Nov 09
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Da Bersani vorremmo chiarezza
Dunque, l’assise congressuale del Pd, come noto, si è conclusa due giorni addietro con la proclamazione di Pier Luigi Bersani quale segretario del partito (a lui, i nostri auguri).
Tuttavia, forse per nostri limiti, noi non abbiamo capito sulla base di quale progetto Bersani abbia vinto. Ovvero: non abbiamo capito quale idea di società egli abbia in mente; quali ricette suggerisca per il Paese; quale fisionomia voglia dare al partito.
Dal congresso, è il nostro parere, è stata, infatti, completamente espunta la Politica, quella con la P maiuscola. E’ mancata cioè la volontà, da parte dei candidati alla segreteria, di descrivere in modo chiaro – e non equivocabile – quale identità programmatica essi immaginassero per il Pd. Non si è capito, quindi, quali fossero le differenze di fondo tra Dario Franceschini, Pier Luigi Bersani e Ignazio Marino.
La nostra sensazione, ed anche il nostro timore, è che da parte dei candidati alla segreteria si sia volutamente evitato di parlare di politica vera, “ricette” e profilo identitario, per evitare rotture all’interno del partito. Si è scelto di non scegliere, dunque, per tirare a campare. Perché altrimenti il “giocattolo” rischiava di rompersi. Ed è un male!
Un partito, infatti, vive d’identità e progetti chiari. E sulla base di essi, viene votato dai cittadini, e vince o perde le elezioni.
Chi si candida alla segreteria di un partito, ha il dovere di illustrare agli iscritti quale idea di partito egli abbia in mente, e con quali contenuti voglia arricchirne la fisionomia onde renderlo competitivo e credibile agli occhi dell’elettorato tutto.
Nel caso del congresso del Pd, invece, la situazione è stata paradossale: si è votato un candidato senza che fosse chiaro il suo progetto, e gli si è affidato il compito di definire l’identità del partito (in futuro). Così si è votato a scatola chiusa. Si è scelto soltanto un volto, un nome, una suggestione. Si è conferito un mandato in bianco.
Con la conseguenza, che nessuno conosce le posizioni di Pier Luigi Bersani, e quindi del suo Pd, su una qualunque delle questioni politiche principali.
Ad esempio.
Cosa pensa il neo segretario della legge Biagi? Non si sa.
Ritiene equo che dei “bambini” vadano in pensione a 59 anni, e che questo privilegio – introdotto dal governo Prodi, di cui Bersani era ministro – venga pagato dai loro figli; i quali, per questo motivo, in pensione non potranno andare mai? Non si sa.
Ritiene utile ridurre l’imposizione fiscale? E se sì, in che modo: finanziando il taglio delle tasse ai “poveri”, con un incremento del prelievo fiscale sui “ricchi”? Non si sa.
Cosa pensa dell’incremento di 3 punti percentuali della pressione fiscale, dovuto al precedente governo Prodi? Ritiene sia giusto stigmatizzarlo e prendere le distanze da esso, visto che ha determinato un crollo dei consumi, un calo del Pil, e un aumento della disoccupazione? Non si sa.
Come valuta la liberalizzazione dei servizi pubblici locali? Ritiene sia una strada da percorrere? Non si sa.
In tema di riduzione dei costi della politica: cosa pensa a proposito delle Province? Ritiene debbano essere abolite? Non si sa.
In materia di riforme costituzionali: per quale sistema di governo fa il tifo, Bersani? Per il Cancellierato alla tedesca, o per il premierato forte? Vuole che i governi si formino in Parlamento, scelti dai partiti, o nelle urne, designati dai cittadini? Non si sa.
Pier Luigi Bersani: un volto, un’inflessione dialettale, un toscanello, qualche sorriso.
Null’altro.
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