Rudimenti di liberalismo – Ludwig von Mises

Da Liberalismo, di Ludwig von Mises (Rubbettino editore):

Il benessere materiale

“La dottrina liberale considera esclusivamente il comportamento degli uomini in questo mondo. Essa guarda prioritariamente all’incremento del benessere esteriore, materiale degli individui, e non si preoccupa direttamente dei suoi bisogni interiori, delle sue esigenze spirituali e metafisiche.

Agli uomini esso non promette la gioia e la felicità, ma semplicemente la massima soddisfazione possibile di tutti quei desideri che possono essere soddisfatti mediante la disponibilità di oggetti del mondo esterno.

È stato rimproverato in vari modi al liberalismo questo suo atteggiamento esteriore e materialistico verso le realtà terrena e transeunte. Si è detto che la vita dell’uomo non si esaurisce nel mangiare e nel bere; che esistono bisogni ben diversi e più importanti di quelli elementari di nutrirsi, vestirsi e avere un tetto; che anche la più grande ricchezza terrena non potrebbe mai dare all’uomo nessuna gioia, e lascerebbe insoddisfatta e vuota la sua interiorità, la sua anima; che il più grande errore del liberalismo, insomma, sarebbe stato quello di non aver saputo offrire nulla alle più nobili e profonde aspirazioni dell’uomo.

Tuttavia i critici che dicono questo mostrano con ciò stesso di essere loro ad avere un’immagine assai riduttiva e molto materialistica di queste aspirazione più alte e più nobili. Con i mezzi umani di cui la politica dispone si possono certamente rendere gli uomini ricchi o poveri, ma non si può mai arrivare a renderli felici e a soddisfare i loro aneliti più intimi e profondi. Qui tutti gli espedienti esteriori falliscono.

Tutto ciò che la politica può fare è eliminare le cause esterne della sofferenza e della pena; può promuovere un sistema che dia pane agli affamati, vesta gl’ignudi e dia un tetto ai diseredati. Ma gioia e felicità non dipendono dal nutrimento, dagli indumenti e dall’abitazione, bensì da tutto ciò che è custodito nell’interiorità dell’uomo.

Se il liberalismo fissa la sua attenzione esclusivamente sui beni materiali, non è perché esso sottovaluti i beni spirituali, ma perché è convinto che ciò che vi è di più alto e di più profondo nell’uomo non possa essere assoggettato a regole esterne. Esso cerca di creare soltanto il benessere esteriore, perché sa che la ricchezza interiore, la ricchezza spirituale, non può venire all’uomo dall’esterno ma soltanto dalla sua interiorità.

Esso non vuole creare altro che le condizioni preliminari per lo sviluppo integrale della vita interiore. E nessuno può dubitare del fatto che il cittadino del ventesimo secolo, che vive in condizioni di relativo benessere, possa soddisfare i suoi bisogni spirituali meglio del cittadino del decimo secolo, perennemente preoccupato della sopravvivenza quotidiana e della minaccia dei nemici (…)”.

I limiti dell’attività di governo

“Secondo la concezione liberale, la funzione dell’apparato statale consiste unicamente ed esclusivamente nel garantire la sicurezza della vita, della salute, della libertà e della proprietà privata contro chiunque attenti a esse con la violenza (…). Tuttavia il potere, come afferma Jakob Burckhardt, è cattivo in sé, chiunque lo eserciti, e induce a farne cattivo uso. Non solo i sovrani assoluti e le aristocrazie, ma anche le masse, che in democrazia sono sovrane, hanno una tendenza fin troppo facile a eccedere.

Negli Stati Uniti la produzione e il commercio delle bevande alcoliche sono proibiti. Gli altri Stati non arrivano a tanto, però esistono quasi dappertutto restrizioni alla vendita dell’oppio, della cocaina e di altre sostanza stupefacenti. Si ritiene generalmente che uno dei compiti del potere legislativo e dell’amministrazione sia quello di difendere l’individuo da se stesso (…).

Sul fatto che tutte quelle droghe siano nocive alla salute, non vale la pena di spendere neanche una parola (…). Un fatto è certo: che alcolismo, cocainismo e morfinismo sono nemici terribili della vita, dell’uomo, della sua capacità di lavorare e di godere dei frutti del suo lavoro, e perciò chi ragiona in termini utilitari dirà sempre che sono dei vizi. Ma, detto questo, non si è affatto dimostrata la necessità che l’autorità intervenga con divieti commerciali per reprimere questi vizi (…).

La circostanza che la produzione e il commercio di queste droghe non vengano impedite dallo Stato non impedisce a sua volta, a chi è convinto che il loro uso o abuso siano nocivi, di astenersene e di condurre una vita morigerata. Il vero e unico problema è di stabilire se gli avversari convinti del consumo di droghe nocive abbiano il diritto di impedirne autoritariamente il consumo a chi non è della loro opinione o non ha la forza di volontà sufficiente per astenersene o per condurre una vita morigerata.

Ed è un problema che non può essere affrontato guardando esclusivamente alla iattura dell’alcolismo (…). Se infatti si concede in linea di principio alla maggioranza dei cittadini di uno Stato il diritto di prescrivere a una minoranza il modo in cui deve vivere, allora non è possibile fermarsi al consumo dell’alcol, della morfina, dell’oppio, della cocaina e di altre droghe simili.

Perché mai ciò che vale per queste droghe non deve valere anche per la nicotina, il caffè e altre droghe simili? Perché allora lo Stato non deve prescrivere quali cibi consumare e quali invece evitare perché nocivi? Anche nello sport molti superano i limiti delle loro forze. E perché allora lo Stato non dovrebbe intervenire anche in questo campo? Sono pochissimi gli uomini che sanno darsi una misura nella loro vita sessuale, e sembra che specialmente chi si avvicina alla vecchiaia trovi particolarmente difficile ammettere che è ora di chiudere la partita o perlomeno di moderarsi. Deve intervenire anche qui lo Stato? Ancor più nociva di tutti questi vizi, secondo alcuni, è la lettura di romanzi pornografici. Bisogna dunque permettere a una editoria che specula sui più bassi istinti dell’uomo di traviare gli animi? E perché non impedire l’esposizione di quadri osceni, la rappresentazione di opere teatrali licenziose, e tutto ciò che può favorire il malcostume?

E non è altrettanto dannosa la diffusione di false teorie sulla convivenza sociale degli individui e dei popoli? Bisogna permettere l’incitamento alla guerra civile e alla guerra contro paesi stranieri? Ed è ammissibile che il rispetto della religione e della Chiesa sia minato da libelli infamanti e invettive ingiuriose?

Come si vede, non appena abbandoniamo il principio fondamentale della non ingerenza dell’apparato statale in tutte le questioni attinenti il comportamento individuale, arriviamo a regolamentare e a limitare la vita fin nei minimi dettagli. La libertà personale dell’individuo viene soppressa, ed egli diventa schiavo della collettività, servo della maggioranza. Non c’è neanche bisogno di immaginarsi quale abuso verrebbe fatto di simili poteri discrezionali in mano a persone intenzionate a esercitarli nel modo peggiore (…). Negli Stati Uniti i metodisti e i fondamentalisti, subito dopo l’introduzione del proibizionismo sugli alcolici, hanno cominciato una battaglia contro l’evoluzionismo, e in una serie di Stati dell’Unione si è già riusciti a espellere il darwinismo dalle scuole. Nella Russia sovietica la libertà di opinione viene repressa. In quel paese permettere o non permettere un libro dipende dal parere arbitrario di un pugno di fanatici rozzi e ignoranti, ai quali è stata affidata la direzione dell’apposita sezione dell’apparato statale.

La tendenza tutta contemporanea a sollecitare divieti arbitrari non appena qualcosa non va a genio, e la disponibilità ad assoggettarsi a tali divieti anche quando non si è d’accordo con la loro motivazione, dimostra che non ci si è ancora liberati dal servilismo. Ci vorranno anni di autoeducazione prima di trasformarsi da sudditi in cittadini. Un uomo libero deve saper tollerare che i suoi simili si comportino e vivano diversamente da come egli ritiene giusto, e deve disabituarsi a chiamare la polizia non appena qualcosa non gli va a genio”.

La proprietà privata e il governo

“Tutti i detentori del potere politico, tutti i governi, tutti i re e tutti i regimi repubblicani sono stati sempre avversi alla proprietà privata. In qualsiasi potere politico è insita la tendenza a sconfinare dai propri limiti e a estendere il più possibile l’ambito della propria influenza. Controllare tutto, non lasciare nessuno spazio in cui le cose possano svolgersi liberamente senza l’intervento dell’autorità: è questo il fine recondito cui mira chiunque abbia in mano le redini del potere.

E per chi mira a questo la proprietà privata rappresenta un ostacolo. La proprietà privata crea una sfera nella quale l’individuo è libero dall’ingerenza dello Stato, pone limiti allo sconfinamento della volontà dello Stato, e permette che accanto e contro i poteri politici sorgano altri poteri. La proprietà privata diventa così la base di ogni iniziativa vitale libera dall’ingerenza del potere politico, il terreno d’impianto e di coltura della libertà, dell’autonomia dell’individuo, e in ultima analisi di qualsiasi sviluppo della vita spirituale e materiale. In questo senso la proprietà è stata definita la condizione fondamentale dello sviluppo dell’individuo (…).

Non è mai esistito un potere politico che abbia rinunciato a ostacolare la proprietà privata dei mezzi di produzione, impedendole di sviluppare liberamente tutte le sue iniziative. I governi tollerano la proprietà privata solo se vi sono costretti, ma non la riconoscono spontaneamente per il fatto che ne conoscono la necessità (…). Un governo spontaneamente liberale è una contradictio in adjecto. I governi devono essere costretti a essere liberali dal potere unanime dell’opinione pubblica. Inutile contare su un loro liberalismo volontario (…)”.

(Continua).

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