Set 11
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Più che carta costituzionale, carta igienica
La nostra Costituzione, a quanto pare, piace davvero a pochi. Solo così si spiega il fatto ch’essa venga costantemente violata da molteplici soggetti istituzionali o poteri dello stato.
Si prenda, ad esempio, la cosiddetta inchiesta di Bari e le intercettazioni riguardanti Berlusconi.
La nostra Carta, all’articolo 68, statuisce: “Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare (…). Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza”.
A ciò si aggiunga quanto stabilito dalla Consulta con la sentenza n. 390 del 2007, che in parte ha dichiarato illegittima la legge (cosiddetta Boato) n. 140 del 2003 (attuativa del succitato articolo 68), in riferimento alle captazioni delle conversazioni intercorrenti tra un parlamentare ed il suo interlocutore abituale:
“Al riguardo, va (…) osservato che la norma costituzionale vieta di sottoporre ad intercettazione, senza autorizzazione, non le utenze del parlamentare, ma le sue comunicazioni: quello che conta – ai fini dell’operatività del regime dell’autorizzazione preventiva stabilito dall’art. 68, terzo comma, Cost. – non è la titolarità o la disponibilità dell’utenza captata, ma la direzione dell’atto d’indagine. Se quest’ultimo è volto, in concreto, ad accedere nella sfera delle comunicazioni del parlamentare, l’intercettazione non autorizzata è illegittima, a prescindere dal fatto che il procedimento riguardi terzi o che le utenze sottoposte a controllo appartengano a terzi (…). Dall’ambito della garanzia prevista dall’art. 68, terzo comma, Cost. non esulano, dunque, le intercettazioni «indirette», intese come captazioni delle conversazioni del membro del Parlamento effettuate ponendo sotto controllo le utenze dei suoi interlocutori abituali; ma, più propriamente, le intercettazioni «casuali» o «fortuite», rispetto alle quali – proprio per il carattere imprevisto dell’interlocuzione del parlamentare – l’autorità giudiziaria non potrebbe, neanche volendo, munirsi preventivamente del placet della Camera di appartenenza. Sotto questo profilo, si deve quindi ritenere che la previsione dell’art. 68, terzo comma, Cost. risulti interamente soddisfatta, a livello di legge ordinaria, dall’art. 4 della legge n. 140 del 2003, le cui statuizioni debbono necessariamente interpretarsi in coerenza con quelle del precetto costituzionale che esso mira ad attuare. La disciplina dell’autorizzazione preventiva, dettata dall’art. 4, deve ritenersi destinata, cioè, a trovare applicazione tutte le volte in cui il parlamentare sia individuato in anticipo quale destinatario dell’attività di captazione, ancorché questa abbia luogo monitorando utenze di diversi soggetti. In tal senso può e deve intendersi la formula «eseguire nei confronti di un membro del Parlamento […] intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni», che compare nella norma ordinaria”[4]: è questo il caso delle cosiddette “intercettazioni «indirette», intese come captazioni delle conversazioni del membro del Parlamento effettuate ponendo sotto controllo le utenze dei suoi interlocutori abituali (…).
Tarantini era un interlocutore abituale di Berlusconi; e, dunque, la Procura di Bari avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione alla Camera dei Deputati per poter intercettare il Cav.. Cosa che, in spregio alla Carta e alla legge Boato, non è avvenuta.
Si consideri, ora, il Capo dello stato ed il suo continuo esternare su qualunque questione.
Com’è facile appurare leggendo qualsivoglia manuale di Diritto costituzionale (o di Istituzioni di Diritto Pubblico), il Presidente della Repubblica, nel nostro ordinamento, ha una funzione meramente notarile; firma leggi e decreti limitandosi ad appurare ch’essi non siano palesemente incostituzionali; rappresenta un “potere neutro”, del tutto irresponsabile per gli atti posti in essere durante il proprio mandato (ad eccezione di quelli previsti dall’articolo 90 della Carta); gode, per giudizio praticamente unanime dei costituzionalisti, di un limitato potere di esternazione che, tra l’altro, deve sempre e solo riguardare questioni di carattere generale e mai gli indirizzi politici decisi da un esecutivo.
Bene. Il nostro Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e sia detto con il massimo del rispetto, un giorno sì e l’altro pure viola la Carta e la prassi costituzionale.
Come fosse la cosa più normale al mondo, ad esempio, si sveglia una mattina e redarguisce pubblicamente le forze politiche – di maggioranza e di opposizione – presenti in Parlamento; il giorno seguente, poi, decide di eccepire sulla nomina di un Ministro e reputa indispensabile far conoscere all’opinione pubblica il proprio disappunto in merito, pubblicando un comunicato sul sito della Presidenza della Repubblica neanche fosse un “soggetto politico” e legittimato a far cose del genere; interviene a gamba tesa nel corso di una contesa referendaria, schierandosi – di fatto – a favore di una della parti in campo (è avvenuto col Referendum sulla devolution); addirittura, ed è accaduto giusto qualche giorno fa, interviene dettando le linee di politica economica che, a suo giudizio, l’esecutivo in carica dovrebbe seguire:
“Ci stiamo facendo duramente carico – nel quadro della crisi dell’Eurozona – dell’obbiettivo ineludibile dell’abbattimento del peso abnorme del nostro debito pubblico. Guai a non farcene carico: non possiamo lasciare sulle spalle delle generazioni più giovani quella montagna di debito.
E tenendo conto di ciò, credo vadano valutate con obbiettività – pur nella legittimità di ogni critica – le decisioni cui si è riferita il Ministro Gelmini in materia di assunzioni nella scuola e di spese per il suo finanziamento ordinario, nonché l’impegno lungamente atteso per un maggiore riconoscimento, per un più degno trattamento, dei docenti.
Ma proprio nell’affermare criteri di massimo rigore e di effettiva produttività nella spesa pubblica, nel mettere mano a una sua profonda revisione e selezione, è possibile e necessario stabilire un nuovo ordine di priorità, nel quale non sia riservata alla scuola una collocazione riduttiva, attribuendo una quota chiaramente insufficiente alle risorse per l’istruzione, l’alta formazione, la ricerca”.
Queste valutazioni, almeno per il sottoscritto, sono più che condivisibili. Ma il punto non è questo. Ciò che rileva è che esse abbiano una forte connotazione politica, cioè di parte. Non tutte le forze politiche – si pensi alla sinistra comunista, ad esempio – concordano sul fatto che si debba ridurre la spesa corrente ed il debito. Ed il fatto che il Capo dello Stato indichi su questo tema un percorso obbligato, lo fa sembrare più un segretario – un leader – di partito che non il rappresentante dell’intera Nazione. E questo non può accadere, nemmeno in una fase di crisi economica e di emergenza quale quella che stiamo vivendo.
Il Capo dello stato non è un soggetto politico. Non può indicare le priorità attorno alle quali vada costruita la politica di un esecutivo. Non gli compete. Esula dalle funzioni che gli sono attribuite dalla Carta.
Ciò detto, a che serve la Costituzione se nessuno la rispetta?