Ha vinto Bersani. E la sinistra non riuscirà a mettere piede a Palazzo Chigi

Senza colpi di scena, Pier Luigi Bersani, ieri, è riuscito ad aggiudicarsi la premiership del centrosinistra (auguri a lui). Il suo sfidante, Matteo Renzi, s’è finto un po’ dispiaciuto ed affranto ma, in realtà, era più che contento: ora la patata bollente, eventualmente governare coi comunisti e la più difficile congiuntura economica dal secondo dopoguerra ad oggi, non toccherà a lui – che, alle primarie, si augurava solo di riportare una buona performance; come è avvenuto.

A gioire smodatamente della vittoria dell’Emiliano, invece, è stato Berlusconi. E c’è da capirlo: fino a ieri l’altro praticamente un cadavere, dal punto di vista politico, grazie a Bersani e Vendola potrà risorgere e presentarsi, per la millesima volta, quale baluardo a difesa della libertà della italica gente contro l’avanzata della barbarica orda bolscevica; e, c’è da scommettervi, qualche gonzo ancora disposto a dargli fiducia, lo troverà; ah, se lo troverà.

Il punto, come altrove già detto, è che la vittoria di Bersani, purtroppo per lui ma fortunatamente per il Paese, è del tutto effimera. È una vittoria di Pirro.

A meno che non si voti a gennaio-febbraio, cioè a breve, le chance che possa mettere piede a Palazzo Chigi sono quasi prossime allo zero.

Innanzitutto, perché il largo consenso di cui oggi gode il Pd, tra il 29% (secondo Mannheimer) ed il 34 (secondo Pagnoncelli), è del tutto eccezionale (per più di un anno il partito è rimasto ancorato al 26%) e frutto dell’eco mediatica dovuta alle primarie: venendo a mancare questa, di quel consenso, soprattutto se passassero molti mesi prima del voto, resterà ben poco (ne sono convinti anche al Nazareno). Se si arrivasse a votare a marzo-aprile, tanto per capirci, il Pd, molto probabilmente, tornerebbe a veleggiare attorno al 27-28% (al massimo). Nel qual caso, la possibilità di agguantare il premio di maggioranza (col Porcellum), tanto alla Camera quanto al Senato, risulterebbe un miraggio.

In secondo luogo, sin qui, nessuno, con le dovute eccezioni, s’è preso la briga di mettere seriamente a fuoco il programma di governo di Bersani (e Vendola). Nessuno, soprattutto sui giornali più blasonati, ne ha descritto la pochezza e, al contempo, la pericolosità: il fatto che in esso non si preveda alcun significativo e credibile intervento a favore della crescita economica e di una generalizzata riduzione del carico fiscale gravante sui contribuenti (l’unico provvedimento in esso contemplato è la patrimoniale). Quando si inizierà seriamente a discutere di quel programma, delle proposte shoccanti e iper-recessive di Vendola (3 patrimoniali di cui una del valore di 200 miliardi), e del fatto ch’esso appaia indiscutibilmente inadatto a fronteggiare una situazione economica emergenziale come quella attuale, difficilmente gli elettori potranno non rendersi conto dell’inadeguatezza dell’offerta politica rappresentata dal Pd; e non volgere, a milioni, lo sguardo altrove.

In terzo luogo, scegliendo Bersani s’è premiata la sua malsana idea di “centrosinistra plurale”. Un modo eufemistico per dire che, anche questa volta, alle elezioni correrà il medesimo troiaio catto-comunista che, negli ultimi 20 anni, ha prodotto infiniti danni al Paese, financo più del centrodestra, e lasciato pessimi ricordi nelle menti e nelle tasche (soprattutto) di milioni di italiani; e contro il quale fare campagna elettorale sarà una passeggiata di salute; un gioco per bimbi.

Insomma, repetita iuvant, Bersani avrà pure vinto le primarie, ma ha davvero ben poco di cui rallegrarsi: è più facile che Gasparri dica una cosa intelligente, che lui metta piede a Palazzo Chigi.



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8 Responses to "Ha vinto Bersani. E la sinistra non riuscirà a mettere piede a Palazzo Chigi"

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  • rokko says:
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