Apr 13
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Un fantasma, periglioso anzichenò, s’aggira per l’Italia: quello incarnato dai diversamente socialisti. Di giorno strenui difensori dell’economia di mercato, di notte vessilliferi del peggior bolscevismo:
«È abbastanza sorprendente che anche Ricolfi si unisca a quanti chiedono l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, quando è ovvio che mantenere l’attuale livello di tassazione sui patrimoni è la precondizione per ridurre, in qualunque scenario realistico, il prelievo sui redditi, che è la vera anomalia italiana» (Carlo Stagnaro).
Chi opina, come il cofondatore di Fare testé citato, non a caso fan di quel Renzi che alla Leopolda proponeva una mega patrimoniale da 380 miliardi per abbattere il debito pubblico, che occorra mantenere l’attuale tassazione sui patrimoni, elevata ai limiti dell’esproprio, per ridurre quella sul lavoro, delira. E ha venduto l’anima al Demonio socialista e redistributivista. Per una serie di semplicissime ragioni.
Innanzitutto, come ognora ricorda Antonio Martino, non ha alcun senso logico distinguere tra “tasse sulle persone” e “tasse sulle cose”, per il banalissimo motivo che a pagare le imposte sono sempre e solo persone.
In secondo luogo, un liberale dovrebbe difendere, financo con la vita, la libertà di ciascuno di fare ciò che gli pare col proprio danaro. E non imporgli, invece, come usarlo, dove e perché indirizzarlo (con la leva fiscale): è autoritario e puzza di “eticismo” («compito del governo è proteggerci gli uni dagli altri, non da noi stessi», Ronald Reagan).
In terzo luogo, il fatto che taluni individui risparmino ed investano risorse in immobili (o in altro), onde dotarsi di un patrimonio, dovrebbe essere salutato con estremo favore da un liberale: serve a garantire l’elevazione sociale.
In quarto luogo, nella Repubblica Socialista Italiana, e al contrario di quanto accada altrove, l’introduzione di nuove tasse, dalla notte dei tempi, non serve a rimodulare il prelievo fiscale, ma solo e sempre ad aggravarlo. Non a caso, da quando è stata varata la succitata imposta patrimoniale denominata Imu (che va soppressa o, quantomeno, dimezzata!), l’Italia ha conseguito l’ennesimo record negativo: prima di allora, infatti, era “solo” la quarta nazione al mondo per livello di imposizione sui redditi di 100.000 e 300.000 dollari (fonte: KPMG); dopo, invece, è diventata anche la seconda in Europa, dopo la Francia, per tassazione sui patrimoni (fonte: Corriere della Sera); arrivando a superare, per ciò pertiene il prelievo fiscale sugli immobili, il livello di imposizione media dei paesi Ocse (fonte: Il Fatto Quotidiano).
In ultimo. Se si pensa di stimolare la crescita riducendo la tassazione sul lavoro e reperendo parte delle risorse con un aggravio di imposizione sugli immobili (e, più in generale, sui patrimoni), si guardi agli Stati Uniti. Qui, la tassazione sulle case è elevata; però, e giusto per fare un esempio, il Presidente Barack Obama, a fronte di un guadagno di 600.000 dollari, quest’anno ne ha versato in tasse all’erario solo il 18,4%.
Ecco. Quando in Italia si potranno pagare così poche tasse sui redditi, saremo tutti contenti di avere una imposizione più alta sui patrimoni.
Fino ad allora, però, almeno coloro che hanno l’ardire di definirsi liberali, evitino di dire certe cose, cortesemente, e si battano esclusivamente acciocché si falcidi la spesa pubblica primaria, vera e unica anomalia italiana, e il prelievo fiscale (che arriva a sottrarre, a taluni contribuenti, finanche l’83% del reddito).
Grazie.
«Stato e amministrazioni locali spendono ogni anno (dati del 2010 e senza contare gli interessi sul debito) circa 720 miliardi. Togliamo i 310 miliardi che vanno in pensioni e spesa sociale: ne restano 410. Una riduzione del 20 per cento di queste spese, senza alcun taglio alla spesa sociale, consentirebbe di risparmiare 80 miliardi e di ridurre la pressione fiscale di 10 punti» (Francesco Giavazzi e Alberto Alesina).