Apr 12
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L’Italia ha innumerevoli problemi. La più parte dei quali è dovuta a quattro fattori: 1) L’assenza di un sistema partitico al proprio interno democratico; 2) L’assenza di un partito liberal-conservatore, cioè autenticamente di destra, e liberista; 3) L’assenza di cultura ed approccio empirico-liberali; 4) Il pluripartitismo delle coalizioni di governo.
Questi quattro fattori, intimamente connessi, sono all’origine della nostra arretratezza e dei nostri limiti sistemici. O li superiamo, o semplicemente ne moriremo.
Con la fine della cosiddetta Prima Repubblica, a seguito di Tangentopoli, il sistema politico ha mutato pelle; i partiti si sono trasformati in vuoti contenitori nient’affatto democratici, privi di ancoraggio ideale e valoriale preciso, e succubi di leadership che si sono fatte, nel tempo e tranne in rari casi, sempre e solo padronali.
Siamo riusciti in un’impresa pressoché impossibile. Svuotare di senso talune nobili parole nonché categorie politico-filosofiche secolari: destra, sinistra, centro, socialismo, liberismo, progressismo, liberal-conservatorismo. Da noi, e al contrario di quanto accada in qualunque parte del mondo evoluto, questi lemmi non hanno alcun significato; non richiamano puntuali e tra loro confliggenti visioni della società, dello stato, della vita, della politica. Sono pura aria fritta.
L’Italia dei Valori, Sinistra Ecologia e Libertà, l’Udc, il Popolo della Libertà, Futuro e Libertà e finanche il cosiddetto Movimento 5 Stelle: cosa sono? Qual è il loro ancoraggio politico-dottrinale? A quale filone di pensiero, europeo e mondiale, si richiamano? Qual è la loro natura?
Domande cui nessuno può rispondere perché questi soggetti politici, come altri che li hanno preceduti, non hanno cuore e anima. Sono partiti nati in provetta e frutto di esigenze contingenti ed opportunistiche. Veicoli da usare per accedere al potere e di cui ci si possa prontamente disfare se non più utili alla bisogna. Non sono organismi viventi, come sempre e solo sono i partiti che danno voce a tradizioni politico-culturali e valori insopprimibili. Sono accessori, gadget, orpelli necessari ad imbellettare ciniche e spregiudicate ambizioni di potere.
Lo verifichiamo anche in questi giorni.
Casini, pur non essendone il segretario, e con un atto d’imperio degno del peggior autocrate, ha deciso di azzerare la classe dirigente del proprio partito, l’Udc, onde dar vita ad un nuovo soggetto politico di cui, ovviamente, allo stato non si sa altro che il potenziale nome: Partito della Nazione.
A quale filone politico-culturale dovrebbe ispirarsi? Quale anima dovrebbe avere? Quali sensibilità ed istanze univoche rappresentare?
Non è dato sapere. L’importante sembra essere soltanto dare vita a qualcosa che appaia nuovo e non compromesso agli occhi degli elettori insoddisfatti dell’attuale ceto politico, soprattutto di centrodestra, onde carpirne il voto. Poi il resto non conta.
E se tutto il resto non conta – l’identità, l’ancoraggio dottrinale, l’idea di società e di stato che si vuole portare avanti –, non conta nemmeno con chi si decida di intraprendere questo cammino. Ben vengano tutti, dunque: dai tradizionalisti anti-liberali ai socialisti riformisti; dai sedicenti liberal-democratici ai cattolicisti rossi. Più siamo e meglio stiamo.
E pazienza se si darà vita all’ennesimo aborto, in cui persone che la pensano su tutto in modo anche opposto – come nel Popolo della Libertà e in Fli – andranno a convivere sotto il medesimo tetto – destri e sinistri; liberisti e socialisti; tradizionalisti e cattolici democratici. E pazienza se non si riuscirà mai ad avanzare una proposta chiara ed univoca che sia una, e a difenderla a spada tratta, perché sulla stessa bisognerà mediare all’interno del partito onde trovare un punto di equilibrio tra chi, su quella proposta, quale essa sia, la pensa in modo profondamente diverso. L’essenziale è presentare un nuovo contenitore e dotarlo di un programma sufficientemente accattivante. Il resto non conta un piffero.
Ma il resto è precisamente tutto ciò che fa alta e nobile la Politica. Nonché utile.
Il programma che un partito presenta ai propri elettori non può che discendere dall’identità dello stesso; rifletterne l’anima e il cuore; incarnarne la sensibilità; e non scaturire semplicemente da un mero calcolo razionale di convenienza elettoralistica. Altrimenti non sarà mai attuato e resterà lettera morta: perché nemmeno chi l’ha presentato si batterà mai per tradurlo in fatti, non sentendolo proprio (lo abbiamo visto, in questa legislatura, con il programma del Popolo della Libertà).
Ognuno di noi ha determinate posizioni politiche, e non altre, su qualsivoglia tema, perché le ritiene giuste ed utili. E tali le considera sospinto dalla ragione non meno che dall’anima. Una posizione politica, infatti, le riflette sempre entrambe. Non si “ragiona solo con la ragione”. Si ragiona e si fa i conti anche con l’anima: che dà voce alla nostra natura (identità). Da cui non si può mai prescindere. E da cui scaturisce la nostra sensibilità: il modo in cui osserviamo, interpretiamo e giudichiamo ogni aspetto della vita. E che ci porta, pur osservando magari la medesima cosa, a vederne un’altra, rispetto a chi abbia una sensibilità differente.
Pensare che una persona, dalla sensibilità socialista o paternalista, e intimamente convinta dell’inaffidabilità dell’Individuo, possa un domani impegnarsi in battaglie liberali, significa prendersi per i fondelli. Non conoscere né aver mai riflettuto sulla vita e se stessi. Sragionare.
Non ci si può convincere della bontà di una proposta fin quando tale non la si senta anche con il cuore e l’anima. Fin quando essa non ci rappresenti e rispecchi compiutamente. Vale per le persone come per i partiti.
Un tradizionalista, ad esempio, potrà pure dire di essere razionalmente d’accordo col riconoscimento di diritti individuali ai conviventi gay, ma la sua anima, la sua natura, lo considererà sempre uno scempio. E mai lo spingerà a dare seguito alle parole e ai ragionamenti.
Una delle ragioni per cui la Seconda Repubblica è stata un fallimento, deriva proprio da questo: aver messo assieme, nella due coalizioni, partiti che, al di là delle dichiarazioni d’intenti, avevano sensibilità profondamente diverse, quando non addirittura opposte; e aver portato a vita movimenti, è il caso di quelli che hanno composto (e continuano a comporre) il centrodestra, all’interno dei quali c’erano (e continuano ad esserci) persone che, in un paese normale, sarebbero state avversari politici. Questo ha generato indecisionismo e immobilismo. Quasi completa inazione. Con la conseguenza che, in vent’anni, non abbiamo affrontato alcuna scelta strategica e ridisegnato il volto del Paese onde renderlo competitivo sullo scacchiere internazionale. In tutto il mondo le nazioni, sotto governi e di destra e di sinistra, nel frattempo sono cambiate radicalmente: hanno ridisegnato il loro Welfare (è avvenuto addirittura in Svezia!); assegnato nuove funzioni al settore privato; ridefinito la mission del sistema scolastico; accolto richieste che provenivano dalla società e che sollecitavano la risoluzione di alcune questioni civili (le coppie di fatto e il divorzio breve). Noi, invece, siamo rimasti esattamente come eravamo vent’anni fa. E per questo, più di chiunque altro, abbiamo immani problemi economici.
E a questo ci si è arrivati perché i partiti, tutti e con la sola eccezione del Pd, hanno perso completamente il carattere democratico che non può ch’essergli proprio. Sono divenuti null’altro che vuoti contenitori, aridi di contenuti, valori, idee, progettualità ed identità. Con classi dirigenti cooptate e completamente autoreferenziali e che esprimono posizioni che non rispecchiano affatto quelle del proprio elettorato.
Senonché, invece di affrontare il problema alla radice; invece di ripristinare regole democratiche nelle vita dei partiti e renderli aderenti alle posizioni dell’elettorato; invece di indire congressi veri e primarie aperte alla partecipazione dei cittadini tutti (e non solo dei militanti e degli iscritti) onde individuare una leadership e, soprattutto, una linea politico-programmatica, e dunque il profilo indentitario e valoriale di cui dotarsi; invece di rendersi finalmente conto che il pluripartitismo è un cancro che frustra ed inibisce l’operato di qualunque coalizione, rendendo impossibile governare il Paese e risolverne i problemi; invece di prendere in considerazione il varo di una nuova legge elettorale a carattere maggioritario che porti verso un sistema bipartitico; invece di chiudere per davvero la Seconda Repubblica facendo un salto verso il futuro e colmando un vuoto, quello presente a destra dove manca un partito liberal-conservatore e liberista: lor signori che fanno?
Come se niente fosse, s’accingono a riproporci, è il caso del Partito della Nazione suaccennato ma anche del progetto che Berlusconi avrebbe in mente e di cui ha parlato Alfano qualche giorno fa, le stessa ricetta a causa della quale siamo arrivati ad un passo dal baratro: partiti-troiaio da costruirsi in provetta, aperti a chiunque voglia farne parte e quale che sia la sua posizione, e di cui nessuno, nemmeno chi andrà a militarvi, conoscerà mai l’identità ed il profilo programmatico.
Continueranno a militare sotto lo stesso tetto, insomma, statalisti e liberali, socialisti e liberal-conservatori, tradizionalisti e cattolicisti rossi, persone di destra e di sinistra. Precisamente ciò che già oggi avviene nel Pdl e in Fli, e che non ha eguali in alcun paese al mondo.
Tutti assieme appassionatamente. Con nessuna posizione in comune, tranne quella di prender voti per guadagnarsi una cadrega.
Continueremo, ancora, ad avere coalizioni che s’avvicenderanno al governo della Nazione proponendo sempre la medesima ricetta: socialista e di sinistra. Come sempre e solo è avvenuto negli ultimi quattro lustri.
E, ciò che è peggio, ci capiterà ancora in sorte di sentire cose contro natura come quelle oggi dichiarate da Giulio Tremonti, a proposito del Fassina d’Oltralpe:
«Sarkozy lo conosco, diciamo che è un amico ma in Francia voterei per Hollande perché condivido il suo programma che contiene le stessi tesi sostenute nel mio libro».
Siamo una squadra fortissimi / fatta di gente fantastici / e nun potimm’ perde / e fa figur’ e mmerd’ / perché noi siamo bravissimi / e super quotatissimi / e se finiamo nel balatro / la colpa è solo dell’albitro.