Giu 09
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Libertari per tradizione
“È un film che le televisioni mandano spesso in onda in seconda serata o nella programmazione pomeridiana che nella superficialità di un certo approccio italiano al cinema non è mai stato valorizzato in tutta la sua valenza metapolitica. Si tratta di Chi ucciderà Charley Varrick?, tutt’altro che un B-movie ma un vero capolavoro firmato da Don Siegel, il cineasta che aveva già diretto due grandi film libertari come L’invasione degli ultracorpi, grande metafora contro il maccartismo e il totalitarismo, e Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo. E quando, in quel film del 1973, il regista celebrava sugli schermi la figura di Charley Varrick, un “ultimo degli indipendenti” magnificamente interpretato da Walter Matthau, eravamo del resto nella stagione forse meno popolare in tutto l’Occidente per la metafora esistenziale e politica del singolo. E allo stesso modo in cui nel film il protagonista si trova coinvolto in una solitaria lotta senza quartiere contro un’offensiva concentrica di polizia, servizi segreti, potere bancario e criminalità organizzata, così nell’immaginario occidentale l’ipotesi di una sfera esistenziale sganciata dagli apparati sembrava del tutto fuori corso, contrastata e condannata all’isolamento.
In Italia, poi, l’egemonia concettuale del sistema politico-istituzionale sembrava tutta giocarsi intorno alle categorie di collettivo, di organico e di primato degli apparati centralizzati. Quell’icona, “the last of the indipendent”, il libertario allo stato puro, irrompeva in realtà come l’ospite inatteso e il modello segreto di tutto un sommovimento culturale e politico-culturale che stava investendo l’Europa e l’Occidente nella fase post-sessantottina. Un sommovimento che metteva in evidenza nel suo complesso l’essenza più propria d autori, filoni, letture, suggestioni, icone che evocavano una vocazione libertaria. Se ne è parlato recentemente in riferimento alla più profonda ispirazione del poeta americano Ezra Pound. E la stessa considerazione potrebbe essere fatta per la letteratura di Céline, di Ernst Jünger o di Knut Hamsun, per il cinema di Sam Peckinpah, di John Milius o di Clint Eastwood, per i libri di Hermann Hesse, Jack Kerouac e Charlie Bukowski o per la saga tolkieniana di Frodo Baggins, per un libro come Il gabbiano Jonathan Livingston o per le descrizioni di viaggio di Bruce Chatwin. O per la musica di Giorgio Gaber” (Luciano Lanna, continua su Fare Futuro Web Magazine).
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