Set 12
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Di’ qualcosa di comunista. «A frocio!»
Franco Grillini, ex leader dell’Arcigay (nonché esponente del Pci, poi del Pds e dei Ds), intervistato da Panorama:
«Fino alla fine degli anni Sessanta, se non eri sposato regolarmente, nel Pci non facevi carriera; e questo valeva per le donne come per gli uomini. Un po’ meno per i leader (…)».
«Visto che i non sposati erano guardati con sospetto, persino i gay erano costretti a mettere su famiglia. Poi esprimevano la propria identità sessuale di notte, in modo furtivo e clandestino (…)».
«Bastava una voce, un sospetto, una maldicenza per stroncare una carriera. O per provarci. Leggendaria la vicenda di Pietro Secchia, il vice di Togliatti. Di lui, nel partito, cominciò a girare la chiacchiera che fosse gay. Ma si diceva anche che la voce fosse stata messa in giro da Togliatti, proprio per rovinarlo. Togliatti lo detestava (…)».
«So ben io le difficoltà che ho avuto per arrivare alla Camera: ci ho messo 14 anni. Quando Achille Occhetto nel 1987 chiese ai bolognesi di candidarmi in posizione sicura, nel partito ci fu la rivolta: i bolognesi non volevano saperne di essere rappresentati a Roma da un “busone”».
Ma come, Bologna è la città del Cassero, la culla dell’associazionismo gay italiano (chiosa il giornalista).
«Seee… Torno al 1984, festa delle donne comuniste alla Montagnola; metà dei volontari del Pci rifiutò di lavorarci perché c’era lo stand dei “busoni” (…)».
Ma i vertici del Pci?
«Nella primavera 1985 l’Arcigay fu ufficialmente ricevuta dal segretario, Alessandro Natta. L’incontro durò tre ore. All’uscita ci imbattemmo in Gian Carlo Pajetta. “Cosa fate qui”. “Abbiamo parlato con il segretario”. “Ah, bravi”. Noi dovevamo fare delle foto, e lui subito si mise in posa al nostro fianco. “Ma voi chi siete?” chiese. “Noi siamo l’Arcigay”. Manco il tempo di dirlo che già era scappato. E dentro ai corridoi di Botteghe Oscure muggiva: “Prima le puttane, adesso i froci! Ma dove sta andando ‘sto partito?” ».
Li chiamavano: progressisti.