Lug 12
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Casini ha dato il via libera all’alleanza con Bersani nemmeno una settimana fa. Eppure, a quanto pare, i due stanno già studiando come spartirsi le future poltrone. D’altra parte, i sondaggi, da più di un anno, danno come certa la vittoria del centrosinistra alle Politiche del 2013. Dunque è bene portarsi avanti col lavoro.
Secondo Lettera43 e Il Retroscena, la trattativa sarebbe già a buon punto; e prevedrebbe quanto segue.
Bersani andrebbe a Palazzo Chigi, in qualità di premier. Casini, invece, che vorrebbe ascendere al Colle, ma sa che è impresa impossibile, si accontenterebbe dello scranno più alto di Palazzo Madama: quello di Presidente del Senato.
Veltroni dovrebbe essere parcheggiato alla Presidenza della Camera, mentre Baffino D’Alema dovrebbe riuscire ad agguantare la nomina a Commissario europeo.
Enrico Letta, invece, dovrebbe sedersi sulla poltrona che fu di Quintino Sella, quella di Ministro dell’Economia, ed essere affiancato – ma qui ci sono non pochi dubbi, come già abbiamo avuto modo di evidenziare qualche giorno fa – da Stefano Fassina.
Tutto molto bello.
Peccato, però, agli italiani interessi davvero molto poco questo genere di questioni: essi, infatti, e mai come in questo momento, vorrebbero sapere altro e di ben più importante.
Innanzitutto, con quale programma, e quali contenuti, il Pd e l’Udc si presenteranno agli elettori. E, in secondo luogo, come fronteggeranno l’obbligo di conseguire il pareggio di Bilancio.
Si dà il caso, infatti, il 17 aprile scorso, e per recepire le richieste della Bce e del cosiddetto Fiscal Compact, il Parlamento abbia approvato in via definitiva la revisione costituzionale con la quale si è introdotto, nella nostra Carta, il succitato vincolo.
Ora, siccome la nostra spesa pubblica è al 52% del Pil, tra i livelli più alti in Europa, per onorare quell’impegno ci sono solo due alternative. O tagliare strutturalmente le uscite (la spesa), riducendo il perimetro dello stato con riforme di sistema marcatamente liberiste, in modo da non dover ricorrere, per pareggiare i conti, ad un ulteriore incremento del prelievo fiscale (oggi al 46%); oppure, all’opposto, incrementare la pressione fiscale di parecchi punti percentuali. Tertium non datur.
Ce lo facciamo spiegare dal professore, nonché economista, Antonio Martino:
«Pareggiare il bilancio significa pretendere di prelevare con i tributi (se non si taglia la spesa con riforme strutturali, ndr) il 52% del reddito al contribuente medio; quanto dovrebbero sborsare coloro che hanno redditi superiori alla media, il 60 o 70 per cento, e le imprese il 90 o più percento?
Quando il rapporto della spesa pubblica sul reddito nazionale supera il 52% come adesso, il perseguimento del pareggio realizzato tentando di fare aumentare le entrate (cioè le tasse, ndr) è semplicemente demenziale e ha conseguenze potenzialmente disastrose».
Ecco. Questo dovrebbero spiegare Bersani e Casini agli italiani.
Come raggiungeranno il pareggio di Bilancio? Portando il prelievo sulle imprese, oggi già al 68%, addirittura al 90, o giù di lì? E alle “persone fisiche” cosa toccherà in sorte?
Quelli che hanno redditi fino a 15.000 euro e oggi ne versano il 23% all’Erario, quanto dovranno pagare in più? Il 2-3%? E quelli sottoposti all’aliquota del 38%, e che hanno redditi da 28.000 a 55.000 euro, quante palanche in più dovranno a Pantalone? E gli altri?
Sappiamo già che lor signori sono intenzionati ad introdurre una tassa sui patrimoni superiori al milione di euro – cosa che, se dovesse davvero verificarsi, provocherebbe tumulti di piazza e sommosse, ne siamo certi. Ma non basta una patrimoniale a pareggiare i nostri conti.
Come faranno, allora? Anche perché l’imposizione fiscale, nel nostro paese, a causa delle ultime manovre finanziarie di Berlusconi e Monti, ha già raggiunto un livello così alto da aver provocato, e proprio di recente, un calo del gettito fiscale (dovuto al crollo dei consumi. Arthur Laffer docet).
Attendiamo una risposta.
Seria.