Apr 13
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Pensavamo di essercene liberati, grazie al tracollo elettorale dell’Udc. E, invece, no. Sia pure per il rotto della cuffia, Paola Binetti e Rocco Buttiglione sono riusciti a rimettere piede in Parlamento. Dove, in men che non si dica, hanno provveduto a depositare una proposta di legge per risolvere uno dei problemi che, a loro giudizio, più attanaglia la vita delle famiglie italiane. Il caro-prezzi? L’alta tassazione? La carenza di asili nido? L’Imu, l’Iva e la Tares? Nient’affatto, sciocchini: l’uso del burqa nei luoghi pubblici.
Non soddisfatti del contenuto dell’articolo 5 della legge n. 152 del 1975, recante disposizioni volte ad inibire ai cittadini la circolazione a volto coperto in luoghi pubblici, i Nostri hanno pensato bene di presentare una nuova, e ben più stringente, disciplina per la materia. Eccone il perché:
“La legge prescrive il divieto «di qualunque mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona» in luogo pubblico «senza giustificato motivo» (articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, e successive modificazioni). Inoltre il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, all’articolo 85, vieta di «comparire mascherato in luogo pubblico»; peraltro, la giurisprudenza ha chiarito la non equiparazione della maschera all’utilizzo di indumenti celanti il volto, quali segni esteriori di una tipica fede religiosa.
La circolare del 24 luglio 2000 del Ministero dell’interno ha precisato che il turbante, il chador e il velo, imposti da motivi religiosi, «sono parte integrante degli indumenti abituali e concorrono, nel loro insieme, ad identificare chi li indossa, naturalmente purché mantenga il volto scoperto». Tali accessori sono ammessi, in virtù del principio costituzionale di libertà religiosa, ma i tratti del viso devono essere ben visibili. Questo significherebbe che il burqa, che nasconde volto e persona di chi lo indossa, è vietato. L’applicazione di tale norma è, però, incerta, delegata ai singoli sindaci e comuni e comunque, anche nel caso di identificazione da parte degli operatori dell’ordine pubblico, deve essere conseguente a una motivazione oggettiva di urgenza e di pericolo (…).
Infatti, il Ministero dell’interno, in data 9 dicembre 2004, nel rispondere a un quesito posto da un comando di polizia municipale, chiariva: «nei confronti della persona che circoli in luogo pubblico coperta da burqa, l’attivazione dei poteri di identificazione da parte del personale di polizia sembrerebbe potersi validamente esplicare alla luce di circostanze ambientali tali da costituire giustificato motivo di allarme. Un accertamento condotto in assenza di un concreto interesse pubblico alla conoscenza dell’identità della persona stessa potrebbe, infatti, apparire come inutilmente vessatorio»”.
Insomma, siccome la legge del 1975 (da una parte) e la circolare del Ministero dell’Interno del 2000 (dall’altra) conferiscono – a loro giudizio – un eccessivo potere discrezionale alle Forze dell’Ordine, quello di verificare di volta in volta la sussistenza di un «giustificato motivo di allarme» che renda legittimo l’accertamento dell’identità di chi indossi un burqa evitando così di compiere nei suoi riguardi un atto «inutilmente vessatorio»; e al fine di superare «diatribe interpretative della norma», soprattutto su un punto «se l’appartenenza a una religione possa o meno essere un «giustificato motivo» per circolare con il volto coperto, così come prescrive l’articolo 5 della citata legge n. 152 del 1975», essi hanno ritenuto opportuno presentare una proposta di legge, modificativa di quella appena menzionata, nella quale si statuisce che:
«1. È vietato, in luogo pubblico o aperto al pubblico, l’uso di qualunque mezzo che travisi e renda irriconoscibile la persona senza giustificato motivo (…).
3. I segni e gli abiti che, liberamente scelti, manifestino l’appartenenza religiosa devono ritenersi parte integrante degli indumenti abituali. Il loro uso in luogo pubblico o aperto al pubblico è giustificato, ai fini del comma 1, a condizione che la persona mantenga il volto scoperto e riconoscibile.
4. Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque contravviene al divieto di cui al presente articolo è punito con l’arresto da tre a sei mesi e con l’ammenda da 300 a 600 euro. Le sanzioni sono raddoppiate se il travisamento è funzionale alla commissione di altri reati.
5. Per la contravvenzione di cui al presente articolo è facoltativo l’arresto in flagranza».
Ecco. Siano concesse alcune brevi considerazioni.
La prima è che mettere sullo stesso piano, ad esempio, un black bloc che si copra il volto con un casco durante una manifestazione per celare la propria identità ed una donna che liberamente scelga di indossare il velo integrale per rispettare un precetto religioso, pare francamente una bestemmia intollerabile (e lo dico da persona che, ringraziando Iddio, non ha il dono della fede). E stupisce che tale volgare equiparazione de facto sia stata prospettata da due persone (che dichiarano d’essere) profondamente religiose.
La seconda è che, se l’obiettivo fosse stato veramente e solo quello di tutelare sacrosantamente la sicurezza pubblica, la proposta di legge, data la delicatezza della questione, e le sue molteplici implicazioni (financo, o soprattutto, simboliche), avrebbe potuto e dovuto contemplare una soluzione ben diversa per il burqa: scoraggiarne l’uso, in alcuni luoghi pubblici, facendo ricorso ad una sanzione amministrativa, una multa, magari anche molto salata. Prevedere, invece, il carcere per una persona che, senza procurare alcun nocumento a terzi, si limiti a rispettare un dettame religioso, è qualcosa di autenticamente autoritario, ateista, antireligioso ed illiberale. E come tale merita di essere rispedito al mittente perché irricevibile.
Tra tutte le libertà, quella religiosa (assieme a quella sessuale) è la più sacra: tutelarla significa, in ultima istanza, garantire ad ogni individuo il diritto di essere diverso, unico, eguale magari solo a se stesso (e quelli che lamentano, giustamente, la persecuzione dei cristiani lì dove sono minoranza, dovrebbero capirlo più di tutti). Se un sistema politico e legislativo non si prende cura di salvaguardarla, semplicemente non può dirsi democratico – non esiste democrazia senza libertà.
La verità è che a Binetti e Buttiglione, che dal 2007 presentano la medesima proposta di legge ad ogni inizio di legislatura, non frega assolutamente alcunché della sicurezza pubblica. Essendo due fondamentalisti cattolici, mirano ad altro: ad ingaggiare, come degli ateisti antireligiosi qualunque, una piccola crociata contro l’Islam.
Un intento meschino.
Sull’argomento anche: Anti-religioso, illiberale ed ateista: il divieto di burqa in Francia è osceno. Guai ad introdurlo in Italia.