Piccole balle à la greca

La crisi greca, come ha raccontato dettagliatamente Dimitri Deliolanes nel libro “Come la Grecia” (Fandando libri), nasce nel 2009. Quando all’Unione europea vengono comunicati dati falsi sul deficit del paese (si fa credere in quell’anno non potrà superare lo 0,8%; alla fine, invece, raggiungerà il 12,7) e si nascondono poste passive (debiti) per svariati miliardi di euro. È questo che provoca la crisi di fiducia nei confronti della Grecia.

Ecco. La missiva inviata ieri dal governo Berlusconi alle autorità europee, ne basta una rapida e superficiale lettura per appurarlo, presenta inquietanti similitudini con il caso greco. E per una ragione: essa è gravida di menzogne.

Due spiccano su tutte.

La prima. Nella lettera si legge:

“Entro il 1° marzo 2012 saranno rafforzati gli strumenti di intervento dell’Autorità per la Concorrenza per prevenire le incoerenze tra promozione della concorrenza e disposizioni di livello regionale o locale. Verrà generalizzata, la liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali in accordo con gli enti territoriali (…).

“Le misure concernenti i mercati della distribuzione carburanti sono state integralmente inserite nel Decreto Legge n.98/2011 e pertanto sono già in vigore. Si è preferito adottare uno strumento legislativo quale il decreto che garantisce l’immediata efficacia degli interventi. nel medesimo decreto legge sono state inserite anche altre disposizioni di apertura dei mercati e liberalizzazioni, tra cui si ricorda in particolare la liberalizzazione in via sperimentale degli orari dei negozi”.

Trattasi di una mezza balla. La liberalizzazione degli orari dei negozi, inizialmente inserita nella manovra d’agosto su richiesta e suggerimento del Ministro Brambilla, e da doversi applicare agli esercizi commerciali di tutti i Comuni d’Italia, è stata alla fine profondamente rimaneggiata e, nella versione definitiva, limitata alle sole città turistiche. Provocando l’esultanza dei piccoli commercianti:

Evidentemente si è capito che tenere aperti 365 giorni all’anno negozi e pubblici esercizi non avrebbe di certo giovato all’economia del Paese, e avrebbe invece messo in grave difficoltà il mondo della piccola e media distribuzione, già alle prese con una profonda crisi legata al calo dei consumi. D’altronde questa norma era nata da un concetto sbagliato secondo il quale liberalizzare significa togliere tutte le regole, quando invece, così facendo, si rischiava solo di creare un vero e proprio “far west” nella distribuzione, con conseguenze socio-economiche enormi non solo per i titolari dei negozi, costretti in bottega ininterrottamente dal 1. gennaio al 31 dicembre, ma anche per collaboratori e lavoratori”, Sergio Rebecca, presidente della Confcommercio di Vicenza (Corriere Vicentino, 5 settembre 2011).

Dunque, in questo momento, causa pressioni corporative degli imprenditori commerciali, la suddetta liberalizzazione praticamente non esiste: essendo circoscritta alle sole località turistiche. E risulta difficile credere che il governo, che per non perdere i voti dei bottegai ad agosto ha annacquato l’originario impianto del provvedimento, da qui al primo marzo (2012) possa mostrare gli attributi e, come si legge nella missiva, riesumarlo nella sua interezza e, quindi, generalizzare la liberalizzazioni degli orari dei negozi a tutta la Penisola.

Non l’ha fatto ad agosto, dovremmo credere sia capace di farlo in prossimità delle elezioni (previste per marzo/aprile 2012)?

Ma non scherziamo.

Veniamo alla seconda balla. Sempre nella lettera si legge:

“Inoltre, già in sede di conversione della manovra di luglio (DL n. 98/2011) è stato previsto che il Governo, sentita l’Alta Commissione per la Formulazione di Proposte in materia di Liberalizzazione dei Servizi, elaborerà proposte per la liberalizzazione dei servizi e delle attività economiche da presentare alle categorie interessate. Dopo 8 mesi dalla conversione del decreto legge, tali servizi si intenderanno liberalizzati, salvo quanto espressamente regolato.

Verranno rafforzati i presidi a tutela della concorrenza nel campo dei servizi pubblici locali, con l’introduzione a livello nazionale di sistemi di garanzia per la qualità dei servizi nei comparti idrico, dei rifiuti, dei trasporti, locali e nazionali e delle farmacie comunali (…)”.

Ecco, dalla formulazione usata, par di capire che il governo, alle autorità europee, abbia promesso di rafforzare anche la liberalizzazione della vendita dei farmaci (introdotta dal governo Prodi con le cosiddette lenzuolate di Bersani). Questo, almeno, ha capito il sottoscritto.

Ammesso l’interpretazione sia giusta, si tratta di una promessa da marinaio, cioè di un’altra mezza balla.

La maggioranza che sostiene il governo, infatti, e sin dal suo insediamento, ha presentato, nella persona di Maurizio Gasparri, una proposta di legge finalizzata a far scomparire le parafarmacie (venute a vita grazie alle succitate lenzuolate). S’essa fosse approvata, e quantunque verrebbe attribuita alle tabaccherie la possibilità di vendere farmaci generici monodose (cosa più che condivisibile), la liberalizzazione nella vendita dei “medicinali da banco”, con ogni probabilità, finirebbe per essere profondamente ridimensionata (rispetto alla sua originaria formulazione): le parafarmacie, infatti, oggi fanno concorrenza – sui prezzi – alle normali farmacie; la qual cosa è vantaggiosa soprattutto per i cittadini meno abbienti. Se fossero soppresse, dunque, le tasche di alcuni italiani (e, più in generale, la concorrenza) potrebbero risentirne e pesantemente.

Siccome questa è l’intenzione della maggioranza, almeno stando alla cennata proposta di legge, non solo non verrà accentuata la liberalizzazione, nell’ambito in oggetto, ma essa verrà addirittura depotenziata.

Come si concilia tutto ciò con quanto ieri s’è comunicato all’Europa? E, soprattutto, quante altre promesse da marinaio, o vere e proprie balle, contiene ancora quella lettera?

Se si è mentito finanche su queste liberalizzazioni piccole piccole – e però indispensabili, mai come in questo momento, a sostenere la domanda interna e quantomeno la tenuta del Pil, se non la sua ripresa -, e visto che si tratta di provvedimenti a “costo economico zero”, gli unici che noi si possa adottare visto che non abbiamo il becco d’un quattrino, come cavolo lo si farà il cosiddetto sviluppo?

La sensazione, purtroppo, è che quella lettera sia solo e soltanto una presa per i fondelli. Una roba à la greca.

C’era da rassicurare le istituzioni europee? E lo si è fatto.

Tanto a marzo, quando si dovrebbe tradurre in legge buona parte delle cose promesse, si sarà già in campagna elettorale. E la patata bollente, a quel punto, passerà ad altri.

A Bersani e Vendola.

Condoglianze.

P.S. Nei prossimi giorni, quando saranno più chiari i contorni degli impegni presi, ritorneremo sulla lettera.



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