Non sono gli “inciuci” a dar voti a Grillo, ma il malessere sociale, la disoccupazione e le tasse

«Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune».

Da quando le elezioni hanno consegnato al Paese un Parlamento balcanizzato e senza maggioranza, circola un convincimento: se il Partito democratico facesse un “inciucio” col Pdl e acconsentisse a formare un esecutivo con lo stesso, perderebbe un mare di voti a beneficio del Movimento 5 Stelle di Grillo; che, a quel punto, vedrebbe lievitare i propri consensi fino, forse, al 35-40%

Ma ha fondamento tale opinione? Solo in piccolissima parte.

Se è vero che nell’immediato gli elettori democrat, al pari di quelli del Popolo della Libertà (tra l’altro), potrebbero reagire in malo modo a quello che percepirebbero come un vero e proprio tradimento, nel medio-lungo periodo le cose potrebbero andare in modo sensibilmente diverso. Il perché è presto spiegato.

I Pentacolari raccolgono consensi solo per due motivi: 1) Il disgusto nei confronti dei partiti tradizionali, percepiti, a causa degli infiniti scandali, come covi di briganti; 2) Il diffuso malessere sociale causato dalla crisi economica, dalla disoccupazione e dall’insostenibile livello della pressione fiscale.

Ora, un esecutivo di larghe intese che restituisse alla politica tradizionale un minimo di decoro e dignità, ad esempio attraverso l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e la cancellazione delle Province; e che soprattutto varasse misure finalizzare a ridurre significativamente, e per tutti, la pressione fiscale, e per questo tramite favorisse la ripresa economica ed il riassorbimento della disoccupazione, non otterrebbe la riprovazione ed il biasimo degli elettori del Pd (e del Pdl), ma il loro plauso.

Al contrario, un governo “strettamente politico” (di centrosinistra o di centrodestra), che non mettesse in campo misure finalizzate ad attenuare il disagio sociale e che sottovalutasse le molteplici emergenze economiche del Paese, non ultima quella di un prelievo fiscale divenuto per tutti soffocante, pur nascendo privo del marchio di Satana, quello dell’”inciucio”, non verrebbe salutato favorevolmente dagli elettori, nel medio-lungo periodo. Nient’affatto.

Se Bersani, giusto per fare un esempio, riuscisse a formare un governo cosiddetto del “non impedimento”, senza il sostegno di Berlusconi & C. e per la gioia di milioni di elettori del Pd (ipotesi, questa, tramontata da qualche minuto), e però non avesse come obiettivo quello di tagliare col machete la spesa pubblica improduttiva, l’unica soluzione che consentirebbe di reperire risorse a sufficienza per ridurre a tutti i cittadini le imposte, tempo sei mesi, gli elettori, inclusi quelli del Pd, dinanzi all’aumento dell’Iva (dal 21 al 22%), all’introduzione della Tares e all’ulteriore incremento dell’Imu, sarebbero tutti inferociti. E, a quel punto, sì che ne trarrebbe vantaggio Grillo.

Questo è l’errore di fondo che commettono Bersani e soci: il non capire che ciò che dà linfa al grillismo, ancor più che il disgusto per la partitocrazia (che pure ha un peso rilevantissimo), è il diffuso malessere sociale, indotto dalla crisi economica, dalla disoccupazione e dalle troppe tasse.

Lo prova, tra le altre cose, il fatto che moltissimi imprenditori, nel Nord-Est, delusi dalle soluzioni fiscalmente assassine adottate prima dal governo Berlusconi e poi da quello Monti, si legga alle voci: tasse e misure da Stato di Polizia Tributaria, alle ultime elezioni abbiamo deciso di premiare, anziché il Partito democratico, che evidentemente non dava loro alcuna garanzia in termini di riduzione del prelievo fiscale, il 5 Stelle, e questo pur non condividendone affatto il programma. Lo hanno fatto per protesta e disperazione.

Se si vuole fermare l’avanzata Pentacolare, dunque, il percorso è obbligato: (1) occorre cancellare quella parte della sciagurata riforma Fornero del lavoro che ha drasticamente ridotto la flessibilità in entrata e bruciato, in pochi mesi, diecine di migliaia di posti di lavoro; (2) magari introdurre, per un periodo limitato, diciamo un lustro, ulteriore precarietà nel mercato del lavoro, mediante nuove figure contrattuali, per favorire in qualunque modo l’occupazione soprattutto giovanile; (3) ridurre drasticamente, e sempre per facilitare il riassorbimento della disoccupazione, il cuneo fiscale (per finanziare il tutto basterebbe tagliare, come aveva proposto Francesco Giavazzi, di 10 miliardi le risorse destinate a fondo perduto a talune aziende); (4) falcidiare, e col machete, di almeno 35-40 miliardi la spesa corrente onde abbassare, di almeno 25-30 miliardi, le tasse a tutti e scongiurare l’entrata in vigore degli incrementi d’imposta già previsti per l’estate 2013 (Iva e Tares); (5) provare a portare, magari gradualmente, l’aliquota del primo scaglione Irpef dal 23 al 20% (che dovrebbe richiedere 13,5 miliardi per reperire i quali basterebbe congelare la spesa pubblica complessiva, al netto di quella per interessi, al livello del 2012) e sterilizzare, almeno in parte, l’Imu sulla prima casa (richiederebbe spiccioli: 4 miliardi, per cancellarla completamente, su un bilancio che contempla uscite per 720); (6) abolire l’infame “solve et repete”, che infiniti lutti addusse alle imprese, e riportare l’onere della prova, in caso di contenzioso tributario, in capo all’Agenzia delle Entrate (è questa che deve provare la colpevolezza del contribuente e non quest’ultimo a doversi discolpare); (7) abolire il nuovo redditometro, che sta provocando una contrazione spaventosa della domanda, dei consumi, e cagionando di riflesso non pochi problemi agli imprenditori – riporto quanto mi ha scritto, in proposito, un lettore (ed amico), qualche mese fa: «Non voglio tediare nessuno ma portare un esempio legato alla mia attività commerciale. Distribuiamo articoli alimentari per la media e grande ristorazione, una buona parte dei miei storici clienti per non incorrere in problemi con Redditest ed Equiltalia hanno deciso di acquistare il 70% della merce al supermercato senza fattura ma solo con lo scontrino fiscale (che ovviamente poi non verrà registrato). Cosi anche se noi abbiamo quotazioni migliori ci dobbiamo tenere le scorte in casa e a fine anno pagarci pure le tasse. Forse a fine anno chiuderemo bottega. E 40 persone saranno a spasso. Stato Ladro!!»; (8) benché sia politicamente scorretto proporlo (e chi se ne fotte), occorre cancellare le molteplici tasse cosiddette sul lusso, da quelle sugli yacht a quelle sulle auto di grossa cilindrata, che non solo non hanno prodotto il gettito atteso, ma hanno provocato un calo logaritmico delle vendite (il numero di Ferrari vendute in questo paese, da un mese all’altro, è crollato del 57,8%; quello delle Maserati, del 75,4%) e, con ogni probabilità, un aumento esponenziale dei disoccupati (nelle concessionarie auto); ed altre misure similari.

Insomma, e per concludere, se si vuole tagliare le gambe al Movimento 5 Stelle, bisogna eliminare ciò che gli fornisce consensi: il disagio sociale, la disoccupazione e l’oppressione fiscale.

Questo, più di tutto, dà linfa ai grillini. Non eventuali “inciuci”.

Lo capiranno lor signori politici?

C’è da dubitarne.



Tags: ,

10 Responses to "Non sono gli “inciuci” a dar voti a Grillo, ma il malessere sociale, la disoccupazione e le tasse"

  • Sergio says:
  • Paolo says:
  • camelot says:
  • camelot says:
  • rokko says:
  • camelot says:
Leave a Comment