Mag 10
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Procediamo per gradi.
Innanzitutto, Tremonti non si è svegliato una mattina e ha deciso di varare una manovra economica da 24 miliardi di euro (spalmati su due anni) perché non aveva una mazza da fare. Tremonti ha dovuto elaborare la succitata manovra, per due ordini di ragioni: la prima, è che l’Unione europea, dopo la crisi greca, ha chiesto ad ogni paese di adottare misure per ridurre il disavanzo pubblico; la seconda, e ne spiega l’entità, è che il titolare di Via XX Settembre, come sostengono numerosi commentatori, si è reso conto che doveva contenere la spesa pubblica più di quanto avesse previsto in precedenza, e dunque fare tagli assai consistenti, perché altrimenti non sarebbe riuscito a risparmiare le risorse necessarie a dare avvio al Federalismo fiscale.
Per meglio chiarire quest’ultimo punto, è opportuno riportare ciò che alcuni editorialisti, nei giorni scorsi, hanno scritto.
Partiamo dal vice direttore di Libero, Fausto Carioti:
“Le perplessità del premier celano il sospetto che Tremonti stia lavorando per Umberto Bossi, preparando una manovra più dura del dovuto per mettere fieno in cascina in vista dell’avvio del federalismo fiscale, che – almeno in fase di partenza – rappresenta un’incognita per le casse pubbliche”.
Proseguiamo col vice direttore de Il Riformista, Stefano Cappellini:
“Parte dei «sacrifici» anticipati servono a rendere praticabile finanziariamente la via che porta al federalismo. Via lastricata d’oro, e che costringerà Tremonti a forzare i cordoni di borsa, col rischio però, oltre che di terremotare i conti pubblici, di rendere molto meno digeribile il rigore imposto ad altri”.
Terminiamo con Marco Galluzzo del Corriere della Sera:
“Il premier ha rivolto al proprio ministro l’accusa di voler strafare, di preparare un manovra economica più forte del necessario non solo per le reali necessità della finanza pubblica, ma anche per un motivo contabile e politico ben preciso: favorire la Lega, il blocco di consenso del partito di Umberto Bossi e al tempo stesso accantonare più risparmi di quanti ne occorrano per il momento in cui dovrà essere varato il federalismo fiscale”.
Gli italiani, dunque, dovranno fronteggiare sacrifici onerosi più del necessario, perché bisognava accontentare Umberto Bossi e il suo partito. Lo si tenga a mente.
Veniamo ora, e brevemente, a considerare l’entità delle manovre correttive adottate dai principali paesi europei.
La Germania, fino al 2016, proverà a risparmiare ogni anno 10 miliardi di euro. E, siccome i soldi non crescono sugli alberi, Frau Merkel ridurrà la spesa sociale a più non posso: meno sussidi di disoccupazione, meno trasferimenti ai Lander e altri tagli del genere (tra l’altro, non si esclude nemmeno la possibilità di fare ricorso a nuove tasse). Il tutto, per riuscire a portare il rapporto deficit/Pil al 3% (oggi supera il 5) entro il 2013. Va altresì aggiunto che la Germania, secondo i dati di aprile, ha un tasso di disoccupazione dell’8,1%.
Passiamo alla Francia. In questo paese la manovra correttiva raggiungerà l’importo di 100 miliardi di euro (dicasi 100) in tre anni. Il che si tradurrà, innanzitutto, in un “congelamento” (al valore attuale) della spesa pubblica fino al 2012; e poi, in una riduzione del 10% delle spese di funzionamento dello stato, e delle risorse destinate agli aiuti ai meno abbienti. Obbiettivo: riportare il rapporto deficit/Pil, che oggi è all’8%, al 6% nel 2011 e al 4,6 nel 2012. La disoccupazione transalpina, secondo i dati Ocse di marzo, è al 10,1%.
Veniamo alla Spagna. Qui, ai tagli da 50 miliardi (in un triennio) già decisi in autunno, se ne aggiungeranno altri del valore di 15 miliardi nel 2011 e nel 2012. Il che si tradurrà anche in una sforbiciata del 5% allo stipendio di tutti i dipendenti pubblici. Obiettivo: riportare il rapporto deficit/Pil, che ha superato quota 11,4%, al 3% entro il 2013. Nel paese di Zapatero la disoccupazione, nel quarto trimestre 2009, si è attestata al 18,8% (e in questo istante, probabilmente, è ancora più elevata).
Veniamo al Regno Unito. Il neo eletto David Cameron ha varato una manovra da 6,2 miliardi di sterline (circa 7,1 miliardi di euro), che si tradurrà in tagli generalizzati alla “cosa pubblica”: dall’istruzione alle spese del Welfare, dai trasporti alle spese per le consulenze nella pubblica amministrazione. Anche in questo paese l’obiettivo è il contenimento del rapporto deficit/Pil che, quest’anno, è atteso all’11%. Mentre il tasso di disoccupazione, a marzo, è arrivato all’8%.
Detto questo, passiamo alla finalità “ufficiale” della manovra economica nostrana; quale è stata espressa nella Relazione Unificata sull’Economia e la Finanza dal ministro Tremonti:
“Il Governo intende mantenere gli impegni assunti in sede europea confermando il percorso di consolidamento finanziario: gli obiettivi programmatici di indebitamento netto restano fissati al 3,9% del Pil nel 2011 e al 2,7% nel 2012”.
Va aggiunto che secondo il Fondo Monetario Internazionale, il nostro rapporto deficit/Pil (lordo) nel 2010 dovrebbe arrivare al 5,2% (quello strutturale, cioè al netto delle spese una tantum e del decremento legato alla contrazione del Pil, dovrebbe fermarsi al 3,5%). Il rapporto deficit/Pil tedesco, invece, dovrebbe attestarsi al 5,7%; e quello francese all’8,2%. Per quanto riguarda il nostro tasso di disoccupazione, invece, dovrebbe attestarsi all’8,7%.
Fatta questa lunga e noiosa premessa, ch’era necessaria, veniamo a parlare – sia pur per grandi linee, e non nel dettaglio (farlo sarebbe oltremodo oneroso, ed anche inutile) – dei contenuti della manovra varata ieri.
Rispetto alle anticipazioni che avevamo già commentato (anche qui), la manovra definitiva non presenta variazioni di sorta, nel suo impianto complessivo. Ha un orizzonte di breve periodo, ragionieristico, contabile, serve a passare “’a nuttata”; non certo a risolvere strutturalmente alcuni problemi del nostro paese. Ad esempio essa non affronta, se non in modo marginale (chiudendo alcune “finestre“), la questione dell’innalzamento dell’età pensionabile. Eppure, giusto ieri l’altro, il Fondo Monetario Internazionale ci aveva incoraggiato ad innalzare l’età per accedere al rapporto di quiescenza e ad adottare “riforme del mercato del lavoro che introducano maggiore flessibilità”.
Parole sante, e che ci consentono di affrontare l’aspetto più controverso della manovra: essa presenta tagli consistenti (il che non è affatto un problema in sé), e tuttavia non contempla misure che garantiscano la “sterilizzazione” degli effetti recessivi dei medesimi, evitando si traducano in un’ulteriore contrazione del Pil; né annovera misure volte a creare nuova occupazione.
La manovra economica varata dal governo, infatti, non contiene alcun provvedimento per rilanciare l’economia; non contempla ad esempio liberalizzazioni; e quest’ultime – visto che si è tagliata parecchio la spesa pubblica e ciò farà diminuire la “domanda aggregata” e assottiglierà ulteriormente il Prodotto Interno Lordo – avrebbero potuto favorire una ripresa della nostra economia (“liberando” 5 punti di Pil in 3 anni), utile – quantomeno – a “compensare” le inevitabili ricadute recessive dei succitati tagli alla spesa.
Ancora più chiaramente (almeno spero): si è tagliata tanta spesa pubblica, e ciò determinerà una diminuzione del Pil; se però si fossero varate anche delle liberalizzazioni, queste avrebbero potuto compensarla (almeno in parte) generando un po’ di crescita aggiuntiva. Non lo si è fatto, e se ne pagheranno le conseguenze. Anche perché, giova ricordare, il rapporto deficit/Pil non dipende solo dal “numeratore” (il deficit), ma anche dal “denominatore” (il Pil): se quest’ultimo diminuisce, e di parecchio, il succitato rapporto peggiora (nonostante i tagli di spesa finalizzati a ridurre il disavanzo). E se peggiora, giocoforza si deve adottare una nuova finanziaria.
La manovra, inoltre, non contiene misure volte a facilitare il “riassorbimento” della disoccupazione. Quando, invece, essa avrebbe dovuto prevedere l’introduzione di nuove figure contrattuali, per rendere temporaneamente ancora più flessibile – e precario – il mercato del lavoro. Per un disoccupato, ora come ora, è meglio un posto di lavoro oltremodo “instabile“, che il niente più assoluto.
C’è poi un altro capitolo problematico, ed è quello della lotta all’evasione fiscale e alle false pensioni d’invalidità. Da queste due voci, il governo pensa di poter introitare alcuni miliardi di euro.
Domanda: e se si dovesse incassare di meno? Il governo varerebbe una nuova manovra correttiva, per reperire le risorse che mancano all‘appello?
E qui veniamo al punto: la sensazione è che, tra un anno (o giù di lì), per gli effetti recessivi dei tagli e per la difficoltà di intascare danari dalla lotta ai furbetti del fisco e delle pensioni d’invalidità, saremo costretti ad assistere ad un’altra bella stangata.
Una cosa è certa, in ogni caso: quanto fatto da Tremonti non risolve i nostri problemi (questa volta concordo con Porro).
P.S. La soppressione di 16 Province su 110 è una presa per il culo; un insulto.
P.P.S. Tremonti dice che non ci sarà alcuna abolizione delle Province, mentre Bossi avverte: “Se tagliano Bergamo è guerra civile”.
P.P.P.S. Due misure contenute nella manovra sono particolarmente interessanti: quella che prevede l’istituzione di zone a burocrazia zero, e quella finalizzata ad attrarre imprese europee.
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