Mar 11
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La riforma della giustizia
Riporto da Processo Mediatico:
“Potrà mai essere credibile una riforma della giustizia firmata dal pluri-imputato, conflittualmente interessato, dunque politicamente unfit a mettere mano al tema, Berlusconi? La questione, deliziosamente sollevata dal nostro filosofo gourmet, Daniele Cortese, non è certo peregrina. È uno degli aspetti – il più istituzionalmente controverso – dei conflitti di interesse che assiomaticamente accompagnano il nostro cavaliere sin dall’incipit della sua seconda vita pubblica..
Nel ruolo di presidente del Consiglio, l’azionista di maggioranza di Mediaset ha il potere di regolare il mercato, come d’altra parte fa, a palese svantaggio per la concorrenza. O meglio, con l’affatto nascosto obiettivo di impedirla proprio, la concorrenza. E questo, certo, è un male per il Paese – un male misurabile con puntualità, nelle sue nefaste implicazioni economiche (gli operatori messi nelle condizioni di non poter competere sono privati anche della possibilità di creare ricchezza, dunque occupazione, tasse, competizione sui prezzi…) come nei suoi corollari farseschi – la governance dell’azienda pubblica televisiva, ad esempio. Ma anche l’acquisto delle indulgenze presso lo Stato Vaticano, a spese della nostra libertà, più intima e preziosa (la nostra, appunto, non la sua), è un’implicazione insopportabilmente nociva del multiforme conflitto di interessi, materiali e morali, del presidente del Consiglio.
Il problema, dunque, sta nelle implicazioni, di questo, come della restante molteplicità di conflitti – più o meno macroscopici – che in Italia fanno sostanzialmente sistema. Le implicazioni, non le intenzioni, non le circostanze, non i promotori. Della riforma della giustizia, quindi, mi interessano le conseguenze: non chi la promuove, con quale meschina finalità, ed in conseguenza di chi sa quale perversa conflittualità.
La responsabilità civile dei magistrati – il fatto che a pagare per un errore giudiziario sia il magistrato che lo ha compiuto, per negligenza o personale opportunità, e non lo Stato – è stata richiesta a furor di referendum orsono quasi tre lustri. Il magistrato deve potere avere il diritto di errare – ma non la licenza di farlo per il solo fatto che il suo errare non ha alcun impatto sulla di lui onorabilità professionale. Errare, nella dimensione giudiziaria, equivale a condannare alla privazione della libertà, dunque della vita, una persona. Sputtanare un innocente è già una condanna – definitiva e non emendabile. Se il dramma si compie per ragioni che nulla hanno a che fare con la possibilità oggettiva di incappare nell’errore, ma per la superficialità o il pregiudizio del giudice, quel giudice deve pagare le conseguenze della propria negligenza” (continua su Processomediatico.it).