Gen 11
12
Corruptissima re publica plurimae leges.
Il Corriere della Sera, stamane, ha pubblicato una lettera del socialista di Dio, Julius Evola Tremonti; nella quale quest’ultimo è tornato ad affrontare la questione della possibile modifica dell’articolo 41 della Carta, finalizzata a facilitare l’intrapresa economica.
È un argomento che il successore di Quintino Sella aveva già toccato quest’estate, quando manifestò l’intenzione di voler intervenire sulla Costituzione, e non sulle leggi ordinarie, per semplificare le procedure propedeutiche all’avvio di attività d’impresa, e i relativi controlli. Già in quell’occasione definimmo la proposta quale “presa per il culo“. Per novare una norma di rango costituzionale, infatti, è necessaria, ex articolo 138 della Carta, una maggioranza qualificata di 2/3; che vuol dire che senza il voto dell’opposizione non si dà luogo ad alcuna modificazione legislativa. Ragion per cui, sommessamente, invitammo il ministro a comportarsi da persona seria, e ad affrontare la questione come solo è possibile: attraverso interventi sulle leggi ordinarie.
Detto questo, e prima di proseguire con l’oggetto del post, è opportuno leggere taluni stralci della lettera di Tremonti:
“Cominciamo dalla liberalizzazione delle attività d’impresa. Le regole giuste sono un investimento. Sono le regole sbagliate ad essere un costo. E le regole possono essere sbagliate anche perché sono troppe. Con la globalizzazione il mondo è radicalmente cambiato e nella globalizzazione la competizione non è più solo tra imprese, ma anche tra blocchi continentali e sistemi giuridici. In linea di principio si può essere a favore o contro la competizione economica globale. Ma in concreto non si può fare finta che non ci sia. Non ci si può illudere che tutto possa continuare come prima. Nello scenario globale che si è aperto, l’Italia ha davanti a sé l’alternativa tra declino e sviluppo. Se si vuole lo sviluppo si deve cambiare, a partire dal dominio giuridico (…).
In realtà il nodo di Gordio, la metafora millenaria della semplificazione, non si scioglie ma si taglia con un colpo di spada. Con una norma che dia efficacia costituzionale e definitività al principio di responsabilità, all’autocertificazione, al controllo ex post, estendendoli con la sua forza obbligatoria a tutti i livelli dell’ordinamento, superando così i problemi del complicato riparto delle competenze legislative. Alla obiezione sui tempi lunghi di una legge costituzionale si può rispondere ricordando che la Legge costituzionale istitutiva della Bicamerale D’Alema fu approvata in 4 mesi (agosto compreso).
(…) Non ci sono reali alternative: la cappa delle regole che pesa sull’economia, una cappa che è cresciuta a dismisura negli ultimi tre decenni ed è aggrovigliata dalla moltiplicazione delle competenze – centrali, regionali, provinciali, comunali – è ormai divenuta tanto soffocante da creare un nuovo Medioevo. Dietro la follia regolatoria c’è in specie qualcosa che in realtà va nel profondo dell’antropologia culturale: una visione dell’uomo che è o negativa o riduttiva. La visione negativa è quella della gabbia (l’homo homini lupus). Il lupo va ingabbiato: è Hobbes. Da questa filosofia sono derivati l’assioma e la contrapposizione moderna fra pubblico e privato, dove «pubblico» è stato assiomaticamente associato a «morale» e «privato» a «immorale». La visione riduttiva si basa invece sull’assunto che l’uomo non è certo «a priori» malvagio, ma è tuttavia insufficiente a sé stesso, in parte incapace di fare da solo il suo bene. Ad esso soccorre dunque la benevolenza del potere pubblico (…).
E’ stato Alexis de Tocqueville, in La democrazia in America, a fare profeticamente la più efficace sintesi del processo che oggi ci troviamo, nonostante tutto, a subire: «Il sovrano estende il suo braccio sull’intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose ed uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la folla; esso non sprezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente di impedire che si agisca, non distrugge, ma impedisce di creare, non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi della quale il governo è pastore. Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all’ombra della sovranità del popolo».
Il Medioevo vero è finito, ma il nuovo Medioevo, che ci si presenta come la caricatura giuridico-democratica di quello precedente, ci fa scivolare verso il declino (…).
L’articolo 41 della Costituzione italiana dispone quanto segue: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». In teoria potrebbe essere formulata l’ipotesi di modificarlo radicalmente. Non credo che questa sia l’idea giusta. Nel «vecchio» articolo 41 della Costituzione ci sono infatti elementi fondamentali che assolutamente devono essere conservati. Ma è arrivato il tempo per operarne un aggiornamento. E’ arrivato il tempo di intervenire su quell’articolo, integrandolo per rimuovere tipi e forme di interpretazione che hanno riportato il Medioevo (…).
E’ per questo che con una legge costituzionale non solo va «potenziato» l’articolo 41, in raccordo con la successiva modifica dell’articolo 118 della Costituzione, ma lo si può, lo si deve riformare valorizzando i princìpi morali, sociali, liberali della responsabilità, dell’autocertificazione, del controllo ex post, contro i costi di manomorta e di immobilizzo tipici del vecchio-presente regime (…)”.
Parole splendide. Parole da vero liberal-conservatore.
Peccato che ad averle pronunciate (o meglio: scritte) sia un signore che, con l’ultima legge Finanziaria, ha stabilito – in ossequio alla peggiore antropologia hobbesiana e catto-comunista – che il cittadino contribuente, in caso di contenzioso tributario, sia da ritenersi colpevole sino a prova del contrario. Peccato che ad averle pronunciate sia un signore che, con la medesima legge di Bilancio, ha introdotto il principio del “solve et repete”; in forza del quale, e per parafrasare sempre de Tocqueville, “Il sovrano”, non solo “estende il suo braccio sull’intera società (…)” , ma riduce “infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi della quale il governo è pastore” e, aggiungiamo noi, Padrone.
Non solo.
Tremonti, che pur essendo settentrionale è molto furbo, utilizza impropriamente l’espressione “liberalizzazione” perché sa che l’argomento piace molto ai cittadini; agli imprenditori in primis. Ma nella sua proposta non v’è traccia alcuna di liberalizzazione propriamente detta.
Quest’ultima, infatti, si ha quando si apre un settore alla concorrenza di molteplici operatori; quando si consente a più soggetti, e non ad uno solo in regime di monopolio, di vendere/offrire il medesimo servizio o la medesima merce; onde migliorarne la qualità ed abbassarne, attraverso la concorrenza, il prezzo.
Una liberalizzazione vera, ad esempio, è quella voluta da Bersani nella precedente legislatura, e che ha consentito ai supermercati, e non più solo alle farmacie, di vendere i cosiddetti “farmaci generici”.
Assodato, quindi, che la proposta tremontiana non abbia alcunché a che vedere con una liberalizzazione, come la si può definire?
Di certo non si tratta di una proposta di deregulation. Tremonti, infatti, non ha alcuna intenzione – magari lo volesse! – di introdurre un po’ di sano “laissez faire”. E non ne ha intenzione, perché se si cancellassero leggi e si consentisse a ciascun imprenditore di dover fare i conti con un minor numero di “lacci e lacciuoli”, accadrebbero due cose semplici semplici: innanzitutto, l’Orrida Creatura – il Leviatano – incasserebbe meno soldi, visto che le leggi in Italia si traducono (quasi) sempre in adempimenti fiscali; in secondo luogo, se si attuasse un po’ di sana e reaganiana deregulation, provvedendo per davvero alla soppressione di molteplici norme/adempimenti, finirebbe dritto dritto sulla strada, a chieder l’elemosina, un esercito di avvocati; dacché nel nostro paese, la più parte di essi, non valendo una fava, campa solo grazie al fatto che il cittadino, per districarsi nella mostruosa selva di norme esistenti, sia costretto a rivolgersi assai spesso a legulei.
L’equazione è semplice: più leggi ci sono e più il Leviatano fascio-comunista esercita il proprio controllo/oppressione/vessazione sul cittadino (anche in nome e per conto di Santa Romana Ecclesia: così che venga a tutti ricordato che la vita è null‘altro che “espiazione del peccato originario“, e per ciò deve essere ognora oltremodo difficoltosa); più leggi ci sono e più il Leviatano incassa palanche; più leggi ci sono e più è elevato il numero di coloro che possono permettersi di esercitare, in modo redditizio, la professione forense (a Napoli, ad esempio, ci sono più avvocati che in tutto il Giappone; nel Lazio più di quanti ve ne siano in tutta la Francia; e questo rende possibile la anomala presenza, nel nostro paese, di un elevatissimo numero di sinistri auto. Ma guai a dirle, queste cose!).
Detto questo, naturalmente l’avvocato Tremonti non ha affatto proposto di sopprimere leggi, figurarsi. S’è limitato a suggerire d’intervenire, per di più per via costituzionale, allo scopo di rendere definitiva l’autocertificazione; e successi all’avvio di un’impresa i controlli che oggi, invece, vengono esercitati ex ante.
Insomma, l’ennesima presa per i fondelli.
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