Agenda Monti, poche proposte buone (copiate da altri) e molte dannose
Due certezze. La prima è che il documento denominato Agenda Monti non possa essere stato materialmente redatto dal Professore: è gravido di errori (orrori) di ortografia e grammatica, refusi, ripetizioni di lemmi e, per di più, risulta scritto, in alcuni punti, coi piedi; è probabile, anzi, che il Bocconiano non l’abbia nemmeno letto (altrimenti mai ne avrebbe autorizzata la diffusione).
La seconda, invece, è ch’esso non sia altro che un copia-incolla, un plagio: quando suggerisce interventi minimamente accettabili, cosa che avviene di rado, non fa altro che riproporre, sia pur in misura meno incisiva, verrebbe da dire: omeopatica, quanto è prospettato in altri programmi, è il caso di quello di Fermare il Declino; quando, invece, ed avviene quasi sempre, formula proposte sbagliate, fiscalmente assassine e neokeynesiane, non fa altro che scimmiottare i contenuti del programma del Partito democratico; e, proprio come in quest’ultimo caso, non fornisce una cifra che sia una (ad esempio quando fa riferimento alla detassazione del lavoro giovanile e femminile senza indicarne la copertura finanziaria).
Detto questo, passiamo brevemente in rassegna alcuni strafalcioni ortografico-linguistico-grammaticali presenti nel documento.
Ecco. La terza persona singolare del verbo essere, in tutta l’Agenda, viene indicata sempre e solo con l’apostrofo anziché con l’accento: un erroraccio che commettono molti giornalisti (Franco Bechis, ad esempio). “Obblighi europei” avrebbe dovuto essere preceduto dall’articolo (“gli”); riferendosi ad “obblighi”, invece di “le” ed “esse” avremmo dovuto leggere “li” ed “essi”.
Qui, delle due l’una, o i giovani che meritano “non hanno mezzi” oppure “hanno mezzi minori”. Tertium non datur.
Tanto valeva scrivere “qualunquemente”.
Come se fosse antani, insomma.
Infatti. È indubbio.
Deve trattarsi di una delle famose semplificazioni introdotte da Monti.
Ecco. Il Professore, forse, avrebbe fatto bene ad affidare la stesura del programma a qualcun altro.
Posto questo, veniamo ai contenuti dell’Agenda.
Come detto in principio, essa contiene proposte condivisibili ed altre che andrebbero invece rispedite al mittente: visto che collimano quasi perfettamente con quelle autoritarie ed antiliberali del Partito democratico e di Sel.
Tra le prime fa d’uopo citare le liberalizzazioni, che Monti sostiene andrebbero estese a segmenti di mercato oggi ancora “chiusi”, le semplificazioni normative e burocratiche, onde rendere più semplice la vita a cittadini ed imprese, lo sfoltimento delle leggi, troppe, che oggi disciplinano il mercato del lavoro, l’attivazione di procedure atte ad utilizzare i fondi strutturali dell’Unione Europea destinati al nostro Paese e non sempre impiegati integralmente, la completa digitalizzazione della Pubblica amministrazione e l’introduzione, sulla scorta del modello anglosassone, del cosiddetto Freedom of Information Act (proposta, questa, mutuata dal programma di Renzi), una maggiore attenzione agli investimenti in ricerca e scuola, per riattivare i cosiddetti “ascensori sociali”, la riduzione dello stock di debito, anche se nel documento mai vengono citate le privatizzazioni (si parla, invece, di valorizzazione/dismissione del patrimonio pubblico, e ciò dà adito a più di un sospetto).
Questa è la parte buona del programma di Monti. E rappresenta null’altro che un copia-incolla, in versione omeopatica, dei 10 punti programmatici di Fare per Fermare il Declino.
Il punto è che accanto a queste proposte, fuor di dubbio giuste, e come suaccennato, ve ne sono altre, invece, pessime.
Innanzitutto, nel programma, che pure è abbastanza lungo, si sviluppa in 25 pagine, è del tutto assente qualunque analisi relativa ai problemi strutturali del Paese. Quelli che fanno dell’Italia, come abbiamo più e più volte segnalato, un’eccezione su scala europea e mondiale; e ne soffocano la crescita da più di vent’anni.
I nostri problemi sono tre, ed intimamente correlati: 1) Un debito pubblico elefantiaco, frutto di scellerate e pluridecennali politiche catto-social-comuniste e keynesiane; 2) Una spesa pubblica complessiva (in rapporto al Pil) eccessiva e con pochi eguali al mondo; 3) Una pressione fiscale, necessaria a finanziare quella spesa, asfissiante e divenuta insostenibile.
Nell’Agenda non c’è una sola parola su tali questioni. La pressione fiscale, che dal 1998 nel nostro Paese è superiore a quella dell’area Euro (come evidenziano le tabelle di seguito riportate), è il primo freno alla crescita dell’Italia. Per tale ragione, qualsiasi forza politica seria e credibile dovrebbe prefiggersi di falcidiarla e fortemente.
Monti, invece, non considera prioritaria la questione fiscale. Anzi. Egli reputa opportuno, al pari di Bersani e Vendola, far pagare ancor più tasse, mediante l’introduzione di una patrimoniale (l’ennesima!) ed altre imposte vessatorie, a chi già oggi arriva a versare anche l’83% del proprio reddito all’Erario. A pagina 5 della sua Agenda si legge:
«Per la prossima legislatura occorre un impegno, non appena le condizioni generali lo consentiranno, a ridurre il prelievo fiscale complessivo, dando la precedenza alla riduzione del carico fiscale gravante su lavoro e impresa. Questa va comunque perseguita anche trasferendo il carico corrispondente su grandi patrimoni e sui consumi che non impattano sui più deboli e sul ceto medio. Servono meccanismi di misurazione della ricchezza oggettivi e tali da non causare fughe di capitali».
Quindi, le tasse si ridurranno quando e se sarà possibile, e ciò avverrà anche (o soprattutto?) “trasferendo il carico corrispondente su grandi patrimoni e sui consumi che non impattano sui più deboli e sul ceto medio”; avendo cura, poi, di individuare “meccanismi di misurazione della ricchezza oggettivi e tali da non causare fughe di capitali”. Insomma, visto che gli unici capitali che non possano volatilizzarsi dalla sera alla mattina sono quelli immobiliari, i proprietari di case, dopo la stangata dell’Imu, si troveranno a fronteggiare un’altra patrimoniale. Ed il ceto medio, come quello medio-alto, sarà tosato ancor di più.
Il problema, però, è che l’Italia cresce poco proprio perché la produzione (e l’accumulo) di ricchezza viene discriminata e disincentivata da aliquote marginali e da un prelievo fiscale complessivo troppo elevati. Se si arriva a tassare taluni contribuenti all’83%, non solo li si istiga ad evadere il fisco, ma si toglie loro qualsiasi stimolo a darsi da fare per guadagnare di più. Cosa che penalizza, alla fine, l’intero Paese condannandolo ad avere una crescita economica, misurata dal Pil, anemica.
Gli esseri umani, come insegnano le scienze sociali tutte, inclusa l’economia politica che il professor Monti dovrebbe conoscere a menadito, agiscono sulla base di stimoli ed incentivi. Se produrre ed accumulare ricchezza non è vantaggioso (per sé), perché si devono versare troppe tasse (sul reddito o sul patrimonio, poco rileva) all’Erario e superare troppi ostacoli (burocratici e legislativi), nessuno si impegnerà a farlo. Meglio poltrire.
Anche la vita vive grazie a stimoli ed incentivi: da miliardi di anni, noi figliamo solo perché copulare procura piacere fisico. Se non avessimo questo stimolo/incentivo a procreare, saremmo già estinti da millenni.
Monti, invece, vive sulla Luna, proprio come Bersani e Vendola. Pensa che penalizzando ancor di più la produzione e l’accumulo della ricchezza, si possa rilanciare la crescita del Paese; e non già, invece, scoraggiarla. Un genio!
Come se non bastasse, egli opina, proprio come i bolscevichi, che il carico fiscale serva a redistribuire ricchezza (“In questo modo il fisco diventa strumento per perseguire anche obiettivi di maggiore equità”): togliendola, ça va sans dire, ai ricchi per darla ai poveri. Sbagliato.
In una società liberale ed aperta, e fondata sul merito, sarebbe quest’ultimo a distribuire la ricchezza: dando di più a chi ha più talento e lavora di più. Questo dovrebbe essere l’obiettivo: creare una Nazione in cui il merito la facesse da padrone; in cui venisse riconosciuto, premiato ed incoraggiato; e in cui ogni cittadino, grazie a condizioni di partenza eguali, potesse raggiungere qualunque traguardo sociale. Non l’esproprio proletario. Ma se si intende tassare ancor di più chi oggi dimostra di avere qualche talento, non si vuole premiare il merito: lo si vuole punire!
Passiamo oltre.
Un altro aspetto del tutto assente nell’Agenda è quello relativo alla necessità di tagliare, e corposamente, la spesa corrente; onde portarla al medesimo livello, in rapporto al Pil, riscontrabile in altre nazioni. Si consideri queste altre due tabelle (contenenti dati Ocse e pubblicate da The Economist).
Come già scritto altrove:
La spesa pubblica complessiva italiana in rapporto al Pil, dal 1870 al 2009, è quasi sempre stata maggiore di quella riscontrabile in quasi tutte le altre nazioni.
Nel 1990, ad esempio, essa era pari al 53,4% del Pil. Mentre in Germania raggiungeva il 45,1; nel Regno Unito, il 39,9; negli Usa, il 33,3; in Giappone, il 31,3; in Germania, il 45,1; in Spagna, il 42; in Francia, il 49,8; in Canada, il 46. Nel 2009, in Italia essa era pari al 51,9% del Pil; negli Usa di Obama s’attestava al 42,2; in Germania arrivava al 47,6; in Spagna al 45,8; nel Regno Unito al 47,2. Solo in Austria, Belgio, Francia e Svezia era superiore alla nostra.
Com’è di tutta evidenza, nazioni ben più prospere della nostra hanno avuto e continuano ad avere una spesa pubblica complessiva che arriva al 40-45% del Pil. Da noi, invece, arriva al 52%. E, siccome le tasse servono a finanziare la spesa, se questa è elevata non possono che esserlo anche quelle.
Ragion per cui, chiunque avesse un minimo di alfabetizzazione macroeconomica e fosse interessato ad individuare una ricetta per rilanciare la crescita, dovrebbe, come fanno quelli di Fermare il Declino, proporre di ridurre la spesa di 6 punti di Pil in 5 anni, portandola in tal modo al livello dei paesi più importanti, e ciò al fine di rendere praticabile un serio taglio alla pressione fiscale e favorire, per questo tramite, la ripresa economica. Monti, però, propone altro.
Innanzitutto, esattamente come Fassina, suggerisce di far ricorso esclusivamente alla spending review; poi, come se non bastasse, e come il peggiore dei social-comunisti keynesiani, arriva a postulare che la spesa serva a produrre crescita:
«I tagli devono avvenire in modo intelligente e selettivo. Spending review non vuol dire solo “meno spesa”, ma “migliore spesa”. Vuol dire eliminare ciò che non è efficace o non ha ragioni di essere mantenuto e creare spazi per la spesa che produce crescita. È necessario creare gli spazi per aumentare gli investimenti pubblici per la crescita e l’occupazione, invertendo il trend discendente degli ultimi anni».
Puro delirio vetero-bolscevico e keynesiano. La spesa serve solo a produrre servizi. Per questo il contribuente la finanzia con le proprie tasse: per accedere ad essi. E gli investimenti nella scuola e nelle infrastrutture, sacrosanti!, trovano giustificazione a patto che li si consideri finalizzati a migliorare la qualità di ciò per cui il cittadino versa danaro all’Erario.
Se, invece, si considera la spesa pubblica (in conto capitale) quale fattore di rilancio della crescita, e ad essa si affidano le sorti economiche della Nazione, non si fa altro che proporre la medesima ricetta fallimentare, perseguita dal Fascismo ad oggi, che è all’origine del nostro declino economico, sociale e morale. La spesa non produce crescita. Produce clientele e corruzione (e debito!), quando non è finalizzata a migliorare la qualità dei servizi.
La crescita è generata solo dal mercato. Ovvero dall’incontro della “domanda” e dell’”offerta”; dalla libera interazione economica tra individui. E necessita di alcune condizioni irrinunciabili: 1) massima libertà; 2) tasse basse; 3) poca burocrazia.
Lì dove queste tre variabili siano assenti, come nel nostro caso, c’è solo stagnazione, disoccupazione e povertà.
Monti non suggerisce soluzioni. Propone interventi che, al pari di quelli prospettati dal Pd (e da Sel), non risolverebbero strutturalmente i nostri problemi. Finendo, irrimediabilmente, per aggravarli ulteriormente.
E a dirlo, si badi bene, non è solo il sottoscritto:
«Per diminuire in modo significativo la spesa pubblica, e quindi consentire una flessione altrettanto rilevante della pressione fiscale, è necessario ridurre lo spazio che lo Stato occupa nella società, cioè spostare il confine fra attività svolte dallo Stato e dai privati. Limitarsi a razionalizzare la spesa all’interno dei confini oggi tracciati (la cosiddetta spending review) non basta. Nel 2012 il governo ha tagliato 12 miliardi di euro; altri 12 miliardi di risparmi sono previsti dalla legge di Stabilità per il 2013. Troppo poco per ridurre la pressione fiscale. Abbassare la spesa al livello della Germania (di quattro punti inferiore alla nostra) richiederebbe tagli per 65 miliardi. Per riportarla al livello degli anni Settanta (quando la nostra pressione fiscale era al 33 per cento), si dovrebbero eliminare spese per 244 miliardi.
Di ridurre lo spazio che occupa lo Stato non si parla abbastanza nel programma che Mario Monti ha proposto agli italiani. Anzi, finora il governo Monti si è mosso nella direzione opposta (…).
Insomma, a noi pare che il programma di Monti sia troppo Stato-centrico e non punti abbastanza al ridimensionamento dell’intervento pubblico. Con un debito al 126 per cento del reddito nazionale e una pressione fiscale tra le più alte al mondo non si può sfuggire al problema di ridisegnare i confini fra Stato e privati. Illudersi che sia sufficiente «riqualificare la spesa» con la spending review rischia di nascondere agli italiani la gravità del problema», Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina (Corriere della Sera).
Ps. Grazie all’Imu e alle altre imposte introdotte da Monti, e prima ancora da Berlusconi (si pensi alla “patrimonialina” sul deposito titoli), l’Italia è divenuta il secondo paese in Europa, dopo la Francia, dove i patrimoni sono più tassati («Prima dell’Imu l’Italia era il Paese dove in Europa, oltre a pagare le imposte più alte sul reddito, si pagavano le tasse più basse sui patrimoni (…). Con l’Imu, ma anche con la tassazione degli immobili detenuti all’estero, con l’imposta di bollo sui conti correnti bancari, con la stessa Tobin Tax sulle transazioni finanziarie, tutte introdotte dal governo Monti, però, le cose sono molto cambiate. L’Italia è passata dall’ultimo al secondo posto in Europa, dopo la Francia, come livello effettivo di imposizione sui patrimoni», Mario Sensini, Corriere della Sera). Qualcuno lo dica al Professore, a Fassina, Bersani, Vendola, Camusso e Landini.
Pps. Naturalmente, con questo programma, Monti ha inteso aprire ad un’alleanza col Pd. Ragion per cui ogni voto a lui, e alle forze politiche che lo sostengono, sarà un voto a Bersani; e, come quello eventualmente dato a Berlusconi, Bossi e Grillo, un voto buttato nel cesso. C’è solo un’alternativa per evitare il tracollo definitivo: Fermare il Declino.
Ciao Cam,
che dire… il tipico programma democristiano… scopiazzato un poì a destra ed un poì a manca…
Ciao 😉
Risposta ad alfio:
Pietoso.