Gen 11
31
Va detto: Berlusconi, nonostante tutto, conserva intatta la capacità di farci ridere, e di gusto. Ha una faccia tosta straordinaria. Quasi quanto il Tribuno del popolino, Antonio Di Pietro.
Si pensi alla lettera che oggi ha inviato al Corriere della Sera: è un florilegio di dichiarazioni spassosissime. In essa, infatti, il Nostro, neanche fosse un esponente dell’opposizione, enumera alcune proposte per il governo della Nazione. Proposte che, in quasi tre anni di legislatura, avrebbe già potuto tradurre in fatti. Se solo avesse voluto. Se solo gli fossero state davvero a cuore. Se solo non avesse deciso di percorrere una strada opposta a quella oggi prospettata.
Ma vediamo di quali proposte si tratta:
“Gentile direttore,
il suo giornale ha meritoriamente rilanciato la discussione sul debito pubblico mostruoso che ci ritroviamo sulle spalle da molti anni, sul suo costo oneroso in termini di interessi annuali a carico dello Stato e sull’ostacolo che questo gravame pone sulla via della crescita economica del Paese. Sono d’accordo con le conclusioni di Dario Di Vico, esposte domenica in un testo analitico molto apprezzabile che parte dalle due proposte di imposta patrimoniale, diversamente articolate, firmate il 22 dicembre e il 26 gennaio da Giuliano Amato e da Pellegrino Capaldo. Vorrei brevemente spiegare perché il no del governo e mio va al di là di una semplice preferenza negativa, «preferirei di no», ed esprime invece una irriducibile avversione strategica a quello strumento fiscale, in senso tecnico-finanziario e in senso politico.
Il debito è una percentuale sul prodotto interno lordo, sulla nostra capacità di produrre ricchezza. Se questa capacità è asfittica o comunque insufficiente, quella percentuale di debito diventa ingombrante a dismisura. Ma se riusciamo a portare la crescita oltre il tre-quattro per cento in cinque anni, e i mercati capiscono che quella è la strada imboccata dall’Italia (…) l’aggressione vincente al debito e al suo costo annuale diventa, da subito, l’innesco di un lungo ciclo virtuoso.
Per fare questo occorre un’economia decisamente più libera (…). La «botta secca» è, nonostante i ragionamenti interessanti e le buone intenzioni del professor Amato e del professor Capaldo, una rinuncia statalista, culturalmente reazionaria, ad andare avanti sulla strada liberale.
(…) Dal momento che il segretario del Pd è stato in passato sensibile al tema delle liberalizzazioni (…) propongo a Bersani di agire insieme in Parlamento, in forme da concordare, per discutere senza pregiudizi ed esclusivismi un grande piano bipartisan per la crescita dell’economia italiana; un piano del governo il cui fulcro è la riforma costituzionale dell’articolo 41, annunciata da mesi dal ministro Tremonti, e misure drastiche di allocazione sul mercato del patrimonio pubblico e di vasta defiscalizzazione a vantaggio delle imprese e dei giovani (…)”.
Esilarante.
A suggerire, oggi, la via delle liberalizzazioni è lo stesso signore che presiede un governo che sta riducendo a brandelli le pur modeste “lenzuolate” liberali introdotte nella scorsa legislatura da Bersani. Ci si riferisce, in particolar modo, a due contro-liberalizzazioni cui stanno lavorando i comunisti dell’attuale maggioranza: quella della professione forense e quella della vendita di medicinali da parte delle parafarmacie. Altro che rivoluzione liberale.
Per non parlare della crescita economica. Oggi Silviuccio nostro dice che occorre muoversi acciocché il nostro Pil aumenti di “oltre il tre-quattro per cento in cinque anni”. Bravo. Ma si tratta della stessa persona che ha voluto mettere al ministero dell’Economia un socialista che, a più riprese, e finanche in televisione, a chi gli consigliava di puntare sulla crescita, a chi gli consigliava di avere “l’ossessione per la crescita“, segnatamente Piercamillo Falasca, ha sempre risposto così: “No, grazie. Nessuna ossessione per la crescita”. Bravo il pirla!
Veniamo alle privatizzazioni. Silvio oggi opina si debba dismettere parte del patrimonio pubblico: beni e quote di capitale sociale detenuti dal Leviatano. Benissimo. Ma si tratta della stessa persona che presiede un esecutivo che, in tre anni di vita, non ha venduto nemmeno uno spillo, al contrario di quanto hanno fatto i governi europei di qualunque colore politico. E non lo ha fatto, tra le tante ragioni, perché il suo ministro dell’Economia, il socialista di Dio Tremonti, si dà il caso sia anche contrario alle privatizzazioni (si guardi questo video dal minuto 1.22).
Silvio, infine, parla di “defiscalizzazioni” a vantaggio di imprese e giovani. Straordinario. Ma è la stessa persona che guida un governo che ha appena sbloccato le addizionali locali, e che sta lavorando al varo di una riforma, il federalismo fiscale, che nei 2/3 della Penisola, a cominciare dal Meridione, porterà a nuove e maggiori tasse. Non vi sono dubbi in proposito.
Ecco, se Berlusconi si fosse interessato meno alla gnocca e più al Paese, in questi quasi tre anni di legislatura; se non avesse, soprattutto, tradito nove promesse elettorali su dieci, oggi, con ogni probabilità, non sentiremmo il bisogno di chiederne le dimissioni.
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