Gen 12
10
Sotto la guida del socialista di Dio, Julius Evola Tremonti, vero e proprio dominus assoluto della compagine ministeriale berlusconiana, al potere fino a qualche settimana fa, il Popolo della Libertà, e lo abbiamo appurato in tre anni e mezzo di legislatura, ha subito una vera e propria trasmutazione: da formazione politica ispirantesi al liberal-conservatorismo di matrice europea, a soggetto politico di centrosinistra moderato; da vessillifero della Rivoluzione liberale, reaganiana e thatcheriana, a mero continuatore della politica primo-repubblicana del cosiddetto pentapartito (o centrosinistra “storico”), sia pur condita da posizioni vandeane e codine sui temi eticamente sensibili.
Alcune direttrici di marcia che il super ministro dell’Economia ha seguito, non lasciano dubbi in proposito: avversione pregiudiziale ed ideologica nei confronti del Mercato e della libera iniziativa economica individuale; difesa a spada tratta dell’intervento statuale in economia e conseguente non adozione di provvedimenti atti a ridimensionarlo, si legga alla voce: privatizzazioni; collaborazione, sconfinante nel collateralismo, e cieca subordinazione ai desiderata delle principali organizzazioni sindacali di centrosinistra, la Cisl e la Uil; sistematica violazione dei principi liberali e conservatori in materia di rapporti tra contribuente e stato, perpetrata mediante il varo di misure da Stato di Polizia tributaria (finanche più severe di quelle precedentemente approvate da Visco e Prodi); e molto altro si potrebbe ancora aggiungere.
D’altra parte, il tributarista di Sondrio non ha mai fatto mistero della propria avversione al liberal-conservatorismo e ai suoi principi-cardine:
«Avete voluto il libero mercato? Ecco il risultato. Una volta c’erano le Bin (Banche d’interesse nazionale, ndr) che magari avrebbero fatto diversamente e mi sembra che andassero molto bene, le grandi Bin» (13/10/2009).
«Ci devono spiegare perché abbiamo fatto così le privatizzazioni. Perché hanno fatto lo spezzatino dell’Enel, già la parola indica gli appetiti che c’erano, mentre la Francia ha un colosso statale?» (11/09/2010).
«Nessuno potrebbe dire che l’intervento statale, perfino nel santuario del capitalismo, l’alta finanza, sia un tentativo di uccidere l’economia di libero mercato» (16/04/2008).
«Magari la gente leggesse Marx. È un genio» (20/03/2008).
«Chi ha smantellato l’Iri per le privatizzazioni oggi si ritrova la Salerno-Reggio con 40 cantieri» (11/02/2011).
«La nostra proposta è tassare un po’ di più i petrolieri (anche i ricchi piangano, ndr) per dare un po’ di più a chi ha bisogno, ossia burro, pane e pasta» (03/03/2008).
«Non credo che la mobilità sia di per sé un valore. Per una struttura sociale come la nostra, il posto fisso è la base su cui costruire una famiglia. La stabilità del lavoro è alla base della stabilità sociale» (19/10/2009).
«Vogliamo evitare a questo Paese la macelleria sociale e non c’è riduzione fiscale che valga quanto conservare la sanità, le pensioni e la sicurezza» (23/01/2010).
Ecco. Affermazioni, critiche e posizioni come queste, in nessun paese dell’Occidente evoluto, salvo qualche rara eccezione, verrebbero espresse da un politico di centrodestra: a pronunciarle sarebbero soltanto coloro che si riconoscono nelle istanze socialiste o comuniste.
Ad ogni modo, attribuire al solo Tremonti la colpa dell’involuzione del Popolo della Libertà, sarebbe oltremodo ingeneroso oltreché inesatto. All’interno del partito berlusconiano, infatti, sono in molti ad aver lavorato a che l’identità dello stesso si allontanasse dalle originarie coordinate liberali, e di destra, quelle del ’94, per attestarsi su posizioni centriste, in economia, se non addirittura di sinistra.
Ad esempio tutti gli esponenti che, orgogliosamente, pur militando in una formazione politica che ha l’ardire di definirsi di centrodestra, continuano a richiamarsi alla tradizione di un soggetto politico di sinistra: il Partito Socialista Italiano.
Per non parlare, poi, della vasta messe di esponenti che, provenendo dalle fila della defunta Democrazia cristiana e ritenendo proprio compito quello di secondare le richieste della Santa Sede, si fanno promotori della cosiddetta “economia sociale di mercato”. Alla quale, è bene precisarlo, in tutta Europa si ispirano le formazioni politiche socialdemocratiche: dal Partito socialista spagnolo al Labour Party inglese. Per concludere, infine, con gli ex missini di An, da Alemanno a Gasparri, da Matteoli a La Russa: tutta gente cresciuta, al pari dei comunisti, a pane ed avversione al liberal-capitalismo.
Insomma: il Popolo della Libertà, e per la politica economica che in questa legislatura ha portato avanti, improntata all’incremento della pressione fiscale e alla compressione delle libertà economiche, non può in alcun modo definirsi quale formazione politica liberal-conservatrice e di centrodestra. Non ne ha l’identità. Come insegnava Bobbio, infatti, il valore cardine della destra è la libertà; quello della sinistra, l’eguaglianza.
Il Pdl, in questa legislatura, ha difeso la libertà dei cittadini dall’ingerenza del Leviatano? Ha ridotto le dimensioni di quest’ultimo, falcidiato leggi, deregolato a più non posso e liberalizzato?
Ma non scherziamo, signori miei. Non c’è nemmeno un ambito in cui il succitato partito non abbia limitato, umiliato e calpestato la libertà del cittadino, riducendolo a mero schiavo. Ed è per questo che ha perso consensi. Ed è per questo che, alla fine, Berlusconi ha dovuto sloggiare da Palazzo Chigi.
Se la politica economica del suo esecutivo fosse stata improntata ai principi liberal-conservatori, “Meno stato e più Mercato”; se avesse privatizzato a più non posso, onde ridurre lo stock di debito e l’onere derivante dal pagamento degli interessi sullo stesso; se avesse liberalizzato, per rilanciare la crescita, e tagliato in valore assoluto – e non riducendone soltanto il tasso di crescita – la spesa corrente, onde creare le condizioni per una futura e sostanziosa sforbiciata alla pressione fiscale; se si fosse limitato, in sostanza, a rispettare il programma elettorale: beh, signori cari, se avesse fatto tutto ciò, Berlusconi, oggi, sarebbe ancora domiciliato a Palazzo Chigi (nonostante gli scandali sessuali); la nostra economia starebbe di gran lunga meglio e ci saremmo risparmiati l’umiliante commissariamento della Bce e della Ue.
Detto ciò. Come può ritornare in partita, il Pdl, rimediare agli errori del recente passato e farseli perdonare dagli elettori delusi?
Un modo c’è: deve sostenere, senza riserve, l’attività riformatrice del governo Monti. Appoggiarne gli intenti liberalizzatori e incalzarlo affinché faccia anche di più: privatizzando, tutto il privatizzabile, e tagliando draconianamente la spesa corrente.
Queste sono le cose che gli elettori s’attendono da una forza politica di centrodestra (non certo la difesa di interessi corporativi).
E se non le ottengono, trasmigrano verso altri lidi.