Mag 09
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L’inciviltà dello scontro di civiltà
“Dalla fine della guerra fredda la geopolitica è alla ricerca della sua teoria definitiva. Ha iniziato Francis Fukuyama poco dopo la caduta del muro di Berlino, con il suo noto saggio La fine della Storia. Lo studioso di Washington giunge a riconoscere che la sintesi hegeliana del percorso delle ideologie politiche del Novecento può dirsi conclusa con l’approdo su scala planetaria alla democrazia liberale. Il combinato disposto di efficienza tecnologica ed emancipazione sociale fanno del capitalismo democratico il propulsore insuperabile dei millenni a venire.
L’entusiasmo trionfalista ha tuttavia resistito poco. La Storia ha presto cominciato nuovamente a scriversi da sola un nuovo corso. Affatto imprevedibile seguendo le argomentazioni di Fukuyama. Nuove frontiere hanno cominciato a reclamare il loro spazio nel mappamondo geopolitico. Suggerendo a qualcuno che la miccia che avrebbe acceso i nuovi conflitti non sarebbe stata figlia del secolo breve. Vale a dire, irriducibile alla contrapposizione di fronti puramente ideologici o di interessi esclusivamente materiali. Nel nuovo millennio, «le grandi divisioni dell’umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura» afferma infatti a metà degli anni Novanta Samuel Huntington. Secondo il professore di Harvard, scomparso recentemente, «gli Stati nazionali rimarranno gli attori principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e gruppi di diverse civiltà». I conflitti tra ideologie che hanno dominato in varie fasi il Novecento sono storia passata. Sostituiti dalla contrapposizione di culture tra loro lontane, che non tarderanno a manifestarsi in scontro violento. «I focolai di inimicizia potenzialmente più pericolosi scoppiano sempre lungo le linee di faglia tra le principali civiltà del mondo», secondo le parole immaginifiche dello stesso Huntington.
La profezia dell’autore de Lo scontro delle civiltà ha occupato per anni il dibattito, fornendo spesso la giustificazione teorica a chi cercava appigli culturali per affrontare l’emersione inattesa di componenti terroristiche del fondamentalismo islamico. Non pochi occidentalisti, dopo l’attacco alle due torri, hanno fatto propria la provocazione di Huntington secondo cui «le frontiere dell’Islam grondano sangue». Ora, a un decennio di distanza dalla comparsa del saggio del politologo amato dai neocon ma criticato da più parti, è possibile (necessario?) fare un bilancio e tentare una nuova sintesi. Se ne fa carico, a modo suo, Tzvetan Todorov, figura poliedrica di pensatore, capace di intervenire nel dibattito culturale in vesti di volta in volta rinnovate. Il filosofo, antropologo, critico letterario e sociologo francese propone sul percorso della storia delle idee che hanno attraversato la china del secolo una riflessione che fa strame della teoria dello scontro di civiltà e contrappone a essa una nuova stagione di dialogo e integrazione tra diverse culture. Tra paesi in cui domina il risentimento e paesi in cui domina la paura, nelle parole usate da Todorov nel saggio La paura dei barbari, da poco uscito anche in Italia” (Mauro Cappelli, continua su Fare Futuro Web Magazine).
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