Mar 09
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Brevi riflessioni sul Popolo della Libertà
Dopo tre giorni di interventi, discussioni, analisi e proposte, si è concluso – con l´elezione di Berlusconi a Presidente del partito -, il Congresso di fondazione del Popolo della Libertà.
E’ una pagina importante per la storia politica italiana, fuor di dubbio. Anche se per la maggioranza degli elettori del centrodestra, il partito unitario era già nato da tempo: quantomeno dal 15 aprile 2008.
In questa tre-giorni molte questioni sono state affrontate. Una su tutte, però, ha troneggiato: la necessità di tratteggiare l’identità del nuovo partito.
E’ noto che Fini, a tal proposito, abbia sottolineato come il Pdl non possa che essere laico. Per questo motivo, ad esempio, ha tenuto a precisare come, a suo avviso, il ddl sul testamento biologico – che il Senato ha approvato in prima lettura – non sia condivisibile.
Qualcuno ha parlato di un Fini schierato contro Berlusconi; qualcun altro, invece, ha intravisto elementi di novità nelle sue posizioni. Come Fausto Carioti, vice direttore di Libero, che ieri ha scritto:
“Infine, si è posto come leader dell’area laica del PdL, chiedendo una legge sul testamento biologico sganciata dalle posizioni della Chiesa. Lasciando così intuire, in un futuro non troppo lontano, convergenze sino a non molto tempo fa impensabili, tra lo stesso Fini e libertari del calibro di Antonio Martino e Benedetto Della Vedova“.
In verità , nella sortita di Fini, nel suo reclamare un approccio laico alle questioni eticamente sensibili, nel suo porsi come interlocutore privilegiato dell’area “liberale” (e non solo laica) del Popolo della Libertà , non c’è alcun elemento di novità .
In tempi non sospetti (il 30 giugno 2006), infatti, qui si scriveva:
“Fini sarebbe il Leader naturale dell’aria laica: sostengo da una vita che potrebbe divenire il “capo” di quel vasto drappello (che dal mio punto di vista rappresenta il meglio del centrodestra italiano) che va da Antonio Martino a Benedetto della Vedova. Da Stefania Prestigiacomo a Marco Taradash. Da Alfredo Biondi a la Malfa“.
“In qualità di leader dell’aria laica del futuro partito unico di centrodestra“, concludevo, Fini avrebbe molte chance di diventare “il “candidato Premier” del centrodestra“.
Con la sua uscita sul testamento biologico; con il suo porre l’attenzione sulla necessità di dare vita alle riforme costituzionali, auspicalmente in modo bipartisan; col suo evidenziare, soprattutto, la necessità di modernizzare il Paese e di pensare al futuro dei giovani, Fini ha voluto chiarire che il Popolo della Libertà non intende sottrarsi alle “sfide dei tempi”, chiudendosi a riccio, esprimendo un conservatorismo – rispetto allo status quo – fine a se stesso e impotente.
Con il suo argomentare, il Presidente della Camera ha voluto semplicemente chiarire che il Pdl, forte dei suoi valori e del suo ancoraggio al Ppe, si dichiara pronto ad essere un autentico partito-Paese – plurale, inclusivo, interclassista e “polifonico” -; un partito capace di guardare all'”interesse generale” e alla pluralità di posizioni che la società esprime; un partito capace di riformare la Nazione, affrontando le difficoltà che questo comporta.
Il suo discorso non mirava affatto a contrapporsi a Berlusconi (il quale ha deciso di avallare un testo “confessionale” sul testamento biologico, solo perché spera – alle Europee – di sottrarre voti a Casini, onde neutralizzarlo, politicamente, e in modo definitivo). Anzi: mirava a far proprio lo spirito con cui il Premier è “sceso in campo” nel ’94. Era un modo, semmai, per riconoscerne – pubblicamente – la leadership; per ringraziarlo, e per dichiarare al popolo del centrodestra che, ove mai un domani dovesse trovarsi a succedere a Silvio, il partito non muterebbe rotta: continuerebbe ad avere come stella polare, quel liberalismo che da 15 anni a questa parte – purtroppo quasi sempre solo a chiacchiere – costituisce la bandiera prediletta, la “religione laica“, di Berlusconi.
E qui arriviamo al punto vero, a ciò che più c’interessa.
Il Popolo della Libertà – che nasce dando un tetto comune a donne e uomini che provengono da tradizioni politiche assai diverse -, riuscirà davvero a rappresentare una novità , una rupture, solo se quel liberalismo – sino ad oggi solo declamato – si tradurrà in realtà . In politiche.
Berlusconi ha ricordato come per la sinistra, ancora oggi, lo stato – l’assistenzialismo, il dirigismo, lo statalismo, la spesa pubblica folle e l´alta tassazione – sia un “Moloch, una divinità “.
Ecco, il nostro auspicio è che per il PdL, lo stato rappresenti altro: qualcosa che di certo deve garantire sicurezza (interna ed esterna) e servizi sociali essenziali; ma che mai e poi mai deve arrivare ad essere un pachiderma succhia soldi, cui il cittadino deve genuflettersi, come un suddito se non addirittura uno schiavo.
Il nostro auspicio, insomma, è che il Pdl dia voce a quella Rivoluzione liberale che da sempre costituisce il cavallo di battaglia delle forze di centrodestra (europee e mondiali).
Cos’è la Rivoluzione liberale? Lo lasciamo spiegare a Piero Ostellino (“Lo Stato canaglia. Come la classe politica continua a soffocare l´Italia”, Rizzoli, pagina 45):
“Fare la rivoluzione liberale è fare in modo che il cittadino dipenda meno dallo Stato (leggi riduzione della spesa pubblica) e più da se stesso (leggi avere più soldi in tasca grazie al taglio delle tasse). Significa incoraggiarne e apprezzarne il senso di responsabilità nell´amministrare le proprie risorse. In definitiva, significa smetterla di trattarlo come un bambino irresponsabile, che ha bisogno di un padre (lo Stato) che lo guidi. E incominciare a rispettarlo“.
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