pensionati?
Ancora.
Tagliare spesa pubblica e sprechi, magari con una manovra correttiva, onde reperire risorse finanziare da destinare ai lavoratori con redditi bassi, e alle imprese: ai primi, attraverso un ulteriore esborso una tantum – come il bonus per le famiglie -, tarato, questa volta, soprattutto sulle esigenze dei nuclei familiari più numerosi, e da erogarsi non più tardi di maggio, al fine di garantire una ripresa della domanda interna, indispensabile per contenere la decrescita del Pil, ed indispensabile per scongiurare l´eventualità funesta che, da tale decrescita, abbia a scaturire un peggioramento del rapporto deficit/Pil e del rapporto debito/Pil; alle seconde (cioè le imprese), invece, occorre dare ossigeno per il tramite di una riduzione del carico fiscale (da attuarsi come possibile), onde metterle nelle condizioni di far fronte, al meglio, al calo della domanda – interna ed estera – che le riguarderà ; in modo che esse non abbiano a dover licenziare (o che lo facciano il meno possibile).
Incentivare ogni misura passibile di contrastare la decrescita del Pil, anche quelle minime; ad esempio mettendo mano – di concerto con la Confcommercio – alla deregolamentazione (o liberalizzazione) dei saldi nel commercio al dettaglio (stabilendo, magari, che si possa vendere con i saldi, almeno una volta mese): prezzi più bassi; più consumi; più guadagni per i mercanti (dettaglianti e grossisti. E, quindi, anche più guadagni per: agenti di commercio, mediatori, commissionari ed industriali); più entrate per lo stato.
Ancora.
La crisi porterà alla chiusura di molte imprese. E questo, per quanto appaia un dramma (anche per i posti di lavoro che si perderanno), è al contempo un´occasione di profitto per taluni. Se nelle crisi, infatti, alcune aziende chiudono i battenti, questa situazione rende profittevole per molti fare impresa: la chiusura di attività di impresa, infatti, libera quote di mercato che qualcuno andrà ad accaparrarsi.
Opportuno e ragionevole, dunque, appare ogni tipo di intervento teso a facilitare – mai come in questo momento – l´intrapresa. Più alto sarà il numero di nuove imprese – e più rapidamente esse nasceranno -, e minore sarà l´impatto della crisi sul Pil e sull´occupazione.
Il governo, ammesso sia possibile (e ammesso non esistano già provvedimenti analoghi), dovrebbe prevedere misure di questo tipo: stabilire con nuova legge da promulgare, che per dieci anni ogni nuova impresa abbia a pagare zero euro di tasse. Purché garantisca alcuni obiettivi di “interesse collettivo”: entro il quinto anno dalla sua nascita, per continuare a fruire della completa defiscalizzazione, l´impresa dovrà aver assunto almeno un lavoratore. Garantendo questa condizione, potrà continuare a fruire di altri 2 anni di tasse zero. Al termine dei quali, e se vuole continuare a non pagare tasse per i restanti 3 anni, dovrà aver garantito almeno un altro posto di lavoro. In questo modo, attraverso questo scambio – zero tasse a favore delle nuove imprese, in cambio di nuove assunzioni -, il governo – ripeto: ammesso sia possibile -, potrebbe intervenire per frenare fortemente la disoccupazione. Unioncamere, qualche tempo fa, stimava che in condizioni normali ogni anno nascano 200.000 nuove imprese. In condizioni normali. Nonostante la crisi, e grazie alla possibilità di pagare zero tasse per 10 anni (in cambio di due assunzioni), potrebbero nascerne anche di più.
Per chiudere.
Per rendere minimo l´impatto della crisi sulla nostra economia, c´è tanto da fare.
Questo comporta – necessariamente – la ridefinizione del programma di governo.
Dal quale, e per le ragioni che si è esposto, va espunto il Federalismo fiscale.
Update del 18:
Devo fare una rettifica. Leggendo, infatti, un articolo di Marino Longoni apparso ieri su Italia Oggi, ho scoperto che la clausola di salvaguardia finanziaria cui si è fatto riferimento in questo post (“L´attuazione della presente legge (…) non deve comportare oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato e la finanza pubblica nel suo complesso“), è scomparsa dalla Bozza Calderoli. Scrive Longoni: “La prima versione della bozza Calderoli conteneva la clausola dell’invarianza della pressione fiscale complessiva: l’attuazione del federalismo cioè non avrebbe potuto comportare un esborso a carico dei contribuenti. Questa clausola è sparita. Con il rischio che, se fino a oggi il federalismo fiscale era percepito come una minaccia al Sud e una speranza al Nord, adesso il timore cominci a propagarsi anche nelle zone più industriali del paese, che sarebbero chiamate a pagarne i costi“. Dunque i timori espressi dal sottoscritto (e non solo), sono ancora più fondati.
Se volete, votate Ok.
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