Set 10
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“Mai provvedimento giudiziario fu più popolare, più atteso, quasi liberatorio di questo firmato contro Craxi. Di Pietro non si è lasciato intimidire dalle critiche, dalle minacce di mezzo mondo politico (diciamo pure del regime putrido di cui l’appesantito Bettino è campione suonato) e ha colpito in basso e in alto, perfino lassù dove non osano nemmeno le aquile. Ha colpito senza fretta, nessuna impazienza di finire sui giornali per raccogliere altra gloria. Craxi ha commesso l’errore di spacciare i compagni suicidi (per la vergogna di essere stati colti con le mani nel sacco) come vittime di complotti antisocialisti. È una menzogna, onorevole: che cosa vuole che importi a Di Pietro delle finalità politiche. I giudici lavorano tranquilli, in assoluta serenità: sanno che i cittadini, ritrovata dignità e capacità critica, sono dalla loro parte. Come noi dell’Indipendente, sempre“. (da l’Indipendente, 16 dicembre 1992).
“È impossibile che tutto il castello accusatorio sia parto della fantasia (malata o remunerata) dei picciotti passati dalla piovra alla Giustizia. C’è chi mira a delegittimare i pentiti. Delegittimandoli, infatti, gli imputati dei processi di mafia si assicurano l’impunibilità“. (da l‘Indipendente, 21 aprile 1993, parlando del processo di Palermo contro Giulio Andreotti).
“Quegli onorevoli che oggi si stracciano il doppiopetto (pagato verosimilmente con le mazzette) perché molti politici finiscono in galera sino a che non dicono la verità, sbagliano a prendersela con Borrelli e compagnia bellissima. I magistrati fanno solo il loro dovere. E noi siamo con loro […]. La cella è il luogo migliore per servire la giustizia, per riflettere e ricordare“. (da l’Indipendente, 10 luglio 1993).
“Ammesso e non concesso che un magistrato abbia sbagliato, ecceduto, ciò non deve autorizzare i ladri e i tifosi dei ladri, gli avvoltoi del garantismo, a gettare anche la più piccola ombra sulla lodevole e mai sufficientemente applaudita attività dei Borrelli e dei Di Pietro“. (da l’Indipendente, 21 luglio 1993).
“In Italia le penne sono sempre state sporche. In alcuni casi luride. Motivo? Semplice. Tanto per cominciare, la tradizione. La nostra stampa (quotidiana e periodica) non è nata per informare, bensì per polemizzare. Chi aveva soldi e interessi da difendere, finanziava un giornale, magari con l’intento di farsi eleggere in Parlamento. E farsi eleggere in Parlamento significava, allora come oggi, abbassare gli avversari per innalzare se stessi. Per fare ciò era necessario assoldare giornalisti disponibili. Disponibili a che? A insultare tutti, tranne il padrone che pagava. Così nacquero la penne sporche, che hanno avuto molti figli e molti nipoti. Che a loro volta si riproducono perché, in fondo, il sistema non è cambiato“. (prefazione al romanzo di Tito Giliberto, Penne sporche, Stampa Alternativa).
Firmato: Vittorio Feltri, un uomo di assoluta coerenza (e che mai cambia idea).
(Continua, ovviamente)
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