Feb 11
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Ho passato una notte insonne e il post ne risente. Siate clementi.
Partiamo da qui.
Nel 1999, i Radicali si presentarono alle elezioni europee con un programma che contemplava esclusivamente proposte economiche; e, dalla prima all’ultima, tutte liberiste, reaganiane, thatcheriane e di destra.
In questo modo, dalla sera alla mattina, il partitello del duo Bonino e Pannella, abituato sempre a veleggiare attorno al 2%, si ritrovò a racimolare addirittura l’8,5% su scala nazionale; superando, in talune province del Nord (ben 31), il 10%, e raggiungendo, in due casi (Biella e Cuneo), il 15%.
Da dove venivano tutti quei voti? Ovviamente da elettori di destra e di centrodestra. Elettori che, nei primi anni ‘90, s’erano acconciati a votare per la Lega (all’epoca dei fatti iper-liberista, e quindi a favore dello “stato minimo” e della deregulation); e che dal 1994 avevano deciso di accordare la propria preferenza, tendenzialmente, a Forza Italia.
Questi elettori, oggi, per chi votano?
Votano, sia pur solo per disperazione e per mancanza di un’alternativa credibile, per il Popolo della Libertà (e, in misura minore, per la Lega Nord: oggi in nulla liberista).
E allora arriviamo al dunque (sia pur ripetendo, in qualche modo, cose già dette in questo e quest’altro post).
Da oggi ha preso avvio la Costituente di Futuro e Libertà. Entro domenica, quando avrà termine, sapremo cosa intende essere questa nuova formazione politica, e quale identità avrà.
L’auspicio, altre volte già formulato, è che essa voglia essere una destra liberale e liberista. Una destra che voglia farsi carico di recuperare lo spirito con cui, nel ‘94, ebbe a nascere la Casa delle Libertà. Una destra che non getti all’ortiche tutto il berlusconismo, ma che ne recuperi la parte migliore, quella delle origini: quella della Rivoluzione liberale, per intenderci. Perché questo chiedono prioritariamente gli elettori di destra e di centrodestra.
Chiedono che si attuino politiche di contenimento del peso dello stato. Chiedono che si attuino politiche finalizzate ad incrementare le libertà economiche. Chiedono meno burocrazia, meno “lacci e lacciuoli”. Chiedono, inoltre, di non essere considerati quali sudditi, da mungere a dovere quando c’è da far cassa. Chiedono di non essere vessati da un fisco esoso e predatorio. Chiedono, insomma, “meno stato e più mercato”. E più rispetto.
A queste persone si deve una risposta. E a queste persone si può offrire un nuovo progetto politico che ne accolga le istanze e ad esse dia voce.
Questo dovrebbe essere il compito di Futuro e Libertà. Sempreché intenda darsi un’identità da partito di destra liberale, e intenda avere un futuro. Se poi desidera suicidarsi, o condannarsi alla irrilevanza, può continuare a mostrarsi ondivago, come sin qui è accaduto, e campare alla giornata avendo come unica strategia – ed orizzonte – l’improvvisazione.
L’Italia non ha bisogno di un nuovo partito. L’Italia ha bisogno di una politica inedita. Una politica sin qui mai attuata: una politica, ripetiamolo ancora, liberale e liberista. E ne ha bisogno, perché le due coalizioni oggi esistenti non offrono questo “prodotto”; e perché la nostra economia è in uno stato comatoso oramai da troppo tempo; e a pagarne le conseguenze sono i più poveri.
Se si vuole dare un futuro al Paese, si deve avere come priorità la crescita economica. Se si vuole dare stabilità ai lavoratori precari, si deve puntare sulla crescita. Se si vuole dare una prospettiva occupazionale ai disoccupati, si deve puntare sulla crescita. E la destra liberale, da che mondo è mondo, ha l’ossessione della crescita economica.
Primum vivere, deinde philosophari.
Il Paese non ha bisogno dell’ennesima destra sociale, in stile An, Pdl o Lega. Il Paese ha bisogno di una destra liberale che lo rivolti come un pedalino.
Una destra, per intenderci, che non abbia paura di dire che occorre innalzare l’età pensionabile perché non possiamo più permetterci di avere bambini che vadano in pensione a 59 anni; a maggior ragione se si intende trovare i danari necessari a creare un sistema universalistico di ammortizzatori sociali (che completi la legge Biagi).
Una destra che non abbia paura di dire che anche da noi è finalmente arrivato il momento di ridurre il numero di dipendenti pubblici; e per farlo è necessario introdurre una legge che consenta di licenziare nel pubblico impiego.
Una destra che non abbia paura di dire che è vergognoso ed infame ipotecare il futuro dei giovani producendo debito pubblico; e perciò proponga d’inserire in Costituzione l’obbligo di pareggio di bilancio.
Una destra che non abbia il timore di dire che chi è ricco non ha alcun peccato da espiare; e non è giusto, dunque, venga vessato con balzelli vari in modo abnorme (che arrivano a privarlo, in alcuni casi, dell‘80% di ciò che guadagna).
Una destra che non abbia il timore di dire che per far emergere l’evasione fiscale e aumentare il gettito, oltreché per rilanciare l’economia, dare stabilità ai precari e ridurre fortemente la disoccupazione, sia necessario introdurre due sole aliquote, una al 23 e l’altra al 33%; e che per farlo, siccome servono dai 22,5 ai 30 miliardi di euro, occorra tagliare strutturalmente la spesa pubblica lì dove essa viene massimamente sprecata, a cominciare dalla Sanità.
Una destra che non abbia il timore di dire che compito della politica non è quello di dare l’elemosina ai più poveri; ma quello di creare le condizioni perché ogni individuo, anche il più indigente, possa raggiungere qualunque traguardo sociale, se ne è capace e ne ha le qualità.
Una destra che non abbia il timore di dire che per creare le condizioni acciocché ogni individuo, anche il più indigente, possa raggiungere qualunque traguardo sociale, sia necessario incominciare a discutere seriamente della necessità di migliorare la qualità dell’istruzione universitaria; e che questo, gli Stati Uniti e la biografia di Obama ci servano da lezione, può avvenire anche mediante la privatizzazione degli Atenei, e l’istituzione di munifiche borse di studio statali che finanzino gli studi di chi, pur avendo talento da vendere, non abbia i mezzi per frequentare un’Università.
Una destra che non abbia paura di creare panico con una proposta che, da sola, cambierebbe il Paese in due minuti: l’abolizione del valore legale del titolo di studi.
Una destra, insomma, che non abbia paura di fare la destra; di usare un linguaggio di destra; di proporre cose di destra; di scandalizzare ed allarmare i cattocomunisti come da sempre fa la destra, in ogni angolo del globo terracqueo.
Una destra siffatta non piacerebbe a tutti?
E chi se ne frega! Non deve piacere a tutti. Deve piacere a chi ne condivida le posizioni. All’incirca il 30% degli elettori italiani.
Al contrario, una destra “piaciona”, una destra politicamente corretta, una destra che si limitasse a dire cose stupide, banali e socialiste – come quella di Filippo Rossi, per intenderci -, non riuscirebbe a racimolare più del 2-3%; e, ciò che è peggio, non cambierebbe di una virgola il Paese; non creerebbe un solo posto di lavoro; e, a conti fatti, non sarebbe veramente diversa dal Pdl e dalla Lega. Di questa destra, dunque, non abbiamo bisogno.
Abbiamo bisogno di una destra che sia liberale ed anche laica.
Già, ma in che misura, laica?
Non certo fino al punto da essere anti-clericale. Non certo fino al punto da allontanare l’elettore moderato.
Abbiamo bisogno di una destra che, con moderazione e senza eccessi di sorta, non abbia paura di affermare che è sacrosanto dare un riconoscimento giuridico – e pubblicistico – ai conviventi tutti, eterosessuali e gay. Un riconoscimento giuridico, beninteso, che non porti all’introduzione dei cosiddetti matrimoni gay (che ben pochi accetterebbero). Abbiamo bisogno, inoltre, di una destra che, anche in questo caso senza eccessi, si faccia paladina delle ragioni laiche in materia di “testamento biologico” e di “accanimento terapeutico”. Ma che rifugga come la peste qualunque ipotesi di eutanasia.
Ma questi ultimi temi, è bene sia chiaro, non portano voti (altrimenti i Radicali, da 30 anni, prenderebbero il 30%). Né, da soli, possono costituire l’identità di un partito che si dica di destra liberale.
La Rivoluzione liberale, e concludo, o è a tutto tondo, o non è. Non si può costruire una destra liberale solo parlando di diritti civili (o di “ius soli”). Si costruisce una destra liberale innanzitutto preoccupandosi delle libertà economiche. E proponendo “meno stato e più mercato”.
Vedremo, nei prossimi due giorni, se Fini ne è consapevole.
Sullo stesso argomento, anche: “Futuro e Libertà sia la destra liberale che il Paese mai ha avuto”; “Non c’è futuro per Futuro e Libertà. Se non all’interno del Pdl”.
P.S. Qui, domenica, si farà un live-blogging per seguire in diretta l’intervento di Fini.
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