Renzi commette l’errore di Fini

I fiorentini, come più in generale i toscani, o li si ama o li si odia: son simpatici all’inverosimile, infatti, oppure oltremodo antipatici.

Ecco, Renzi, a parere modesto di chi scrive, come il peggiore – o migliore, dipende dai punti di vista – dei toscanacci, è di un’antipatia ineguagliabile: è arrogante, saccente e privo di umiltà. Il che, intendiamoci, potrebbe anche essere un pregio (tutte le persone di carattere, in fondo, come usa dire, hanno un pessimo carattere e sono antipatiche). Se non fosse, però, che il Nostro intende “vendersi” quale candidato premier del centrosinistra; e non come intellettuale o giornalista malmostoso (si pensi a Montanelli e alla Fallaci). E dunque la sua priorità dovrebbe essere una sola: piacere, essere popolare.

Bene, sin qui, al giovanotto non è riuscito. Non solo perché non è stato in grado di mettere a freno la propria indole burbanzosa, ma anche perché ha impostato male – malissimo – la campagna di comunicazione politica; commettendo, per di più, l’errore che nessuna new entry dovrebbe mai fare: farsi odiare da una parte consistente del proprio elettorato di riferimento.

Renzi, quando parla, quando appare in tv o rilascia un’intervista, afferma cose assolutamente condivisibili. Perché suonano del tutto ovvie alle orecchie di chiunque non abbia il cervello intriso di postulati marxisti. Cose come queste: il Pd non deve farsi dettare l’agenda politica dalla Cgil; è necessario ripensare profondamente il Welfare perché divenuto economicamente insostenibile; la politica, come il sindacato, ha riversato unicamente sulle giovani generazioni il costo della necessaria flessibilità nel mercato del lavoro, e a questo occorre porre rimedio; non è più possibile andare in pensione a 58 anni perché questo significa togliere ai giovani la possibilità, un giorno, di farlo. Considerazioni sacrosante.

Ma il punto non è questo. È che dal modo in cui le presenta, invero sempre assai arrogante, sembra quasi più interessato ad usarle come pretesto per pugnare contro una parte della classe dirigente del proprio partito, che non a farne comprendere la giustezza al proprio elettorato.

Col solo risultato, sin qui ottenuto, di farsi detestare da tutti: dalla nomenklatura del Pd, che oramai lo considera come un disturbatore – à la Pannella – alla continua ricerca di un motivo di scontro; e dall’elettorato di sinistra, che è sempre più disorientato dalle sue parole perché non riesce a capacitarsi del fatto che un proprio rappresentante possa osare “attentare”, e per di più sì violentemente, contro i feticci ideologico-dogmatici cui esso crede da quando è nato.

Renzi, proprio come Fini, sta commettendo il più imperdonabile degli errori: sta costruendo la propria identità politica, e ragion d’essere, in contrapposizione agli idola tribus del proprio elettorato.

Infatti, come per il popolo di centrodestra Berlusconi rappresenta un totem, ed è quindi controproducente attaccarlo da sera a mane perché si rischia di apparire come dei parricidi e blasfemi, così per il popolo del centrosinistra hanno valore sacrale il sindacato e le norme in materia di lavoro e Welfare. Attaccarli, dunque, e frontalmente, serve solo ad apparire reazionari.

Cui prodest?

Non certo a Renzi, evidentemente, che oramai viene percepito come un alieno, un estraneo, un nemico dalla stessa base del partito.

Cosa potrebbe fare il Toscanaccio, allora, per rimettersi in carreggiata?

Semplice.

Innanzitutto, smussare certe asperità del proprio carattere che, indubbiamente, ed anche per la sua giovane età, appaiono oltremodo indigeribili; e dunque un vero e proprio handicap.

In secondo luogo, fare i conti con la struttura antropologica dell’elettore di sinistra (cosa che sin qui non ha fatto). Ad esempio, prendere coscienza del fatto ch’esso ami odiare; che da “quando nasce” gli venga insegnato che fare politica significa sempre e comunque lottare contro qualcuno o qualcosa (il padrone, il capitalismo, il Vaticano, la finanza, il mercato).

Ecco, dopo aver preso atto di queste ovvietà, la cui sottovalutazione è costata la cadrega di segretario del Pd a Veltroni – che, sbagliando, pensava fosse possibile una sinistra normale e non odiatrice -, cerchi di individuare qualcosa o qualcuno contro cui ingaggiare una tenzone per far contenti quegli elettori di sinistra che, sennò, col cavolo che lo voterebbero.

Un consiglio?

Il Vaticano, a sinistra, gode di pessima reputazione. Il clericalismo, la completa sottomissione della classe politica ai desiderata della Santa Sede e soprattutto il calpestamento della laicità, fanno girare – e non poco – i didimi ai compagni gauchisti. E siccome da un esponente di sinistra (o di centrosinistra, fa lo stesso) ci si attende una strenua difesa dei diritti civili, tra l’altro, il Nostro, ma senza assumere toni anticlericali (che sennò poi s’adontano i Fioroni di turno), potrebbe farsi carico di una bella “crociata laica” a favore del riconoscimento delle coppie di fatto (anche gay).

A quel punto, la parte d’elettorato di sinistra, assolutamente maggioritaria, che ancora oggi ha bisogno di lottare contro qualcosa o qualcuno, verrebbe accontentata: la pugna contro il Vaticano placherebbe la sua sete di sangue ed odio.

Fatto questo, ed usata la “questione laicità” come un cavallo di Troia per farsi accettare ed ascoltare dall’elettore di sinistra, il Nostro – serenamente e pacatamente, però, e non usando, come sin qui ha fatto, la clava – potrebbe continuare a svolgere la propria missione di Blair all’amatriciana; per ridimensionare il ruolo ed il peso del sindacato, modernizzare il Welfare e renderlo europeo (e regalarci, in tal modo, una sinistra normale).

Così facendo, egli interloquirebbe e con l’elettore di sinistra e con quello di centro – e non solo con quest’ultimo, come sinora ha fatto.

Un colpo al cerchio ed uno alla botte.

Funziona sempre.

Sommessamente, s’intende.



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13 Responses to "Renzi commette l’errore di Fini"

  • Luca says:
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