Set 10
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Uil: il Federalismo fiscale costerà 435 euro annui in più ai lavoratori dipendenti e 375 ai pensionati
Fin dall’approvazione della legge-delega sul Federalismo fiscale, qui ci si è posti alcuni interrogativi.
1) La messa all’opera della succitata riforma richiede un esborso di danaro da parte dello stato? E se è così, tale onere economico avrà natura di una tantum, oppure di “costo fisso” (ovvero annuale)?
2) Il Federalismo fiscale, soprattutto nella cosiddetta “fase transitoria” (Capo VIII, Norme transitorie e finali, art. 17) – quella in cui si ridurranno gradualmente i trasferimenti statali, e si passerà, altrettanto gradualmente, dalla “spesa storica” al “costo (o fabbisogno) standard” – comporterà un aumento della pressione fiscale locale? Avremo più tasse da pagare?
3) Il varo del Federalismo fiscale è compatibile con l’obiettivo di ridurre le tasse entro la fine della legislatura?
4) Gli ingenti tagli alla spesa pubblica che dalla sua entrata in vigore dovrebbero derivare, e il più che probabile aumento della pressione fiscale locale (senza il quale gli enti territoriali non riuscirebbero a far fronte all’erogazione di molti servizi, stante la contrazione dei trasferimenti statali), sono compatibili con la fase recessiva che la nostra economia sta vivendo? O si corre il rischio che deprimano, ancor più, il nostro Pil, e che producano un effetto analogo a quello della Finanziaria del ‘92-93?
Per rispondere a tali domande, ci si è dovuti arrangiare un bel po’. Però alla fine qualche risposta la si è ottenuta; sui costi del Federalismo fiscale, ad esempio.
Umberto Bossi (22 gennaio 2009):
“Tremonti dice che deve fare i conti, che sta cercando di risparmiare i soldi per il federalismo fiscale”.
Giulio Tremonti (21 gennaio 2009):
“Difficile dare cifre (…). Non sono formule meccaniche come nei sistemi semplici, ma compongono un sistema olistico come il corpo umano; interagiscono tra di loro essendo interdipendenti e coniugate. Le variabili che devono essere conteggiate per formulare il calcolo sono un numero elevatissimo”.
Il sottosegretario berlusconiano Guido Crosetto (22 gennaio 2009):
“Se non ricordo male, durante il passato governo Berlusconi venne fatto uno studio. Il costo della riforma calcolato allora era superiore ai cento miliardi”.
Il presidente berlusconiano della commissione parlamentare per l’Attuazione del federalismo fiscale, Enrico La Loggia (29 aprile 2010):
“Serviranno alcuni miliardi di euro”.
Roberto Sorrentino, docente universitario di Scienza delle finanze nonché consulente del succitato La Loggia (9 maggio 2010):
“I costi li scopriremo a tappe, passo dopo passo. Tuttavia ricordo che, fin dal 2005, i dati dei più autorevoli istituti di ricerca, che in quell’occasione presentai alla commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, sono contraddittori. E da allora non è cambiato molto, visto che ancora oggi mancano i termini per prevedere i costi del federalismo”.
Almeno una cosa, dunque, dovrebbe essere certa: la messa all’opera del Federalismo fiscale, checché ne dicano taluni leghisti, comporta l’esborso di quattrini.
Passiamo avanti, e cerchiamo di capire se il varo del Federalismo fiscale sia compatibile con l’obiettivo di falcidiare le tasse entro questa legislatura.
Per rispondere a tale quesito, affidiamoci a due fonti più che attendibili: Il Giornale diretto da Vittorio Feltri e il Ministro dell’Economia Tremonti.
Partiamo da Il Giornale (3 novembre 2009):
“Il Cavaliere è stato categorico, soprattutto dopo che gli hanno spiegato nel dettaglio perché per abbassare la pressione fiscale bisognava attendere “l’entrata a regime del federalismo fiscale”. Che, tradotto, significa la prossima legislatura, anno 2013”.
Altrettanto chiaro è stato il tributarista di Sondrio (13 luglio 2008):
“La riduzione delle tasse verrà come dividendo del federalismo fiscale”.
Un’altra cosa è certa, dunque: il varo del Federalismo fiscale è incompatibile con la riduzione delle tasse entro questa legislatura. E la stessa verrà – a detta di Tremonti – “come dividendo del federalismo fiscale”. Quindi, secondo il titolare di Via XX Settembre, solo per effetto della succitata riforma, ed in futuro, il nostro Paese sarà gravato da una minore imposizione fiscale.
Già. Ma quanto è lontano quel “futuro”?
Ce lo spiega lo stesso consulente della commissione per l’Attuazione del Federalismo fiscale, il già citato professor Roberto Sorrentino (9 maggio 2010):
“Il federalismo fiscale è un processo inevitabile che porterà solo benefici al Paese, ma non basteranno sette anni per completarne l’iter di attuazione. E l’Italia non può aspettare tanto: per affrontare le crisi nazionali e internazionali è meglio, oltre che più veloce, mettere mano alla riforma fiscale. Subito”.
“Serviranno non meno di sette anni per arrivare ad una riforma compiuta”.
Sette anni, dicansi sette, per completare l’iter di attuazione del federalismo fiscale. Dopodiché dovrebbero vedersi i primi effetti per il portafogli: la tanto agognata riduzione delle tasse.
Bene. Ma a quanto ammonta, su per giù, il risparmio che deriverebbe dal Federalismo fiscale? Ce lo rivela il responsabile economico della Lega, Massimo Garavaglia (4 settembre 2008):
“A regime, ovvero nel giro di cinque anni, il risparmio a famiglia si aggirerà attorno ai 500 euro all’anno, sempre se si riuscirà ad aggredire il mostro: ovvero l’evasione fiscale, che è distribuita in maniera molto difforme, e la spesa pubblica improduttiva, anche questa distribuita in modo assolutamente difforme”.
Quindi, se tutto va bene, se si riescono a ridurre gli sprechi e a recuperare l’evasione fiscale (campa cavallo!), tra una diecina d’anni risparmieremo 500 euro a famiglia. Che culo! Fino ad allora, però, tireremo la cinghia con le “aliquote di Visco”.
Altra questione.
Il Federalismo fiscale è recessivo?
A tale quesito risponde ancora Tremonti (21 gennaio 2009):
“Nell’attuazione del federalismo terremo conto di questo vincolo esterno, ovvero il contesto di crisi. L’obiettivo del governo è che il federalismo non costituisca un fattore di intensificazione e prolungamento della crisi”.
Dunque, siccome Tremonti ha affermato che “l’obiettivo del governo è che il federalismo non costituisca un fattore di intensificazione e prolungamento della crisi”, vuol dire che la riforma in oggetto ha tutte le potenzialità per esserlo. Altro non c’è da aggiungere in proposito.
Andiamo avanti.
Il Federalismo fiscale, soprattutto nella “fase transitoria”, si tradurrà in nuove tasse?
Risponde ancora una volta il consulente della commissione per l’Attuazione del Federalismo, il professor Roberto Sorrentino (9 maggio 2010):
“I governatori delle singole Regioni, potendo emettere tributi, potrebbero dare libero sfogo alle loro fantasie fiscali a danno del contribuente. Ma bisogna impedire la creazione di una Babilonia dei tributi: il rischio è un aumento della pressione fiscale generale”.
In proposito, qualche calcolo preciso lo ha fatto la Uil; stimando che per effetto della possibilità (attribuita alle Regioni) di aumentare l’addizionale Irpef fino al 3%, come deciso recentemente dal governo con una bozza di decreto legislativo, i lavoratori dipendenti si troverebbero a pagare 435 euro pro capite in più all‘anno; mentre i pensionati, 375.
Nel dettaglio, a pagare più tasse – ironia della sorte – sarebbero soprattutto i veneti, i quali dovrebbero sborsare – in media – 574 euro annui in più. Al secondo posto, invece, vi sarebbero i cittadini del Trentino Alto Adige, cui toccherebbero versamenti più onerosi nell’ordine dei 499 euro annui. Al terzo posto i lombardi, con 490 euro annui – in media – in più. Mentre i più “fortunati” sarebbero i calabresi, che dovrebbero sborsare soltanto 309 euro in più.
Va aggiunto altro?
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