La Carta d’intenti del Pd: molta aria fritta, ipocrisia e proposte social-comuniste

La Carta d’intenti del Pd, sottoscritta da coloro che prenderanno parte alle primarie – che, ricordiamolo, servono a designare il candidato premier del centrosinistra e non il segretario del Pd (che resterà Bersani, anche se gli elettori dovessero premiare Renzi) –, fotografa lo stato di salute ed il grado di affidabilità del partito e della coalizione progressista. Evidenziando un quadro impietoso: il centrosinistra, ancora una volta, non riesce ad essere credibile; continua ad essere succube dei propri limiti, culturali e morali.

Partiamo da questo passaggio della Carta:

«Vogliamo dare segnali netti all’Italia onesta che cerca nelle istituzioni un alleato contro i violenti, i corruttori e chiunque si appropri di risorse comuni mettendo a repentaglio il futuro degli altri. Per noi ciò equivarrà alla difesa intransigente del principio di legalità, a una lotta decisa all’evasione fiscale, al contrasto severo dei reati contro l’ambiente, al rafforzamento della normativa contro la corruzione e a un sostegno più concreto agli organi inquirenti e agli amministratori impegnati contro mafie e criminalità, vero piombo nelle ali per l’intero Paese. Vogliamo contrastare tutte le mafie, reprimendone sia l’azione criminale che l’immensa forza economica. La presenza dei capitali mafiosi, a maggior ragione in un momento di crisi, è un elemento devastante per ogni prospettiva di rilancio del paese. Va reciso ogni legame o sospetto di complicità di alcuni rappresentanti politici. La rigorosa applicazione del codice etico approvato dalla Commissione antimafia è per noi inderogabile per le candidature a tutti i livelli».

Tutto molto bello, giusto ed interessante. Peccato il Pd, e più in generale il centrosinistra, sui temi della legalità, del contrasto alla corruzione ed alla criminalità organizzata nonché all’evasione fiscale, abbia sempre e solo dato pessima prova di sé; e non possa impartire lezioni ad alcuno. Anzi.

In Campania (a Napoli, soprattutto) e in Calabria, ad esempio, il centrosinistra, col Pd in testa, negli ultimi vent’anni è stato, come direbbero a Francoforte, “culo e camicia” con la Camorra e la ‘Ndrangheta. Non lo afferma (solo) il sottoscritto, ma un signore che la gauche venera oltremodo, tale Roberto Saviano:

«Al di là delle attuali vicende in corso a Napoli e di come andranno a finire, una cosa va detta, che il centrosinistra avesse relazioni con la criminalità organizzata lo si sapeva da 10 anni. Non a caso la Campania e la Calabria, feudi del centrosinistra, hanno il record per crimini di questo tipo».

Queste cose, è bene precisarlo, Saviano le diceva nel 2008. Da allora qualcosa, almeno in parte, è cambiato: Bassolino, Iervolino ed Agazio Loiero sono stati mandati a casa. Dagli elettori, però. Perché fosse dipeso dai mammasantissima del Pd e del centrosinistra, che grazie ai voti “sporchi” del plurinquisito Bassolino sono diventati premier o segretari di partito (Prodi, Veltroni e Bersani: giusto per non fare nomi), starebbero ancora al loro posto. A far danni (1,5 miliardi di debiti hanno lasciato in eredità al Comune di Napoli, Bassolino e Iervolino: questo ha dichiarato, pochi giorni or sono, il Sindaco Luigi De Magistris intervenendo a Piazza Pulita).

Ecco. Lor signori del Pd hanno mai chiesto scusa per come i succitati hanno male amministrato? Per il fatto che, nove volte su dieci, i Comuni che in Campania e in Calabria venivano sciolti per infiltrazioni malavitose fossero guidati proprio da Giunte di centrosinistra?

No. Mai. E, allora, con quale faccia tosta parlano oggi di lotta alla criminalità organizzata? Da quale pulpito predicano, visto che hanno anche votato contro le norme antimafia varate dal centrodestra in questa legislatura?

Ancora.

In tema di contrasto alla corruzione, alle malversazioni et similia. Possono proferir verbo lor signori che, nelle proprie fila, hanno gente come D’Alema, percettore reo confesso di finanziamenti illeciti al Pci pugliese salvatosi dal gabbio solo grazie alla prescrizione, Penati, le cui vicende sono arcinote, Vendola, rinviato a giudizio per fattispecie poco commendevoli, Vasco Errani, rinviato a giudizio per aver regalato “a sua insaputa” danari pubblici al fratello? (Ci si ferma qui solo per ragioni di brevità e un pizzico di carità cristiana).

Credo di no. Eppure parlano. S’impancano a Savonarola. Pensano che i propri elettori siano tutti – ma proprio tutti – emeriti cretini; che vivano sulla Luna; che credano, ancora, al mito falso della superiorità morale della sinistra; che non leggano giornali.

Ecco. Se lor signori, invece di continuare a far promesse e postulare d’essere moralmente diversi, cosa che i fatti si curano ognora di smentire, s’impegnassero innanzitutto a chiedere scusa per tutto ciò che di sbagliato hanno fatto – dagli intrallazzi alle omissioni; dalle connivenze opache alla cattiva amministrazione della Cosa pubblica –; se, in più, rinunciassero ad approntare leggi ad personam (si legga alla voce: Ddl anticorruzione e norma salva-Penati), cosa che ininterrottamente fanno dal 1990 per evitare a sé e agli amici la visita ai bagni penali, forse, e dico forse, risulterebbero più credibili. O, quantomeno, meno ipocriti e paraculi. Meno offensivi nei confronti dei propri elettori.

Scriveva Montanelli: «Conosco molti furfanti che non fanno i moralisti, ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante».

Probabilmente, pensava a lor signori (e a Travaglio, naturalmente).

Andiamo avanti con la Carta d’Intenti:

«Infine, ma non è l’ultima delle priorità, la politica deve recuperare autorevolezza, promuovere il rinnovamento, ridurre i suoi costi e la sua invadenza in ambiti che non le competono. Serve una politica sobria perché se gli italiani devono risparmiare, chi li governa deve farlo di più».

Giusto. Vien da chiedersi, però. Se lor signori vogliono ridurre i costi della politica, renderla sobria e fare in modo che recuperi autorevolezza, perché si oppongono all’abolizione dei finanziamenti pubblici ai partiti e a quella delle Province? E, soprattutto, perché non chiedono scusa per aver varato, anni or sono, la tanto vituperata norma sui rimborsi elettorali che, come ebbe a confessare una volta Ugo Sposetti (già padre del provvedimento) in una trasmissione televisiva, aveva il solo scopo di evitare ai Ds di portare i libri contabili in Tribunale e dichiarare il fallimento, causa debiti? (Una delle tante leggi ad personam che lor signori si son cuciti su misura).

Attendono una risposta gli elettori di sinistra, innanzitutto.

Soffermiamoci, adesso, su altri due punti della Carta; gli ultimi che meritino attenzione (perché il resto del documento, ahinoi, è pura aria fritta):

«Il primo passo da compiere è un ridisegno profondo del sistema fiscale che alleggerisca il peso sul lavoro e sull’impresa, attingendo alla rendita dei grandi patrimoni finanziari e immobiliari. Quello successivo è contrastare la precarietà, rovesciando le scelte della destra nell’ultimo decennio e in particolare l’idea di una competitività al ribasso del nostro apparato produttivo, quasi che, rimasti orfani della vecchia pratica che svalutava la moneta, la risposta potesse stare nella svalutazione e svalorizzazione del lavoro».

Ecco. Di grazia, cosa vuol dire “contrastare la precarietà, rovesciando le scelte della destra nell’ultimo decennio”? Abolire la Legge Biagi? La stessa che ha prodotto 3,5 milioni di occupati in più? La stessa che è già stata profondamente ridimensionata dalla pessima riforma del lavoro della Fornero, provocando, come contraltare, il licenziamento di diecine (forse centinaia) di migliaia di lavoratori, come abbiamo già documentato, in pochi mesi? È questo che si propone?

Se è così, lo si dica apertis verbis: noi vogliamo abrogare la Legge Biagi e, dunque, provocare il licenziamento (e la disoccupazione) di milioni di giovani italiani. Si abbia il coraggio di dichiararlo.

Sulla patrimoniale, poi.

Lor signori sono consapevoli che in Italia c’è già chi arriva a versare all’Erario anche l’83% di ciò che guadagna?  E, soprattutto, li hanno fatti bene i conti?

Mi spiego. Lor signori propongono una patrimoniale progressiva sui patrimoni superiori a 1,2 milioni di euro che, secondo i loro calcoli, andrebbe a colpire 1.160.000 famiglie e garantirebbe un gettito di 5 miliardi da ripartire, sotto forma di sgravi fiscali, minori tasse da pagare, tra 41,5 milioni di contribuenti.

Ebbene, 5 miliardi di euro divisi per 41,5 milioni di italiani danno come risultato 120,48 euro annui a testa; spalmati su 13 mensilità, fanno 9,26 euro mensili. Questo è il tesoretto garantito dalla patrimoniale (che, agli altri italiani, quelli che dispongono di ricchezze dell’ammontare succitato, costerà in media, invece, 4.310 euro annui).

Ecco. A loro avviso, il gioco vale la candela? È tollerabile tassare qualcuno quasi al 90% acciocché qualcun altro abbia 9,26 euro mensili in più in busta paga?

Credo di no. E credo siano i primi a saperlo.

E, allora, perché proporre una patrimoniale che toglie altri soldi a chi già ne versa tanti (al Fisco), per dare null’altro che spiccioli a qualche “fortunato”? Per fare un po’ di lotta di classe? Perché è giusto che “anche i ricchi piangano”? Perché, in fondo, l’unica cosa che stia loro a cuore non è emancipare gli “ultimi” dalla povertà, ma rendere indigenti anche quelli che non hanno la sventura d’esserlo?

Che progetto rivoluzionario ed inedito.

Nessun dubbio. Continuano ad essere unfit to lead.

P.S. La Carta d’intenti è stata sottoscritta anche da Matteo Renzi. Che, per tale ragione, non ha più alcuna credibilità.



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