Giu 12
20
Berlusconi, Casini e Fini: tre disperati
Dovrebbero ritirarsi a vita privata; capire che è arrivato il momento di fare un passo indietro, visto che godono dello sfavore della maggior parte degli elettori; essere, per una volta almeno, seri e responsabili, ed anteporre l’interesse del Paese al proprio. Prima che sia troppo tardi; prima che i manganelli e l’olio di ricino rimettano piede nel Palazzo, questa volta portati da Pippa Grillo, il novello Duce del Fascismo 2.0.
E invece niente: seguitano a pensare esclusivamente al proprio tornaconto personale, alla propria sopravvivenza politica; mostrandosi, per di più, disposti a tutto, pur di conseguirli. E questo rischia di mandare ancor più in bestia i cittadini e di spingerli, definitivamente, tra le braccia del Movimento 5 Stelle.
Partiamo da Casini.
Negli ultimi quattro anni non è riuscito a far altro che cumulare figure barbine. Pensava di poter trasformare quell’accrocco insignificante di fondamentalisti religiosi, statalisti antiliberali e partitocrati oltremodo chiacchierati, giusto per usare un eufemismo, quale è l’Udc, in un partito in grado di raccogliere l’eredità articolata e composita, sotto ogni punto di vista, del berlusconismo, quando questo fosse arrivato al capolinea. Allo scopo, s’era pure industriato, e non poco, perché nascesse il governo Monti; che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto favorire la frantumazione della “creatura arcoriana” e l’esodo dei berlusconiani verso lo scudocrociato.
Peccato le cose siano poi andate diversamente. Gli elettori di centrodestra, quando ne hanno avuta l’occasione (ad esempio alle ultime Amministrative), si sono premurati di recapitargli un messaggio chiaro anzichenò: tu e i tuoi ci fate ribrezzo; foste pure gli unici su piazza, non vi voteremmo; anche perché i soli democristiani che ci piacciano sono quelli passati a miglior vita, quelli che si trovano sotto terra, e perché non possono più nuocere. Ragion per cui, mancando i voti, è venuto a mancare anche l’esodo dei berlusconiani.
Un fallimento completo. A fronte del quale, e se alle spalle avesse avuto un partito vero e democratico, e non l’ennesimo giocattolino padronale e proprietario, egli non avrebbe potuto fare altro che dimettersi.
E invece ce lo troviamo ancora a lì: a farsi i cazzi propri.
Visto che perde voti, anche nelle rilevazioni demoscopiche, il Nostro, che fino a ieri l’altro difendeva Monti con il pugnale tra i denti, ha deciso di iniziare a prenderne le distanze. Di più. Vorrebbe che procedesse ad un “rimpasto”; che rimuovesse taluni ministri e li sostituisse con altri, probabilmente vicini al proprio partito e disponibili ad usare i soldi del contribuente per curarne gli interessi elettorali.
Insomma, Casini, da buon democristiano qual è, vista l’aria (pessima) che tira per il proprio partito, invece di incalzare il governo perché faccia le cose giuste per il Paese – liberalizzare (per stimolare la crescita), privatizzare (per ridurre lo stock di debito ed attenuare il rischio default) e tagliare la spesa corrente (a che, nel medio termine, sia possibile tagliare anche le tasse) –, vorrebbe che lo stesso si limitasse a fare le cose giuste, e cioè utili, per lui: accettando un rimpasto ed accogliendo al suo interno propri uomini.
E gli italiani come reagiranno quando, di qui al 28 giugno, Casini inizierà a punzecchiare Monti, sempre più di frequente, chiedendogli un “cambio di passo”, un’inversione di rotta, e la sostituzione di alcuni ministri?
Ovviamente, essendo scafati, scorgeranno in questa mossa l’ennesima operazione partitocratica. Il loro disgusto salirà alle stelle, come la loro collera. L’ennesimo punto a favore di Grillo.
Passiamo a Fini.
Dopo aver avuto le sorti del Paese in mano, per diversi anni e molteplici ragioni (descrivere le quali sarebbe troppo lungo, almeno qui), il Nostro è passato, senza nemmeno rendersene conto, a miglior vita, politicamente parlando. Oggi ne residua, e dispiace, null’altro che l’ombra.
Se avesse rispetto di se stesso, il se stesso che fu negli anni migliori – quando infiammava i cuori, affascinava, e, da avanguardista, tracciava le coordinate di una destra finalmente liberale (o liberal-conservatrice, che è lo stesso) ed in sintonia con quelle europee –, dovrebbe abbandonare il campo. Senza esitazione alcuna. Non ha più alcunché da dare al Paese. Né da ricevere.
Il fatto è che si ostina a non capirlo. E rischia non solo di farsi molto male, ma di umiliarsi.
Si fanno insistenti le voci secondo cui sarebbe in corso una trattativa tra esponenti di Fli, ex An (oggi nel Pdl) e addirittura Storace (sic!), avente ad oggetto la riesumazione di Alleanza Nazionale; o, peggio, la creazione di una “cosa di destra” in stile Front National, visto che le destre radicali e fasciste, in questo momento, paiono godere di un certo seguito.
Sarebbe un’operazione di pura sopravvivenza politica. Dettata dalla disperazione e dal timore di perdere poltrone in Parlamento. E come tale verrebbe letta dall’elettorato e accompagnata da biasimo e riprovazione.
Il Fini “sdoganatore” dell’impresentabile Msi, e della quasi altrettanto impresentabile Alleanza Nazionale (che, se non avesse avuto lui come leader, nessuno avrebbe mai nemmeno degnato di attenzione), dovrebbe tornare ad indossare, dopo anni di sacrosanti “strappi” e passi in avanti, denunce e prese di distanza dall’infame dittatura fascista, la camicia nera? Difficilmente sarebbe possibile immaginare una fine più ingloriosa ed umiliante, per lui. Difficilmente. Dalle stelle alle stalle. Anzi: alle fogne.
Terminiamo con Berlusconi.
Il Pifferaio d’Arcore non vuole cedere la tolda di comando. Pur avendo piazzato Alfano alla guida del Pdl, ne continua a reggere le redini.
Ora pensa di aver trovato un escamotage, e per di più geniale, e questo è il dramma, per rimediare alla emorragia di consensi di cui è vittima, e da tempo, la sua creatura politica; a che abbia qualche chance di vittoria alle prossime Politiche: farla affiancare da svariate liste civiche, alla cui testa piazzare gente della società civile, dello spettacolo, dello sport, del mondo giovanile (anzi: gggiovanile) e via discorrendo. Si fanno i nomi di: Vittorio Sgarbi, Michela Brambilla e Giorgia Meloni.
Evidentemente, pensa gli elettori di centrodestra siano coglioni; e che possa bastare loro un po’ di fuffa, qualche spruzzatina di vernice luccicante e qualche paillette, per ritornare a credere in un partito (e, più in generale, in un’area politica) che, quando ha avuto la responsabilità di governare il Paese l’ultima volta, ovvero fino a sette mesi fa, li ha stuprati fiscalmente con 100 miliardi di tasse e plurime norme da stato di Polizia tributaria.
Ecco. Per il bene del Paese e del centrodestra, e a che quest’ultimo possa più facilmente trovare il modo di rinascere, Berlusconi, Casini e Fini (accompagnati da tanti altri, beninteso) dovrebbero avere l’accortezza di farsi da parte. Ed alla svelta.
O si volta pagina, per davvero ed in tempi rapidi, o si rischia di consegnare la maggioranza parlamentare ed il governo al comunista Vendola, e l’opposizione al fascista Grillo.
Un incubo.