Giu 12
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È giusto che un padre di famiglia, con tre figli e una moglie a carico, a parità di reddito, e soprattutto se quest’ultimo è basso, abbia a soggiacere alla medesima aliquota, e a versare praticamente le stesse tasse (fatte salve le detrazioni per i carichi familiari, naturalmente), di un single o di un capofamiglia che, di bocche da sfamare, ne abbia soltanto due?
No, e credo se ne convenga tutti.
Il punto è come ovviare a questa situazione e fare in modo che, nel tassare un nucleo familiare, si tenga conto, più di quanto non accada oggi, della numerosità del medesimo. C’è chi propone, allo scopo, il cosiddetto quoziente famigliare (un sistema che sposta il baricentro impositivo dalla singola persona alla coppia). Che, però, pone (almeno) due ordini di problemi.
Innanzitutto, la sua introduzione, soprattutto lì dove fosse accompagnata dall’attribuzione al secondo coniuge di un “coefficiente ponderale” troppo alto e pari ad 1, scoraggerebbe il lavoro femminile:
«Sul più importante piano di policy va evidenziato che il quoziente familiare crea distorsioni nelle scelte lavorative del coniuge con reddito più basso (…). Le statistiche più recenti sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro mostrano che nei paesi a tassazione congiunta le donne in media lavorano di meno e le ricerche dimostrano empiricamente l’esistenza di un effetto disincentivante della tassazione congiunta sull’offerta di lavoro femminile. In Italia il tasso di partecipazione femminile al lavoro è il più basso d’Europa e una politica disincentivante dell’offerta di lavoro femminile avrebbe importanti implicazioni sul benessere delle famiglie e dei figli nonché sull’indipendenza economica femminile» (Maria Concetta Chiuri e Daniela Del Boca, Lavoce.info).
In secondo luogo, riducendo e di molto il carattere progressivo del sistema impositivo, il quoziente famigliare risulterebbe vantaggioso, e in termini relativi e in termini assoluti, per i nuclei familiari con redditi medio-alti ed alti più che per quelli con basso reddito. Insomma: farebbe risparmiare quattrini soprattutto ai ricchi.
Lo si può appurare osservando la seguente tabella pubblicata, ieri l’altro, dal quotidiano economico francese Les Echos.
Com’è facile constatare, in Francia, dove appunto è in vigore, il quoziente familiare risulta conveniente soprattutto alle famiglie con redditi elevati e che si collocano nei decili superiori (quelli mostrati nella parte terminale delle figura). In particolare, le famiglie che ricadono nel 10% più ricco della popolazione, grazie ad esso, ottengono un risparmio medio annuo di 3.778 euro; contro i 490 euro medi annui di quelle che, invece, ricadono nel 10% più povero della popolazione.
Lo tengano a mente quei politici italiani che, per ragioni meramente dogmatico-religiose, ogni due per tre ne suggeriscono l’introduzione: se si vuole aiutare (soprattutto) le famiglie a basso reddito ed elevata numerosità, la strada da seguire non è quella del quoziente famigliare.
Com’è di tutta evidenza.
P.S. Per rendere più agevole la lettura del post, e la sua stesura, qui si sono omessi alcuni dettagli tecnici relativi al funzionamento del quoziente familiare. Chi volesse approfondirli, può consultare questo paper redatto da Chiara Rapallini, della Società italiana di economia pubblica.
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