Apr 10
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Qualcosa si muove nel Pd
Tre anni sono un lasso di tempo più che sufficiente per riuscire a risalire la china. A patto che, naturalmente, li si impieghi per correggere il passo e per prendere le distanze dalla fallimentare esperienza – culturale ancor prima che politica – dell’ultimo governo Prodi.
Il Pd non ha bisogno di un nuovo segretario, di un nuovo gruppo dirigente, di un nuovo assetto organizzativo: il Pd, prima di tutto, ha bisogno di un’identità, di un progetto, di un’idea di società di cui farsi promotore. Precisamente ciò di cui pare esser privo. Non a caso la migliore spiegazione del recente insuccesso elettorale del partito, è stata questa:
“Forse non ci votano o non ci votano più semplicemente perché non sanno, votando noi, cosa votano” (Beppe Fioroni).
A Largo del Nazareno, tuttavia, qualcosa inizia a muoversi. E inizia a prendere corpo una diffusa consapevolezza. Così riassumibile: il Pd è percepito come il partito delle tasse e di chi ignora il problema dell’immigrazione clandestina; bisogna cambiare rotta.
“La ricerca spasmodica di nuove forme organizzative è una risposta inadeguata, serve una svolta di fondo. Il Pd, che è nato per cambiare il Paese, ha fatto battaglie rispettabili, ma conservatrici”.
“Dobbiamo avere il coraggio di dire che la pressione fiscale così alta e le modalità di riscossione vanno ripensate. E non possiamo più essere quelli che difendono lo Stato assistenziale”.
“La situazione è grave. Continua a non funzionare il nostro dialogo con la parte più produttiva del Paese (…)”.
“Non funzionano le nostre parole d’ordine su fisco e immigrazione. Continuiamo a essere percepiti come il partito che non si preoccupa dei flussi migratori e che considera le tasse «bellissime»”.
Vinicio Peluffo, deputato lombardo del Pd:
“Dobbiamo darci un programma chiaro con il quale parlare ai cittadini”.
“Partiamo dall’immigrazione. Noi diciamo sì all’integrazione e a una nuova legge sulla cittadinanza, ma dobbiamo anche dire che sui doveri non si transige. Chi sbaglia, insomma, paga”.
Sui temi prettamente economici, poi:
“Partiamo dal welfare da riformare e adottiamo la risposta del professor Ichino, il contratto unico, che diventa con il passare dei mesi a tempo indeterminato, e supera la dicotomia tra lavoratori che hanno diritti e altri che non ne hanno. Ma sull’economia dobbiamo mettere dei paletti…”.
“È ovvio che noi riformisti pensiamo alle riforme. Ma queste hanno un costo. Noi dobbiamo evidenziare con chiarezza che si fanno senza alzare le tasse e senza aumentare il debito pubblico. I nostri capisaldi sono la lotta all’evasione fiscale ed i tagli alle spese inutili”.
Magari gli esponenti del Partito democratico potrebbero anche dare una scorsa al manifesto del Labour presentato da Gordon Brown. In esso, infatti, sono contenuti spunti interessanti:
“Poiché crediamo che venire nel Regno Unito sia un privilegio e non un diritto, romperemo l’automatismo fra la permanenza per un determinato periodo e la possibilità di ottenere la cittadinanza. In futuro restare qui dipenderà dal sistema a punti e l’accesso ai benefici sociali sarà progressivamente riservato ai cittadini britannici e ai residenti permanenti”.
“I migranti che parlano inglese in modo fluente trovano impiego con maggiore probabilità e s’integrano più facilmente. Così renderemo il nostro test d’inglese più duro”.
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