Mar 11
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L’elitismo arrogante di Massimo Cacciari
Di tanto in tanto Massimo Cacciari – una delle poche teste pensanti esistenti in questo stramaledetto paese – ci regala perle di rara bellezza.
Elitista e nietzschiano fin nella midolla, il Nostro non ha timore di muovere critiche al Totem dei Moderni: la democrazia. E, quando gli riesce di essere autenticamente se stesso, con minuzia certosina ne disvela limiti e storture; difetti e controindicazioni. E mai lo fa, si badi bene, per provocare: ché la provocazione è lo svago dei conformisti i più banali. Le sue critiche, invece, originano da altro: dalla constatazione che il “sistema democratico”, per quanto primeggi su tutti gli altri, umilia e mortifica tutto ciò che di bello, nobile ed alto esista nella vita degli uomini; imponendo l’orrida dittatura dei “numeri”, della “quantità”, in luogo dell’imperio della “qualità”.
Cacciari è persuaso, probabilmente, che il mondo dovrebbe essere governato da “ottimati”. Che in luogo della demo-crazia sarebbe opportuno s’affermasse una novella forma di aristo-crazia (sulla falsariga di quella tratteggiata da Platone nella Politèia). Che i cittadini dovrebbero essere guidati da Re Filosofi, che soli potrebbero garantire il Giusto ed il Bello, sì da evolvere dallo stato primordiale di scimmie-pecore a quello di Individui-Aristòcrati.
Ne ha parlato giusto qualche giorno fa intervenendo ad una trasmissione radiofonica; quando ha elencato talune seccature cui ha dovuto far fronte quando era sindaco di Venezia:
“Non si ha la più pallida idea di cosa voglia dire, ogni mattina che ti alzi, avere la cosiddetta nostra società civile che ti invade perché ha la prostituta nel viale, il casino del bar sotto casa o la strada dissestata”.
“A un esercito di infanti incapaci di arrangiarsi su qualsiasi vicenda umana terrena a un certo punto gli dici, vabbè ti faccio un’ordinanza ma smettila di rompermi le balle”.
“Uno pensa di fare cose importanti per la città, poi la metà del tempo la passi a trattare queste cose”.
Non pago di queste dichiarazioni, intervistato ieri da Fabrizio Roncone su Il Corriere della Sera, il Nostro ha rincarato la dose:
Insomma, Cacciari: a Radio24 ha detto che i cittadini, certe volte, “rompono le palle”. Lei è stato sindaco di Venezia per 12 anni e…
“E allora? Non è forse vero? Guardi, mi creda: i cittadini hanno spesso delle pretese assurde. Sì sì, rompono proprio il cazzo”.
E quali sarebbero queste pretese assurde?
“Arriva quello che non vuole le prostitute nel vialetto, quell’altro invece si lamenta perché sotto casa c’è un bar dove fanno rumore la sera. Ma poi compare quello che ce l’ha con i mendicanti, con i venditori ambulanti. E alla fine magari bussa ed entra uno che si lamenta perché davanti al suo portone la stradina è dissestata e, accidenti! È una vergogna assoluta”.
Le tesi di Cacciari hanno suscitato l’approvazione di Giancarlo Perna (un tempo grande giornalista; oggi null’altro che modesto agit-prop di partito), che, volendole supportare, ieri – su Il Giornale – ha scritto:
“Molti di voi saranno indignati con Cacciari per lo sprezzo che ha dei cittadini con i quali, ovviamente, ci è più facile immedesimarci. Io, a costo di rendermi odioso, sto invece con lui. Faccio intanto notare che le cose che disturbano i cittadini – dalla rissa al bar in giù – sono opera di altri cittadini (…).
Per me, Cacciari ha ragione da vendere. Ma ai lettori in disaccordo propongo un patto: prima facciamo davvero i cittadini poi, se resta margine, piagnucoliamo davanti al municipio”.
Ohibò. Per Perna, incredibile dictu, “le cose che disturbano i cittadini (…) sono opera di altri cittadini“ (e chi l‘avrebbe detto mai?). E, per questa ragione, dovrebbero essere risolte autonomamente dagli stessi.
Interessante. Sicché, se sotto casa mia staziona un nugolo di giovincelli intenti a gozzovigliare rumorosamente alle 3 di notte, io non devo chiamare i Carabinieri perché facciano cessare il baccano, ma devo risolvere il problema da solo; magari prendendo un bel secchio e riempiendolo di urina onde riversarne il contenuto, caldo caldo, sulle teste calde che rumoreggiano in strada impedendomi di dormire. Già.
Se invece, poi, girando in moto mi capita d’imbattermi in un tratto di strada dissestato, e per di più cado in terra e magari mi faccio pure male, non devo fare il diavolo a quattro ed andare a sacramentare dal Sindaco intimandogli di intervenire prontamente acciocché la strada venga riparata. Assolutamente no. Devo andare a comprare un po’ di cemento armato, e quanto serva a ricostruire il manto stradale, e darmi da fare in proprio per rimettere a posto la carreggiata malconcia.
Già. Perché io le tasse le pago per sfizio, nevvero? Sono un servo, uno schiavo, un coglionazzo da spremere a dovere. Mantengo eserciti di politici non perché mi semplifichino la vita onde evitarmi seccature, ma perché sono un filantropo che ha deciso di versar loro finanche la tredicesima acciocché possano pavoneggiarsi occupando posizioni di prestigio senza nulla fare per me.
Ecco, c’è un limite nell’elitismo di Cacciari che lo rende insopportabile: se uno disprezza le plebi, e ne ha ben donde, non fa politica. Si limita, al massimo, a cianciarne. Rimane assiso sulla montagna. Osserva dall’alto lo spettacolo sconcio di ominidi che s’arrabattano in pratiche di misero valore. E non si confonde con loro.
Ma se invece accetta di farla (la politica), e per questo dagli ominidi riceve anche uno stipendio, si dà il caso debba darsi da fare per risolvergli i problemi. Anche i più modesti.
Perché la democrazia sarà anche una cosa volgare, per chiunque abbia il gusto del Bello e del Giusto; e però, se si accetta di campare alle spalle di qualcuno, non gli si può rubare i soldi senza dargli nulla in cambio.
Sarebbe oltremodo plebeo.
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