Mag 10
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Il federalismo fiscale va in soffitta
Il governo – a quanto riferiscono Francesco De Dominicis e Fausto Carioti su Libero, e Francesco Verderami sul Corriere della Sera – pare intenzionato a far slittare l’entrata in vigore del Federalismo fiscale (ad eccezione della parte che riguarda il trasferimento di beni demaniali dal “centro“ alla “periferia“). Questa decisione sarebbe maturata a seguito dell’acuirsi della crisi economica internazionale.
Partiamo da ciò che Roberto Sorrentino – docente universitario di Scienza delle finanze nonché consulente del presidente della commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, il berlusconiano Enrico La Loggia -, ha dichiarato ieri in un’intervista a Libero:
“Il federalismo fiscale è un processo inevitabile che porterà solo benefici al Paese, ma non basteranno sette anni per completarne l’iter di attuazione. E l’Italia non può aspettare tanto: per affrontare le crisi nazionali e internazionali è meglio, oltre che più veloce, mettere mano alla riforma fiscale. Subito”.
Che cos’è che non la convince, professore? (chiede il giornalista).
“Non si capisce, ad esempio, che tipo di imposte potranno stabilire le Regioni. La legge del 2009 assegna loro il potere di emettere tributi propri: benissimo, ma quali? Mi auguro che, nell’ambito dei prossimi decreti di attuazione, esca uno schema con le tipologie di tributi locali, il cui gettito andrebbe alle Regioni. Altrimenti il rischio è quello dell’irresponsabilità fiscale”.
“I governatori delle singole Regioni, potendo emettere tributi, potrebbero dare libero sfogo alle loro fantasie fiscale a danno del contribuente. Ma bisogna impedire la creazione di una Babilonia dei tributi: il rischio è un aumento della pressione fiscale generale (…)”.
“La riforma federalista è una riforma di periodo, il cui ultimo atto normativo rilevante è stata la legge dello scorso anno, che però prevede altri due anni per l’emanazione di ulteriori decreti attuativi. Le cose da fare sono tante e il processo sarà lungo”.
Poi il giornalista di Libero gli chiede la cosa più importante: “Ma quali saranno i costi del federalismo fiscale”? E il consulente di La Loggia, risponde:
“I costi li scopriremo a tappe, passo dopo passo. Tuttavia ricordo che, fin dal 2005, i dati dei più autorevoli istituti di ricerca, che in quell’occasione presentai alla commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, sono contraddittori. E da allora non è cambiato molto, visto che ancora oggi mancano i termini per prevedere i costi del federalismo”.
“Serviranno non meno di sette anni per arrivare ad una riforma compiuta. Una riforma fiscale che può riguardare la semplificazione delle aliquote, l’accertamento e il rapporto contribuente-fisco, invece, si può fare subito. In un anno. E renderebbe il nostro Paese più competitivo, migliore dal punto di vista dell’appeal per gli investimenti stranieri. Una riforma fiscale, inoltre, contribuirebbe ad affrontare meglio le crisi nazionali e internazionali”.
Il fatto che il governo sia intenzionato a procrastinare l’avvio del Federalismo fiscale, poi, è confermato anche dal berlusconiano Osvaldo Napoli:
“Con la crisi cambiano le priorità del governo”.
Ora, essendo alquanto stanco e assonnato, faccio solo due modeste considerazioni.
1) Che varare il Federalismo fiscale, stante la crisi economica internazionale, fosse altamente inopportuno (soprattutto per i suoi alti costi), lo si poteva facilmente intuire finanche un anno fa (“Abbiamo le pezze al culo; stiamo vivendo la peggiore crisi economica internazionale dal 1929; la domanda estera di nostri prodotti, nel 2009, nostro malgrado è destinata a crollare; aumenta il ricorso alla cassa integrazione; abbiamo bisogno di soldi per finanziare un ampliamento degli ammortizzatori sociali e per cercare di stimolare la domanda interna (…). E noi che facciamo? Invece di reperire risorse attraverso tagli di spesa e risparmi, onde abbassare le tasse a famiglie ed imprese – per rilanciare i consumi e facilitare la sopravvivenza delle nostre aziende (sui mercati esteri) -, ci mettiamo a conservare soldi nel salvadanaio, per finanziare una riforma che costa almeno 100 miliardi di euro, e che quasi certamente porterà ad un aumento della pressione fiscale (leggasi: tasse)? Si può essere più coglioni?”). Il fatto che certuni lo abbiano capito solo ora, la dice lunga sulla qualità della classe politica del centrodestra: tutta costituita, evidentemente, da braccia sottratte all’agricoltura. Sconfortante.
2) Gianfranco Fini, durante l’infuocata Direzione nazionale del PdL, a proposito di Federalismo fiscale ha dichiarato: “Ma i costi li abbiamo previsti?”, “I decreti attuativi del federalismo fiscale vanno fatti a ogni costo? Questa è la posizione della Lega. Io dico che vanno fatti, sì, ma compatibilmente con la disponibilità finanziaria”; e poi: “Il programma elettorale è stato scritto in un’altra epoca, quando non c’era stata la crisi globale. Quel programma conteneva impegni che io non credo si possano mantenere al cento per cento da qui a 2013. Perché sarà molto difficile ridurre contemporaneamente il carico fiscale per le imprese e per le famiglie a invarianza di gettito e per giunta avviando quella rivoluzione che è il federalismo fiscale che, come sanno tutti, nella prima fase costa. (…) Senza le risorse sarà difficile calare le tasse alle imprese e alle famiglie e quando arriverà la prossima campagna elettorale i cittadini ce ne chiederanno conto. Non bisogna ritenere che sia un’eresia quella di rimodulare il programma in base a ciò che si può fare”. Per aver pronunciato queste ovvietà, l’indomani Fini si è trovato ad essere sommerso da critiche; a cominciare da quelle del solito Valium Feltri: “Non gli va più a genio neanche il programma di governo (…) che non può essere cambiato solo perché a lui non piace più“.
Ora, nei fatti, tutti sembrano dargli ragione, però.
Come mai?
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