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Privatizzate e alla svelta (se non volete farci andare a fondo)!

Standard & Poor’s, come noto, ha ridotto il nostro rating di due livelli: da “A” a “BBB+”. Il declassamento, però, ha riguardato anche altre nazioni europee: la Francia, la Spagna, il Portogallo, l’Austria, Cipro e Malta.

Più di tutto, nella decisione dell’agenzia americana, hanno pesato le scarse prospettive di crescita della zona Euro; compromesse da politiche di bilancio troppo restrittive. Ci si è concentrati, in sostanza questo rimarcano dalle parti di S&P, troppo sul contenimento del deficit e poco sulle misure per rilanciare l’economia. E questo non attenua il rischio legato alla sostenibilità del debito, ma, anzi, lo accentua e non di poco.

Ora, e per quanto possa apparire inverosimile, questa valutazione può essere – e di fatto lo è – condivisa tanto dai keynesiani quanto dai liberisti: se ci si concentra esclusivamente sull’austerity – che lo si faccia intervenendo prevalentemente sul lato delle uscite (la spesa corrente), come vorremmo noi “mercatisti”, o su quello delle entrate (tasse), come vorrebbero i Fassina vari, cambia poco –, alla fine si avranno effetti depressivi sul Prodotto Interno Lordo. Ed è quanto sta verificandosi nella zona Euro.

Detto questo, e limitandoci a prendere in considerazione esclusivamente il nostro paese, come e cosa si può fare per coniugare rigore e crescita? (Domanda, invero, alquanto retorica).

Innanzitutto, ci si deve incamminare senza esitazioni, come pare intenzionato a fare meritoriamente il governo Monti, lungo il sentiero obbligato delle liberalizzazioni: solo queste, infatti, e visto che non ci è dato ridurre le tasse, sono in grado di “sterilizzare”, nel breve periodo e almeno in parte, gli effetti recessivi (sul Pil) delle politiche rigoriste che siamo tenuti a porre in essere, rendendo più sostenibile il nostro debito; mentre nel medio-lungo periodo, oltre a garantire un sistema economico più dinamico, contendibile ed equo, esse assicurano buone prospettive di crescita (e di riassorbimento della disoccupazione).

In secondo luogo, e qui veniamo al tema che più latita nell’agenda dell’esecutivo tecnico, ci si deve decidere, una volta per tutte, a predisporre un vasto e serio piano pluriennale di privatizzazioni. D’altra parte, abbiamo il quarto debito pubblico al mondo e alternative non ve ne sono: o privatizziamo, e per questo tramite riduciamo anche la spesa per interessi sul debito – che ogni anno sottrae alle nostre tasche, oltreché agli investimenti (alla spesa in conto capitale), circa 80-85 miliardi di euro e che nel 2013-2014 dovrebbe arrivare a toglierne addirittura 100 (Mario Baldassarri dixit) –, oppure continueremo a restare il fanalino di coda dell’Europa e ad essere considerati non affidabili dagli investitori esteri.

È opportuno ricordare, a tal proposito, che lo stato ha un attivo di 1.800 miliardi di euro (quasi pari al suo debito, che ammonta a 1.882 miliardi) costituito da terreni, immobili, crediti, infrastrutture, concessioni e partecipazioni in società (solo quest’ultime, tra l’altro, riguardano 13.000 – tredicimila! – aziende pubbliche; che, assai spesso, si legga alla voce: municipalizzate, vengono utilizzate dai partiti per assumere amici, amanti, parenti e clientes vari; e per questa ragione sono frequentemente in perdita, e dunque costano al contribuente molto più di quanto non rendano in termini di servizi). Quindi, c’è tanta “roba” da vendere e solo l’imbarazzo della scelta.

Allo stesso modo, val la pensa sottolineare come il ricorso alle privatizzazioni, da quando l’attuale crisi ha preso il via, sia stata e continui ad essere una costante della politica di qualunque leader europeo: dal socialista massimalista Gordon Brown, che quando era a Downing Street arrivò a vendersi letteralmente anche i ponti (e molto altro ancora), al socialista liberale Zapatero, che quando governava ebbe a privatizzare taluni aeroporti, al conservatore David Cameron.

In Italia, invece, e nonostante il macigno del nostro debito, non si è venduto, almeno fino ad ora, nemmeno uno spillo. E, ciò che è peggio, quando si è presa in considerazione l’ipotesi di ridurlo, l’unica soluzione che si è riusciti a prospettare è stata quella, più che mai folle, dell’introduzione di una patrimoniale del valore di 400 miliardi: quasi 1/4 dell’ammontare del nostro Pil a prezzi di mercato – come se il principale freno alla crescita della nostra economia non fosse la già quanto mai elevata pressione fiscale!

Non solo. Che la strada delle privatizzazioni, al pari di quella delle liberalizzazioni, vada imboccata, e al più presto, piaccia o meno, deriva anche dal fatto che in Europa si stia lavorando al cosiddetto Fiscal Compact. In virtù del quale, e per farla breve, al nostro paese, come a qualunque altro con un elevato indebitamento, dovrebbe essere richiesto, a partire dal 2014, di ridurre l’extra debito, rispetto alla soglia del 60% (in rapporto al Pil) stabilita nel trattato di Maastricht, di un ventesimo l’anno. Il che, a conti fatti, significa che, per ridurre il nostro stock di debito, potremmo essere costretti a reperire 40-45 miliardi di euro annui e per chissà quanto tempo.

Siccome non possiamo nemmeno pensare di incrementare ulteriormente la pressione fiscale, onde racimolare quel danaro (sarebbe la nostra tomba!); e siccome è impossibile che si riesca a vendere, ogni anno e per un lasso di tempo non limitato, beni e partecipazioni societarie per un valore di 40 miliardi (tecnicamente è, probabilmente, impossibile): l’unico modo per far fronte a quell’impegno, che tra un paio di anni potrebbe gravare sulla nostra testa come una spada di Damocle, è portarci avanti col lavoro e definire, sin da ora, una road map, poliennale e seria, per dismettere cespiti del patrimonio dello stato per non meno di 15-20 miliardi l’anno.

La questione è: cosa aspetta la classe dirigente del Paese, tutta, ivi inclusa quella a-partitica e tecnica oggi al governo, a mettere in agenda il tema delle privatizzazioni quale strumento per abbattere lo stock di debito? Come è possibile che nessuno, dicasi: nessuno, in Italia, indichi questa strada come imprescindibile (nemmeno gli economisti come Giavazzi ed Alesina)? Com’è possibile, soprattutto, che quando qualcuno accenni alle privatizzazioni, in questo stramaledetto paese, lo faccia, come nel caso del ministro Passera, solo per indicare una “voce” da cui ricavare quattrini per incrementare la spesa pubblica? («Per finanziare il piano crescita (…) troveremo risorse con privatizzazioni e dismissioni») – che è un po’ come se chi avesse debiti, decidesse di andarsi a vendere l’argenteria e non per estinguerli, ma per finanziarsi una vacanza alle Maldive!

Donde origina questa avversione alle privatizzazioni? Da pregiudizi ideologici o da lerci ed inconfessabili interessi partitocratici e, politicamente, trasversali?



10 Comments on “Privatizzate e alla svelta (se non volete farci andare a fondo)!”

  1. Marco Says:

    Beh, se l’Europa pretende davvero che noi si riduca il debito di un 1/20 l’anno, o questi fanno in fretta a vendere quanto è più possibile, o siamo davvero fottuti!
    Poi mi chiedo: ma Vendola, se toccasse a lui di governare, che farebbe? Dove li prenderebbe i 40 miliardi all’anno? Dai patrimoni (quali)? 😀

  2. Claps Says:

    Salve Cam.
    Con questo clima non so se privatizzare sia la soluzione giusta. O meglio, sia una soluzione che possa dare spinta all’economia.

  3. camelot Says:

    Risposta a Claps:
    Claps, noi siamo in balia di una tempesta finanziaria, che si abbatte sulla nostro Borsa Valori, perché il nostro debito è troppo elevato rispetto al Pil: questo produce l’alto livello del cosiddetto spread. Fin quando non l’avremo ridotto, per noi non ci sarà pace. In primo luogo.
    In secondo. Forse non hai letto attentamente, ma dal 2014 ci verrà chiesto di ridurre lo stock di debito di un ventesimo l’anno, ovvero di 40-45 miliardi, per effetto di un accordo europeo denominato Fiscal Compact. O privatizziamo o moriamo. Non c’è alternativa. 😉

  4. camelot Says:

    Risposta a Marco:
    L’accordo è in corso di perfezionamento. Il Fiscal Compact nasce proprio dal bisogno di imporre ai paesi con eccessivo debito, come il nostro, di ridurlo per non esporre a rischi l’intera aria Euro. Gli importi indicati nel post dovrebbero essere confermati o di poco inferiori.
    Quanto a Vendola, hai centrato il punto. Non potrebbe mai governare e, infatti, molto probabilmente anche nella prossima legislatura ci sarà un esecutivo di larghe intese.

  5. Bruno Says:

    Il problema non e’ il debito pubblico, ma la politica e’ da riformare. Si puo’ privatizzare tutto quel che vuoi, per poi essere allo stesso punto di partenza dopo cinque anni.
    La politica puo’ cambiare solo se l’elettore cambia attitudine e mentalita’, il cambiamento parte dal basso, bisogna riconoscere gli errori e mettere da parte i taboo.
    Anche se Monti e’ alla guida del paese, i politici di mestiere sono in agguato che passi la tempesta per poi tornare alla politca vecchio stile.

    I tedeschi sono per l’ordine e la disciplina, noi siamo ancora lontani, pero’ la differenza si vede. Da parte nostra e’ una questione di volonta’ e non di capacita’, questo secondo politici tedeschi, infatti il PIL del nord e’ sulla media tedesca, con la Lombardia leggermente piu’ alto, mentre il PIL al sud e’ a livello di Grecia e Portogallo, grafici dallo Spiegel.

  6. camelot Says:

    Risposta a Bruno:
    Hai ragione, Bruno. Di per sé la riduzione del debito non è bastevole: va cambiato l’approccio politico-economico dei partiti. E, tuttavia, nell’immediato, non abbiamo altra possibilità che contrarre lo stock di debito: o lo facciamo o resteremo in balia degli umori degli investitori esteri. Inoltre, è bene portarsi avanti col lavoro perché, dal 2014, e per effetto del Fiscal Compact, saremo obbligati a ridurlo di 40 miliardi l’anno. Senza contare il fatto, poi, che il nostro stato possiede 1.800 miliardi di patrimonio, all’interno del quale sono ricompresi immobili che ne valgono 700. Perché non si privatizza? Perché non si vendono i casermoni inutilizzati?
    Mistero della fede!

  7. Domenico Di Sanzo Says:

    http://wwwilcyrano.blogspot.com/ un altro punto di vista sul “Concordia”

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