Su Prodi archiviazione fantasma
“Il giudice per le indagini preliminari Tiziana Macrì è persona notoriamente riservata. Non risultano sue interviste negli archivi: è donna precisa e scrupolosa, che non ama essere tirata per la toga. Il 19 febbraio 2009 l’agenzia Ansa batte la notizia: “La procura generale di Catanzaro ha depositato al gip la richiesta di archiviazione della posizione dell’ex premier Romano Prodi nell’ambito dell’inchiesta Why not”. Insieme con lui escono dal procedimento una decina di personaggi più o meno famosi. Una notizia che in procura non hanno mai smentito e che ha suscitato fastidio nell’ufficio del gip”.
“Da allora Macrì ha iniziato a studiare le carte e, per quanto risulta a Panorama, non ha ancora depositato l’ordinanza di archiviazione. “Sono atti coperti da segreto e di cui vanno informati solo i diretti interessati” taglia corto una funzionaria”.
“Il riserbo, come si dice in questi casi, è assoluto. E così da quattro mesi i cronisti assediano la cancelleria per capire se ci siano novità“.
“Ma perché a Catanzaro l’argomento Prodi suscita tanta preoccupazione? Forse perché cambia l’esistenza di chi lo incrocia. Per esempio l’iscrizione sul registro degli indagati dell’ex presidente del Consiglio ha stravolto la carriera di Luigi De Magistris (eletto ora al Parlamento europeo), ma anche quella del suo successore, il pm crotonese Pierpaolo Bruni che, non volendo archiviare la sua posizione, ha lasciato il pool che conduce l’inchiesta Why not e ha dovuto rinunciare alla collaborazione con la Direzione distrettuale antimafia (sul caso è stata inviata una relazione al guardasigilli Angelino Alfano, con richiesta di ispezione ministeriale).
“Bruni ha preso in consegna il fascicolo Prodi nel novembre 2007. Dopo un anno di indagini, in cui spulcia bilanci, conti economici e ottiene la perquisizione del presidente della Regione Calabria Agazio Loiero (per lui c’è una richiesta di rinvio a giudizio), arriva la conclusione che il presunto coinvolgimento dell’ex premier nell’utilizzo di fondi europei per finanziare la politica sia da approfondire”.
“Il suo capo, Enzo Iannelli, procuratore generale di Catanzaro, uomo di grande prudenza, è di avviso contrario. Ritiene non ci siano elementi concreti per proseguire le indagini. Bruni non si arrende e a settembre, in una riunione con il pool di Why not presso la procura generale di Catanzaro, mette per iscritto, in un documento riservato che Panorama ha potuto leggere, le sue conclusioni: Prodi va indagato non solo per l’abuso d’ufficio, ma anche per associazione per delinquere, corruzione e finanziamento illecito dei partiti. Quindi lascia la stanza prima della discussione”.
“A fine seduta i colleghi aprono la sua missiva e sobbalzano sulle sedie. Il procuratore generale perde la pazienza: ritiene la bozza un errore, se non addirittura una provocazione. Il lavoro di Bruni, però, non viene appallottolato, finisce agli atti. E da febbraio quelle righe, rimaste segrete per novi mesi, sarebbero depositate nei faldoni inviati al gip Macrì”.
“Ma che cosa aveva scoperto Bruni e qual era il suo impianto accusatorio? Per capirlo bisogna leggere con attenzione il cuore della proposta del pm, dieci pagine impostate come una richiesta di rinvio a giudizio. Nel primo capoverso si sostiene: Prodi e altre 12 persone, tra cui Loiero e alcuni stretti collaboratori dell’ex presidente della Commissione europea, da Piero Scarpellini al deputato del Pd Sandro Gozi (per entrambi la procura generale ha chiesto l’archiviazione), sono accusati di associazione per delinquere per aver “asservito le istituzioni pubbliche per finalità private e di partito””.
“Al capo H Bruni dettaglia le sue ipotesi di reato, dalla corruzione al finanziamento illecito dei partiti. L’inquirente ricostruisce la presunta filiera dei denari: la regione riceve fondi europei (Prodi all’epoca era a capo della Commissione, Gozi è stato consigliere anche del successore José Manuel Barroso) e li versa all’azienda Why not riconducibile, ritiene l’accusa, ad Antonio Saladino, principale indagato dell’inchiesta e grande elettore di Prodi e Loiero”.
“La società a questo punto diventa il “salvadanaio” a cui attingere per sovvenzionare la politica. Come? Bruni nella bozza fa un esempio: Why not e Fine food (anche questa, secondo il pm, collegabile a Saladino), per un sofware “mai utilizzato” e “non utile”, pagano 250 mila euro ciascuna alla Met Sviluppo, “al solo fine di creare provviste di denaro””.
“All’epoca l’amministratore della Meta sviluppo (oggi affidata a un commissario straordinario per insolvenza) era Pietro Macrì, che un suo ex dipendente calabrese in procura descrive così: “Lui e Francesco De Grano (il cognato e dirigente per gli affari internazionali della Regione Calabria, ndr) erano promotori in loco dell’attività politica di Prodi in quanto vantavano questa stretta relazione con l’ex premier e il Macrì aveva nel suo ufficio una foto che lo ritraeva con Prodi””.
“Per Bruni, grazie all’impegno di Macrì e De Grano, Prodi e Loiero raccolgono i voti necessari a vincere le elezioni regionali del 2005 e quelle nazionali del 2006”.
“Un successo facilitato anche dalle presunte “provviste” della Met che, secondo il pm, sarebbero servite “per finanziare l’Unione e quindi il suo leader Romano Prodi anche attraverso la realizzazione del sito del Laboratorio democratico europeo (il pensatoio dei giovani ulivisti presieduto da Gozi, ndr), ovvero attraverso il pagamento di somma di denaro alla Società Pragmata di San Marino”.
“Nella repubblica del Monte Titano Bruni individua il crocevia dei presunti affari prodiani su cui chiede, inutilmente, di poter proseguire le indagini. Il pm accusa i responsabili della Pragmata (Scarpellini e un’amica di Gozi) per lo “svuotamento delle casse della società Met sviluppo attraverso la distrazione dei finanziamenti pubblici da essa ricevuti per mezzo di una serie di contratti di consulenza dal contenuto fittizio intervenuti negli anni 2004-2005””.
“Insomma il travaso sarebbe avvenuto con la “fatturazione di prestazioni fittizie” a una rete di aziende complici. Dalla Pragmata all’Adepta, amministrata prima da Maria Angela De Grano (sorella di Francesco), quindi dal marito Pietro Macrì, e a cui sarebbero state pagate “prestazioni inesistenti per un importo complessivo pari a euro 336.856,80””.
“La procura generale di Catanzaro ha ritenuto questa ricostruzione degna di approfondimento e ha inviato il fascicolo con le carte su Met sviluppo e Adepta ai colleghi di Milano (dove ha sede legale il gruppo), ma non ha creduto che dietro quelle operazioni finanziarie sospette ci fossero Prodi, Gozi e la Pragmata di Scarpellini. Adesso tutti aspettano di sapere che cosa ne pensi il gip Tiziana Macrì”.
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