Proporzionale à la tedesca, ovvero: come fare la fine della Grecia

Da alcuni giorni, con insistenza, si discute di due provvedimenti che, se fossero adottati, al Paese procurerebbero nient’altro che nocumento: l’introduzione di una patrimoniale e il ritorno ad un sistema elettorale di tipo proporzionale. In questo post analizzeremo soltanto quest’ultima ipotesi (rimandando ogni considerazione sulla patrimoniale ad altra sede).

Diversi esponenti politici, come noto, in queste ore stanno raccogliendo firme per sottoporre a referendum abrogativo l’attuale legge elettorale, il cosiddetto Porcellum. Qualora la consultazione referendaria si celebrasse e vincesse il Sì, verrebbe riesumato il cosiddetto Mattarellum: un sistema certamente migliore di quello attuale, ma nient’affatto ottimale. Gli elettori, infatti, con il Mattarellum continuerebbero a pesare molto poco perché: nei collegi uninominali non verrebbe concessa loro la possibilità di scegliersi il candidato, mediante primarie, ma avrebbero esclusivamente il diritto di votare esponenti politici imposti dalle segreterie di partito; per la Camera dei Deputati, e per assegnare il 25% dei seggi, inoltre, resterebbe in vigore il “listino bloccato”, praticamente un Porcellum bonsai (si continuerebbe a mettere una croce sulla lista di un partito e si seguiterebbe a far eleggere le persone presenti nella stessa, senza poterne scegliere una in particolare).

Alle forze di maggioranza ed al governo, l’ipotesi che possa tornare in auge il Mattarellum non garba. Per questa ragione, alcuni esponenti del Pdl lavorano alacremente per individuare una nuova legge elettorale sui cui possa trovarsi un’ampia intesa in Parlamento, onde scongiurare la consultazione referendaria. In caso contrario, nel caso cioè non si riuscisse a trovare un accordo su una nuova legge – innanzitutto tra le forze di maggioranza, e poi con alcune di quelle collocate all’opposizione -, inevitabile sarà il ricorso alle urne entro il marzo 2012.

Due sono le ipotesi al vaglio dei mammasantissima del Popolo della Libertà: il proporzionale à la spagnola e quello à la tedesca.

Tra i due sistemi elettorali esistono profondissime differenze. Il sistema spagnolo, per quanto nominalmente proporzionale, se fosse introdotto da noi produrrebbe effetti fortemente maggioritari (se n’è parlato anni fa, in questo post), e dunque avvantaggerebbe le forze politiche che hanno maggiore consenso e quelle con più forte radicamento territoriale: il Pdl, il Pd, la Lega e qualche partitino neodemocristiano (presente al Sud). Naturalmente non servirebbe, ed anzi produrrebbe danni, all’Udc. E proprio per venire incontro ai desiderata – o ricatti? – di questo partito, e in vista di una futura (quanto funesta) alleanza politica, nella maggioranza si considera anche l’ipotesi di tenere a battesimo un sistema elettorale in tutto e per tutto eguale a quello proporzionale tedesco.

Con quest’ultimo, è bene chiarirlo, l’Italia farebbe un passo indietro di vent’anni, e per molte ragioni.  Innanzitutto, diremmo addio al bipolarismo, alla contesa tra due coalizioni (centrodestra e centrosinistra), perché le alleanze tra partiti verrebbero decise dopo le elezioni, nel Palazzo, e non prima; per cui i cittadini non avrebbero più alcuna possibilità di scegliersi il governo. Peggio: magari potrebbero accordare la preferenza ad un partito – diciamo l’Udc – sol perché convinti che lo stesso finirebbe per allearsi con la destra, e trovarselo invece a braccetto con la sinistra.

In secondo luogo, e per quanto possa essere alta la soglia di sbarramento utile a conquistare seggi, col sistema elettorale in oggetto il numero dei partiti sarebbe infinitamente più alto di quello oggi presente nel Palazzo: assisteremmo ad una esponenziale moltiplicazione di movimenti politici a conduzione familiare, e di sicuro riuscirebbe ad entrare in Parlamento, e ad avere larga rappresentanza, anche Pippa Grillo col suo movimento neofascista.

Ancora. Il sistema proporzionale à la tedesca porta con sé le preferenze: un vero e proprio cancro. Val la pena ricordare, infatti, che molti fenomeni di corruzione e di finanziamento illecito ai partiti, quali venuti alla luce grazie a Tangentopoli nel corso della cosiddetta Prima Repubblica, erano, in modo assolutamente inequivocabile, legati alla cosiddetta preferenza: 1) innanzitutto, perché le campagne elettorali costavano molto più di adesso, in quanto ogni candidato doveva competere non solo con i suoi avversari veri e propri, quelli cioè presenti in altre liste, ma anche – e soprattutto – con quelli del medesimo partito; per cui aveva bisogno di raccogliere un numero di voti assai cospicuo, per scalzare la concorrenza dei nemici interni, e più di adesso doveva far ricorso a manifesti, volantini, “santini” e cene elettorali: tutte cose economicamente assai dispendiose e che venivano finanziate, almeno in parte, con i “contributi volontari” di signori la cui “cortesia”, una volta eletti, si provvedeva a ricambiare con appalti e robe simili; 2) in secondo luogo perché, per le ragioni appena esposte, erano frequentissimi, praticamente una costante, e molto di più di quanto non lo siano oggi, i casi di compravendita di voti dalla Mafia e dalla Camorra; per non parlare del fatto che, proprio perché tutto era legato alle preferenze, le organizzazioni criminali, essendo piene di voti – di “picciotti” e beneficiati vari -, assai spesso provvedevano a far eleggere in Parlamento, quasi sempre in quota Democrazia cristiana e Partito socialista, direttamente propri affiliati – che poi, immancabilmente, finivano per essere cooptati, ed accade tuttora, nella Commissione bicamerale cosiddetta Antimafia: onde procurarsi informazioni sulle indagini a carico delle medesime (qualche giornalista che abbia le palle di raccontarlo non c’è?).

Tutto ciò premesso, veniamo ad alcune brevi e modeste considerazioni.

Innanzitutto, non v’è dubbio che il Porcellum sia una legge disgustosa e che occorra cambiarla. Ma non è questo il momento giusto per farlo. E per una ragione: allo stato, esso è l’unico presidio certo a garanzia del bipolarismo. Una garanzia di cui abbiamo assoluto bisogno, mai come ora, perché si corre il rischio che con l’uscita (imminente) di scena di Berlusconi, le coalizioni abbiano a frantumarsi, destrutturarsi, perire; e a trascinare con sé nella bara l’unica grande conquista conseguita con la cosiddetta Seconda Repubblica: il bipolarismo, appunto. E si dà il caso noi non si ci si possa permettere il lusso di ritornare alle pratiche della Prima Repubblica, quando, proprio a causa del proporzionale (sul modello tedesco), gli esecutivi riuscivano a restare in carica non più di sei mesi; l’instabilità era la regola; i partiti si limitavano a galleggiare e non a governare; l’indecisionismo regnava sovrano; i ricatti, i veti incrociati e la tutela corporativistica di interessi particolari frustrava ogni proposito riformatore (ancor più di oggi) e la spesa ed il debito pubblici crescevano a ritmi folli.

Il difetto, il limite, del bipolarismo – quale abbiamo avuto modo di sperimentare negli ultimi diciassettenne anni – deriva solo da una cosa: il pluripartitismo. È questo che ha soffocato le coalizioni trasformandole in orrendi caravanserragli inconcludenti. È questo che ha ridotto la politica ad uno sterile esercizio oratorio – fatto di slogan, promesse iperboliche ed annunci roboanti – cui quasi mai hanno fatto sèguito i fatti, i provvedimenti. È questo, soprattutto, che ha spinto partiti per nulla affini, e con progetti e programmi a volte financo contrapposti, a stare assieme. È questo che ha frustrato ogni proposito liberale (come cacchio si poteva pretendere, ad esempio, che la sinistra riformista, quella oggi rappresentata dal Pd, facesse qualcosa anche solo minimamente liberale se era costretta a governare coi comunisti?). Questo è il problema italiano. E va rimosso.

Ma la rimozione del medesimo non passa affatto, come vorrebbe far credere Casini e per mere ragioni opportunistiche, per la distruzione tout court del sistema bipolare: passa – non può che passare, se non vogliamo far la fine della Grecia – per la trasformazione dello stesso in un compiuto sistema bipartitico. Al governo si deve avere un solo partito, e non diecine. L’efficienza, la tempestività nell’assumere le decisioni e la possibilità che ne vengano prese di impopolari, di giuste e soprattutto di liberali, dipendono da questo: che a decidere sia un solo soggetto politico.

I veti, la strenua e miserrima difesa di interessi corporativi sono diretta conseguenza della configurazione pluripartitica del nostro sistema politico. Se al governo siedono cinque partiti, ciascuno di essi non farà altro che difendere, quantunque la cosa porti nocumento all’interesse generale, le ragioni particolari dei propri elettori e gruppi di pressione (clientes). Nessuna riforma seria si può fare in queste condizioni. Nessuna. E lo vediamo anche in queste ore con il tema dell’innalzamento dell’età pensionabile: la Lega vi si oppone perché il 56% delle pensioni di anzianità viene percepito al Nord (in Lombardia, Veneto e Piemonte). E di esempi, naturalmente, se ne potrebbero fare ancora molti. Potremmo ricordare, ad esempio, che se una seria ed articolata riforma fiscale in questo paese non è stata varata dal centrodestra, è anche per i veti che in passato hanno messo l’Udc ed An – ambedue ostili all’ipotesi di un’aliquota al 33% per le fasce di reddito più alte (ciò che avrebbe ridotto a soglie fisiologiche l’evasione fiscale che ci affligge!).

Per tale ragione, e per quanto possa apparire eretico, in questo momento va difeso il Porcellum. Esso, infatti, prevede che il premio di maggioranza possa andare indifferentemente: o alla coalizione o alla lista (cioè al partito) più votata. Il che significa che se un domani i due principali partiti, Pd e Pdl, decidessero di non allearsi con alcuno, quello tra i due che riuscisse ad aggiudicarsi un voto in più governerebbe da solo; avendo per davvero chance di tradurre in fatti il programma elettorale con cui si è presentato agli elettori, visto che non dovrebbe più soggiacere ai veti e ai ricatti degli alleati (e, comunque, non avendo più alibi da offrire ai propri elettori a giustificazione della propria inazione). Tutti gli altri partiti, naturalmente, avrebbero comunque la possibilità di sedere in Parlamento (sempreché fossero in grado di superare le soglie di sbarramento previste dalla legge): ma non conterebbero una beneamata fava e non ostacolerebbero più l’attività di un esecutivo. Comunisti, leghisti e democristiani – un vero e proprio incubo, un cancro – non avrebbero più rilevanza alcuna.

Questa è la via d’uscita dal bipolarismo parolaio ed inconcludente che ha impedito al Paese di mettere piede nella Modernità. Non il ritorno al pluripartitismo primo-repubblicano – che avremmo qualora, per scongiurare la consultazione referendaria, il Parlamento s’acconciasse a votare una legge elettorale di tipo tedesco e proporzionale.

Prima di gettare alle ortiche il Porcellum, dunque, si rifletta. E bene. E si rinvii la sua abolizione a quando Berlusconi sarà uscito di scena.

Sempreché non si voglia far la fine della Grecia e trasformare nuovamente l’Italia in un troiaio partitocratico e foriero di recessione, crescita del debito pubblico e disoccupazione.

Le persone perbene, almeno esse, lo capiscano.


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21 Responses to "Proporzionale à la tedesca, ovvero: come fare la fine della Grecia"

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