Set 11
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Cambiare e rinnovare è importante e vitale per un paese. Ma di per sé non bastevole: si può dare spazio ad una nuova generazione di politici, ad esempio, ma, se le soluzioni prospettate ed il modus operandi rimangono i medesimi, l’operazione può risultare del tutto inutile.
Si prendano Matteo Renzi ed Agnellino Alfano.
Entrambi hanno circa quarant’anni e, per tale ragione, evidentemente vengono considerati giovani. Eppure, e l’uno e l’altro hanno in comune qualcosa che li rende maledettamente vecchi: sono ambedue democristiani. L’uno lo è di sinistra, Renzi, e l’altro lo è di centro, Alfano. Non proprio un passo in avanti per un paese che, dal secondo dopoguerra ad oggi, ha quasi esclusivamente avuto premier (e Capi di Stato) democristiani. Non proprio un passo in avanti per un paese che, in ragione in ciò, vanta il livello più basso di libertà economiche e civili riscontrabili nel mondo evoluto. E qui arriviamo al dunque.
Il Paese ha bisogno di una compiuta ed articolata “Rivoluzione liberale”. Necessita, cioè, di più libertà (al plurale); più “individualismo metodologico”; più fiducia nella Persona; più attenzione ai cambiamenti che si registrano nelle dinamiche socio-economiche ed in quelle, per dire così, affettive e private. Ha bisogno che il Palazzo, ancora, sia in sintonia con il cosiddetto “paese reale”. Che non sia succubo di pregiudizi antiquati; dogmatismi venefici; e men che meno dei capricci di ontologiche minoranze strutturali che pretendono di dettar legge alla maggioranza su qualunque questione. Ha bisogno di una radicale rupture.
Per realizzare la quale, però, di tutto si necessita tranne che di sepolcri imbiancati e di pretonzoli “in borghese” che, in un modo o nell’altro, intendono lasciare il Paese così com’è: intento a sprofondare sotto il peso di presunti “valori assoluti”; per proteggere i quali si è disposti a sacrificare tutto, anche la Libertà e la Democrazia.
Al contrario, avremmo bisogno di una destra e di una sinistra che si premurassero di accrescere (rispettivamente) le libertà economiche e quelle civili – che poi, detto tra noi, è ciò che puntualmente fanno in qualunque (altra) nazione del globo terracqueo (diciamo francamente).
In genere lo schema è questo.
Governa la destra, in un qualunque paese (che non sia l’Italia o la Francia), ed attua politiche liberiste (liberal-conservatrici), cioè finalizzate ad allargare il perimetro delle libertà economiche delle persone: riduce il peso dello stato ed il fardello di tasse gravante sul contribuente; rende più robusta la crescita economica e meno molesto ed asfissiante il peso delle burocrazie; conferisce dignità e diritto di cittadinanza all’Uomo – che non è un semplice Numero, come usano considerarlo i social-comunisti.
Accade, poi, che tutto ciò produca risultati più che lusinghieri in termini di maggiore benessere, ricchezza individuale e crescita occupazionale.
La sinistra, allora, s’interroga su tali politiche; capisce che piacciono e producono risultati universalmente apprezzati ed indiscutibilmente e socialmente utili. Talché muta opinione in tema di libertà economiche, ripensa se stessa onde rendersi credibile, al pari della destra, quale paladina delle medesime. Aggiorna il proprio lessico, la propria gerarchia di valori. Attualizza la propria mission e finanche il programma elettorale sulla base del quale intende governare. Fatto questo, vince le elezioni (Blair e Zapatero).
Mette piede così al governo. Non intacca di una virgola i provvedimenti economici precedentemente approvati dalla destra. Al massimo li rende appena un po’ più “redistributivi”, un po’ più “social”. Ma niente in più. Fa una cosa, però, per distinguersi dalla destra e che, tra l’altro, sta nel suo Dna: si preoccupa di diritti e libertà civili.
Legifera, allora, in materia di unioni di fatto; combatte certi pregiudizi e certe strutture – e sovrastrutture – religiose che vorrebbero privare l’Uomo del “libero arbitrio” che Dio gli ha conferito; riconosce il diritto di ogni individuo di poter decidere della propria esistenza, e dà un suggello legale al testamento biologico e al cosiddetto “divorzio breve”.
Tutto ciò produce risultati positivi. I cittadini continuano a godere di un benessere economico tangibile e perequato; e, in più, scoprono che la Cittadinanza non si esaurisce con il riconoscimento – da parte dell’entità statuale – delle libertà economiche, ma contempla, e diversamente non potrebbe essere, anche quelle civili (pensa te).
La destra, allora, a sua volta si interroga su tutto ciò. E capisce che, se vuole tornare a vincere le elezioni, non puo più cavalcare solo i temi che le sono tradizionalmente cari, quali il “meno stato e più mercato”, perché essi sono stati fatti propri anche dalla sinistra. Ha bisogno di altro. Deve aggiornare il “repertorio”. Aprendolo – ed aprendosi – al tema dei diritti civili. Ridefinisce, allora, la propria agenda politico-programmatica arricchendola anche di proposte in materia. Fatto questo, vince le elezioni (David Cameron e prossimamente Mariano Rajoy).
Questo, in breve, è ciò che accade in qualunque nazione progredita del mondo. Eccezion fatta, naturalmente, dell’Italia.
Dove, non a caso, quando si parla di modernità ed innovazione politica, a farla da padrone, e nell’anno Domini 2011, sono ancora due ragazzotti cresciuti a pane ed oratorio, Ave Maria ed Azione Cattolica, Famiglia Cristiana e campeggi coi Boy Scout. Neanche vivessimo ancora nel 1945.
Abbiamo bisogno di una Thatcher e di uno Zapatero, amici miei. Non di due sepolcri imbiancati, sia pure in versione 2.0. Ne abbiamo avuti già fin troppi.
E per questo siamo con la merda fino al collo.
P.S. Domani, qui, si farà un liveblogging per seguire l’intervento di Fini a Mirabello.