Set 09
18
Di Pietro invita ad impugnare le armi?
Il presidente del movimento neofascista Italia dei Valori – un’organizzazione politica che in oltre 10 anni di vita non ha mai celebrato un congresso nazionale (e fino a poche settimane fa, nemmeno uno locale) -, oggi ha alzato ancor di più il tiro contro il Presidente del Consiglio. Dopo averlo paragonato, nei mesi scorsi, ad Hitler, a Videla e a Mussolini, quest’oggi è arrivato ad accostarlo a Saddam Hussein.
Fosse solo questo, sarebbe poca cosa: in fondo il despota di Montenero di Bisaccia, il calunniatore e diffamatore che si sottrae alla giustizia penale e civile facendosi scudo dell’impunità parlamentare di cui gode in virtù dell’articolo 68 della Carta (e in passato s’è fatto scudo anche di quella prevista per gli europarlamentari), ci ha abituati a sortite di questo genere. E ci ha abituati a costatare, quasi quotidianamente, quanto forte sia il suo disprezzo per le regole democratiche e per il responso delle urne. Oggi, però, il tribuno neofascista è andato ben oltre: ha dichiarato che Berlusconi finirà come Saddam Hussein. Il quale, come tutti ricorderanno, è stato disarcionato grazie ad un intervento militare deciso da potenze straniere.
E questo non può che imporre una riflessione: quanto, le parole di Di Pietro sono null’altro che iperboli, e quanto, invece, rappresentano un auspicio e, per ciò stesso, un invito?
In parole ancora più semplici: integrano un incitamento alla violenza, una sollecitazione ad impugnare armi da fuoco per destituire Berlusconi, così com‘è avvenuto nel caso di Saddam Hussein?
In questo paese, negli anni ‘70, mai lo si deve dimenticare, il linguaggio usato da alcuni soggetti politici era di una violenza inaudita. E abbiamo visto com’è andata a finire: attentati, stragi e morti a non finire. Eppure, chi allora usava parole grondanti morte, solo raramente arrivava agli eccessi verbali cui ci ha abituati Antonio Di Pietro.
Sottovalutare questi aspetti, in un paese in cui pochi anni orsono sono stati trucidati due valenti funzionari dello stato (Marco Biagi e Massimo D’Antona) – e in cui oggi qualcuno si rivolge ad un collaboratore del ministro Gelmini, il professor Giorgio Israel, accostandolo a Biagi e definendolo razzisticamente “puparo ebreo” – è un atto di assoluta miopia.
Di Pietro, col suo “sfondamento a sinistra“, con l’apertura a frange della gauche estrema (penso alla candidatura all’europarlamento, nelle fila dell’Idv, di rappresentanti della Fiom), di fatto ha inteso porsi come interlocutore privilegiato di un’area, mai dimenticarlo, che solo ieri l’altro “offriva asilo” ad esponenti delle nuove Brigate Rosse.
Attenzione.
Forse è venuto il momento di dar vita ad un nuovo “arco costituzionale”.
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