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A Fini ciò che è di Fini

Partiamo dal modo in cui Feltri ha descritto il succo dell’intervento di Fini alla Direzione nazionale del PdL:

Fini non fa che polemizzare. Non gli va più a genio neanche il programma di governo: è roba scritta in altra epoca, bisogna aggiornare. Non gli passa per la mente che nel 2008 gli italiani votarono centrodestra proprio sulla base di quel programma, che quindi occorre realizzarlo per mantenere fede agli impegni, e che non può essere cambiato solo perché a lui non piace più“.

È importante partire da qui, perché ci consente di spiegare quale volgare e bieca manipolazione sia stata operata in danno di Fini dalla sedicente stampa di destra (tutta); e in più, ci fornisce la possibilità di formulare una banale considerazione; questa: c’è chi, pur dichiarandosi sostenitore di Berlusconi, senza rendersene conto spesse volte gli procura danni più che benefici; c’è chi, pur dichiarandosi berlusconiano, assai spesso si comporta come un anti-berlusconiano. Proverò a spiegarne il perché.

Innanzitutto, Fini non ha detto quanto Feltri gli ha attribuito. Il Presidente della Camera, infatti, ha dichiarato quanto segue:

“È evidente che fra tre anni il giudizio complessivo sul governo sarà relativo a quello che è stato fatto per gestire la crisi economica, alle condizioni in cui si troveranno le famiglie e le imprese italiane. Tra tre anni, quando si arriverà alla fine della legislatura, se non avremo fatto qualcosa di reale, di concreto oltre quello che abbiamo già fatto, non credo che basterà l’ottimismo. Berlusconi ha ragione quando parla di ottimismo, ma poi accanto all’ottimismo serve la realtà.

Allora io non credo dire un’eresia se dico che il partito di maggioranza della coalizione, che esprime il presidente del Consiglio e un ottimo ministro dell’Economia, ha il dovere di riflettere su una cosa molto semplice: il programma elettorale è stato scritto in un’altra epoca, quando non c’era stata la crisi globale. Quel programma conteneva impegni che io non credo si possano mantenere al cento per cento da qui a 2013. Perché sarà molto difficile ridurre contemporaneamente il carico fiscale per le imprese e per le famiglie a invarianza di gettito e per giunta avviando quella rivoluzione che è il federalismo fiscale che, come sanno tutti, nella prima fase costa.

Allora è un’eresia chiedere che il Pdl convochi, per esempio, una sorta di stati generali dell’economia per fare il punto su ciò che è realistico fare da qui alla fine della legislatura e su ciò che prevedibilmente non sarà possibile realizzare? Ricordiamo il Fondo monetario di ieri che ha detto che il Pil è destinato a crescere meno del previsto, non me ne compiaccio, me ne addoloro, ma senza le risorse sarà difficile calare le tasse alle imprese e alle famiglie e quando arriverà la prossima campagna elettorale i cittadini ce ne chiederanno conto.

Non bisogna ritenere che sia un’eresia quella di rimodulare il programma in base a ciò che si può fare. E discutere questo non solo fra di noi ma anche con chi ne capisce”.

Fini, com’è di tutta evidenza, non ha sostenuto che bisogna disattendere il programma di governo, in quanto – come asserito da Feltri – “a lui non piace più“. All’opposto, ha fatto notare che siccome c’è una crisi economica internazionale di vaste proporzioni che renderà improbabile l’attuazione integrale di quello stesso programma, è doveroso che il Popolo della Libertà, sin da ora, faccia “il punto su ciò che è realistico fare da qui alla fine della legislatura e su ciò che prevedibilmente non sarà possibile realizzare”; altrimenti, visto che “sarà molto difficile ridurre contemporaneamente il carico fiscale per le imprese e per le famiglie a invarianza di gettito e per giunta avviando quella rivoluzione che è il federalismo fiscale che, come sanno tutti, nella prima fase costa”, si corre il rischio che “quando arriverà la prossima campagna elettorale i cittadini ce ne chiederanno conto”.

Semplifico: se il centrodestra non abbassa le tasse a famiglie ed imprese entro il 2013 come ha promesso in campagna elettorale, col cazzo che rivincerà le elezioni; ragion per cui, è necessario fare il “tagliando” al programma di governo, ed espungere da quest’ultimo – e rinviare a tempi migliori – ciò che renda impossibile la riduzione della pressione fiscale per quella data; a meno che non si voglia perdere le prossime elezioni politiche, nel qual caso si può anche far finta di niente, continuare a concentrarsi sul Federalismo fiscale, e lasciare in vita le “aliquote di Visco”.

Chiunque faccia il tifo per il centrodestra e per Berlusconi, a rigor di logica, non può che essere d’accordo con Fini.

Così com’è ovvio che Feltri, facendo lo gnorri, fingendo di non sapere che il taglio delle tasse e l’introduzione del Federalismo fiscale siano misure tra loro incompatibili – nonostante ne abbia dato contezza proprio il suo quotidiano (“Il Cavaliere è stato categorico, soprattutto dopo che gli hanno spiegato nel dettaglio perché per abbassare la pressione fiscale bisognava attendere “l’entrata a regime del federalismo fiscale”. Che, tradotto, significa la prossima legislatura, anno 2013”) -, quantunque agli ingenui appaia come persona che agisce per rafforzare la posizione di Silvio e del suo esecutivo, de facto non fa altro che lavorare perché l’uno e l’altro, nel 2013, vengano bocciati dalle urne.

Il discorso di Fini era improntato ad assoluto buonsenso. Ha chiesto alla classe dirigente del Popolo della Libertà di fare i conti con la realtà, con la gravissima crisi economica che viviamo; e di rendersi conto che siccome la nostra economia cresce poco – e ciò riduce di molto le risorse che lo stato introita – appare necessario fare delle scelte perché non tutto ciò che si è promesso in campagna elettorale potrà essere mantenuto; ed è meglio dirle chiaramente, queste cose, ed ora, piuttosto che prendere per il culo gli elettori, facendo loro credere che tutto il programma, dalla A alla Z, possa essere tradotto in fatti. La sincerità paga; la menzogna, no.

Dico di più: Fini non ha nemmeno detto cose di buonsenso. Fini ha suggerito delle banalissime ovvietà. Cose talmente scontate che finanche questo cazzone decerebrato che qui scrive, ha avuto modo di segnalare in più di una occasione. Sono considerazioni a tal punto ragionevoli che solo chi ha perso la sinderesi come Feltri, può non accettare.

Ancora Fini, in materia di Federalismo fiscale:

“In un’epoca di risorse scarse il federalismo fiscale è o una grande opportunità per responsabilizzare la classe dirigente o, senza alcune cautele, senza alcuni antidoti collegati a una cultura nazionale e a un senso di appartenenza, rischia di mettere a repentaglio la coesione sociale. I decreti attuativi che deve fare il governo sono estremamente pericolosi se vengono scritti senza avere come stella polare non “accontentare la Lega”, ma garantire l’interesse nazionale (…).

I decreti attuativi del federalismo fiscale vanno fatti a ogni costo? Questa è la posizione della Lega. Io dico che vanno fatti, sì, ma compatibilmente con la disponibilità finanziaria e con i valori nazionali indiscutibili (…).

È provocatorio chiedere, e non in polemica con Tremonti, “Ma i costi li abbiamo previsti?”. Quando si ragionerà con la Lega dei costi del federalismo fiscale e su cosa significhi mettere le regioni del Sud nella condizione ideale, dal punto di vista teorico, del finanziamento che arriva non sulla spesa storica ma sulla spesa standard, abbiamo verificato cosa significa in termini di servizi? È compito certamente del ministro Fitto, ma è compito anche del partito. Allora credo che una commissione che lavori su una road map, sui costi, sui rischi del federalismo fiscale possa essere costituita subito”.

Ecco, il Presidente della Camera, affermando a proposito di Federalismo fiscale “Ma i costi li abbiamo previsti?”, e poi “I decreti attuativi del federalismo fiscale vanno fatti a ogni costo? Questa è la posizione della Lega. Io dico che vanno fatti, sì, ma compatibilmente con la disponibilità finanziaria”, si è limitato ad evidenziare quanto il varo di tale riforma sia problematico, in questa congiuntura economica; e di come occorra ragionare a bocce ferme, prima di dare avvio alla medesima.

Anche perché, non solo il Federalismo fiscale – come ha riferito il sottosegretario Guido Crosetto – costa molto, oltre 100 miliardi (anche se si tratta di una stima), e ancora non è chiaro dove si possano prendere i soldi per finanziarlo; ma esso rischia di essere oggettivamente un intralcio alla ripresa economica; e questo è il punto vero.

Nella misura in cui si passa dalla “spesa storica” ai “costi standard”, alcune Regioni (anche del Nord Italia; il Friuli ad esempio) potrebbero trovarsi nella condizione d’essere costrette ad aumentare le tasse locali, per far fronte alla erogazione dei servizi.

Facciamo degli esempi: se la Regione X fino a ieri riceveva dallo stato 100 (“spesa storica“), e con il Federalismo fiscale per fornire il servizio Y da domani riceverà soltanto 70 (“costo standard“ per il servizio Y, uniforme in tutte le Regioni), essa dovrà provvedere in tempi più che rapidi a ridurre i propri costi, acciocché le sia possibile erogare il suddetto servizio “finanziandolo” esclusivamente con il nuovo ammontare (70) di trasferimenti provenienti dallo stato centrale. È del tutto evidente, tuttavia, che la suddetta Regione, abituata a spendere sempre 100 per somministrare il bene pubblico Y, non riuscirà dalla sera alla mattina ad abbattere i propri costi (“spesa pubblica improduttiva“), e a fornire il servizio di cui sopra finanziandolo esclusivamente con i trasferimenti dallo stato centrale; le occorrerà del tempo. Indi per cui, molto probabilmente (potremmo anche dire: certamente), essa sarà costretta ad aumentare – nell’immediato – le tasse per somministrare ciascuno dei servizi regionali che fino a ieri finanziava grazie allo scellerato meccanismo della “spesa storica” (senza contare, poi, che in una fase di recessione economica diminuiscono anche le entrate degli Enti locali, e questo complica ancor di più le cose).

Domanda: è opportuno che in una congiuntura recessiva così grave si attivi un meccanismo del genere, che potrebbe soffocare la ripresa economica sotto un fardello di nuove tasse?

O non sarebbe preferibile, invece, prediligere innanzitutto la riduzione della pressione fiscale e della spesa pubblica, e rinviare a domani (alla prossima legislatura) – quando l’economia avrà ripreso a crescere in virtù dei tagli alle tasse e alla spesa pubblica; quando una parte dell’attuale disoccupazione sarà stata “riassorbita”; quando i consumi avranno raggiunto un livello dignitoso; quando le entrate dello stato saranno nuovamente consistenti, il che consentirà di reperire più agevolmente le risorse per dare avvio alla riforma agognata dalla Lega -, l’entrata in vigore del Federalismo fiscale?

Oltretutto, si tenga presente che se non ci si adopera a breve per falcidiare la pressione fiscale e rilanciare l‘economia, andremo incontro a due ordini di problemi certi: innanzitutto, il rispetto dei parametri di Maastricht (rapporto deficit/Pil e rapporto debito/Pil); in secondo luogo, la copertura economica necessaria a finanziare la ricostruzione in Abruzzo (svariati miliardi di euro).

Dunque, le questioni che Fini ha sollevato, sono più che serie. Meritano attenzione. Segnalano alla classe dirigente del Popolo della Libertà la necessità di vagliare con cura le scelte di politica economica (e non solo) cui dare priorità.

Derubricarle, come Feltri ha fatto, a questioni di nullo valore, oltreché disonesto è stupido. E non fa l’interesse né di Berlusconi (e del suo esecutivo) né della Nazione.

Cose che, forse, non stanno a cuore al “direttorissimo“.

(Continua).

P.S. Sull’argomento, anche nicknamemadero.

Leggi altre news su per il Popolo delle Libertà.



9 Comments on “A Fini ciò che è di Fini”

  1. simone m. Says:

    Condivido ogni rigo 😉

  2. camelot Says:

    Risposta a simone:
    😉

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