Il Pd si oppone ai tagli di spesa della spending review. Vuole forse l’aumento dell’Iva?

Ieri ci chiedevamo: Bersani e Casini, invece di pensare a come spartirsi le future poltrone di governo, perché non spiegano agli italiani come garantiranno il pareggio di Bilancio, ch’essi hanno contribuito ad introdurre in Costituzione come vincolo, ovvero se per conseguirlo faranno ricorso a nuove tasse o a consistenti tagli di spesa?

Ecco. Neanche a farlo apposta, stamane l’Unità ci ha fornito la risposta.

E Bersani ha fatto altrettanto:

«Credo che nessuno auspichi l’aumento dell’Iva a cui ci ha inchiodato la coppia Berlusconi-Tremonti. Quindi dobbiamo trovare altre soluzioni, discutendo della spesa della pubblica amministrazione, senza andare a toccare la sostanza e la risposta sociale, cosa che per noi non sarebbe accettabile».

«Si deve arrivare a un obiettivo, c’è modo e modo, discutiamo. Non credo che una spending review o i tagli siano una cosa solo da funzionari del tesoro».

Come pure, qualche giorno prima, aveva fatto il suo collega di partito, Francesco Boccia:

«Al governo consigliamo di non avere fretta con il decreto sui tagli: non possiamo neppure lontanamente rievocare quelli lineari alla Tremonti (…). Abbiamo tutto il mese di luglio per lavorarci su. Auspichiamo che questa volta il governo ci ascolti».

Praticamente delle intimidazioni.

Vediamo, allora, di chiarire alcune cose.

Primo. Alla cosiddetta spending review, il governo lavora da mesi e mesi. E per portarla a termine nel migliore dei modi, per individuare davvero gli sprechi annidati nella spesa pubblica (a questo serve la spending review) ed eliminarli senza intaccare la qualità dei servizi, esso si è affidato a tre persone di chiara fama e competenza: il ministro ed economista Piero Giarda, che studia il Bilancio dello Stato e le dinamiche della spesa pubblica da oltre trent’anni, ed è uomo notoriamente di sinistra; l’economista bocconiano Francesco Giavazzi, una vera e propria autorità in materia, ed il manager Enrico Bondi.

I Nostri, dopo aver fatto un lavoro accurato ed approfondito, con certosina meticolosità, hanno individuato sprechi enormi in taluni comparti. Il principale dei quali è quello della spesa per consumi intermedi nella Sanità (ovvero la spesa per l’acquisto di beni e servizi).

Ecco come si è pronunciato in proposito il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà:

«Noi abbiamo il dovere di colpire gli sprechi. Non voglio dire che sono sprechi dolosi ma sono oggettivi, costi che si pagano al di sopra della media, non tagliamo i servizi ma i surplus di spesa».

Sprechi oggettivi e che, tra l’altro, fanno sì che operai, pensionati al minimo ed impiegati debbano pagare fior fiori di tasse per mantenere in piedi il Servizio Sanitario Nazionale. Il quale, tanto per intenderci, e come evidenzia la stessa spending review, ad ogni italiano costa, in media, 1.833 euro.

Nel dettaglio, e come rivela il Corriere della Sera:

«La spesa delle Asl per l’ acquisto di forniture e servizi, pari a poco più di 34 miliardi di euro, è cresciuta nel 2011 del 3% nonostante la spesa sanitaria complessiva sia aumentata, in termini omogenei rispetto al 2010, di appena lo 0,1%. E dentro a quel comparto ci sono voci che continuano a crescere fuori linea. L’ acquisto di prodotti medicali di consumo assorbe 15 miliardi di euro (+2,4% dopo il +4,7% dell’ anno precedente). Poi ci sono i servizi «non sanitari» appaltati all’ esterno: la spesa per i servizi di lavanderia, mensa, pulizie e riscaldamento, l’ anno scorso, è cresciuta del 4,2%, mentre quella per manutenzioni e riparazioni è salita del 2,8%» .

E ancora:

«Nella stessa relazione Giarda sulla spending review si afferma che «la dinamica della domanda – più persone anziane e meno giovani – non è sufficiente a spiegare» l’esplosione della spesa sanitaria. La colpa, invece, è dei «governi regionali (per i quali la spesa sanitaria assorbe circa il 70% della spesa complessiva)» ai quali «fanno eco gli interessi delle ditte fornitrici di farmaci e di attrezzature sanitarie». Lo stesso Giarda concludeva che su 295 miliardi di spesa pubblica «aggredibile», cioè sulla quale ci sono margini di riduzione «nel medio periodo», più di un terzo, cioè 97,6 miliardi fa capo alla Sanità, di cui 69 miliardi solo alla voce acquisti di beni e servizi».

Ecco. Queste voci fanno riferimento a transazioni poste in essere dalle Asl a prezzi non convenienti e fuori mercato. Contenerle, e chiedere alle medesime di acquistare beni o di appaltare servizi all’esterno (come quelli di lavanderia) a soggetti che pratichino prezzi più bassi, non significa affatto incidere sulla qualità dei servizi sanitari ch’esse offrono al cittadino: significa chiedere loro di usare oculatamente i soldi del Contribuente; ché sono sacri.

Come fanno il Pd e Bersani a non essere d’accordo? Intendono tutelare gli intrallazzi che taluni direttori di Asl pongono regolarmente in essere, acquistando da amici, a prezzi decisamente esorbitanti, prodotti quali siringhe in cambio di laute mazzette?

È, francamente, incomprensibile, tale atteggiamento. Anche perché questi tagli, come gli altri previsti dalla spending review, servono ad evitare non solo l’aumento dell’Iva pianificato per ottobre (e gennaio), e che andrebbe ad impattare negativamente sulle fasce sociali più deboli, ma anche a trovare parte dei soldi necessari a risolvere il nodo-esodati e fronteggiare la ricostruzione dell’Emilia.

Non solo.

Gli altri tagli previsti riguardano, ad esempio, l’accorpamento delle Province e degli uffici governativi sul territorio (Prefetture, Questure e Sovrintendenze), che potrebbe garantire anche 5 miliardi di risparmio l’anno (a detta de il Corriere della Sera).

Bersani vuole forse opporsi a questo interventi e correre il rischio di passare per un difensore della “Casta”?

Ancora.

Un’altra tosatura dovrebbe riguardare le società pubbliche. In particolare, il numero dei componenti i vari Cda (Consigli di Amministrazione) che non dovrebbe più superare le 3 unità:

«Con la riduzione a soli 3 membri dei consigli di amministrazione di tutte le società interamente partecipate dallo Stato e non quotate il Governo procederà al taglio di circa il 30% delle attuali poltrone» (Il Sole 24 Ore, domenica 1 luglio).

Ecco. Bersani si oppone anche a questo? E perché mai? Perché perderebbe poltrone dove allocare amici e trombati vari?

Infine, i tagli dovrebbero riguardare gli statali, la Pubblica amministrazione:

«Rumor non smentiti dall’esecutivo danno sempre più certo un intervento di riduzione sul numero di dirigenti (-20% di prima fascia, -10% la seconda) ognuno dei quali, mediamente, gestisce appena 9 dipendenti. Si parla di cassa integrazione anche per gli statali (il 5% del totale)».

Anche in questo caso, e visto che in qualunque parte dell’orbe terracqueo negli ultimi anni si è proceduto a ridimensionare il numero dei dipendenti pubblici, non si capisce come il segretario del Pd possa opporre veti, francamente.

Ciò detto, e che sia chiaro a tutti, se queste sforbiciate – che dovrebbero ammontare a non più di 10 miliardi – non vedranno la luce, o se la loro entità verrà fortemente ridimensionata, ci toccherà pagare, e sin da ottobre, un punto percentuale d’Iva in più ogni volta che andremo ad acquistare qualcosa.

E, a quel punto, sapremo contro chi sacramentare.

Nevvero, Bersani?

Aggiornamento del 3 luglio.

Il tetto massimo di tre componenti per ogni Cda dovrebbe riguardare anche le cosiddette municipalizzate.



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5 Responses to "Il Pd si oppone ai tagli di spesa della spending review. Vuole forse l’aumento dell’Iva?"

  • paolo says:
  • camelot says:
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