Giu 13
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Invece di eleggere a suffragio universale il Capo dello Stato sarebbe meglio adottare il modello Westminster.
Mettiamola giù piatta. Berlusconi, da qualche anno, sogna d’introdurre in Italia il semipresidenzialismo à la francese perché è convinto che, se ci fosse l’elezione diretta del Capo dello Stato, lungi dall’essere costretto ad abbandonare il proscenio, per raggiunti limiti di età e conclamata consunzione politica, egli potrebbe correre per il Quirinale e avere ancora qualche chance di vittoria. Questo gli consentirebbe di restare al potere, sia pure con un ruolo diverso rispetto a quello ricoperto in passato (Presidente del Consiglio), emulando così il caro amico Putin; e, soprattutto, gli fornirebbe un’immunità – egli pensa – maggiore per fronteggiare al meglio le proprie grane giudiziarie.
Siccome il Cav. è furbo, e sa che la sinistra vorrebbe sostituire l’attuale legge elettorale con quella a doppio turno francese, che le tornerebbe particolarmente utile, al Pd ha offerto questo scambio: introduciamo per intero il modello transalpino, l’elezione del Capo dello Stato (che piace a noi del Pdl) e l’uninominale a doppio turno (che piace a voi piddini), e così siamo tutti felici e contenti. Questa, la premessa. Veniamo ai fatti.
I fatti sono che il Paese avrebbe sicuramente bisogno di rimodellare le proprie istituzioni e renderle più agili ed efficienti. Avrebbe bisogno di superare il cosiddetto bicameralismo perfetto, in virtù del quale la potestà legislativa spetta ad entrambe le Camere, quasi un unicum in Occidente; ridurre il numero dei parlamentari; attribuire alla sola Camera dei Deputati il compito di approvare le leggi e votare la fiducia al governo; trasformare il Senato della Repubblica da “Camera del ripensamento” a “Camera delle Autonomie locali”, con potestà legislativa limitata alle questioni di natura regionale; rafforzare i poteri del Presidente del Consiglio, oggi null’altro che un primus inter pares rispetto ai titolari dei vari Dicasteri, conferendogli la possibilità di nominare e (soprattutto) revocare i ministri, e di decidere sullo scioglimento anticipato delle Assemblee (o, quantomeno, di suggerirlo al Capo dello Stato, che dovrebbe tenerne conto); individuare una corsia preferenziale, mediante previsioni costituzionali e degli interna corporis camerali, per i disegni di legge di iniziativa governativa, sì da rendere più incisiva e celere l’attività dell’esecutivo; e magari istituzionalizzare la figura del “capo dell’opposizione” prevedendo, altresì, un iter “privilegiato” per i provvedimenti di legge di iniziativa della minoranza parlamentare.
In poche parole. Occorrerebbe attribuire qualche potere in più al governo, e al Premier, e rendere più spedita l’attività legislativa del Parlamento. Tutta la restante “impalcatura costituzionale”, a cominciare dalle prerogative del Capo dello Stato, oggi nient’altro che un “potere neutro”, un “non potere”, un mero notaio, dovrebbero restare così come sono: semplicemente perché cambiarle non avrebbe alcuna utilità o, peggio, comporterebbe solo inutili complicazioni o addirittura aprirebbe varchi a possibili derive autoritarie.
Accanto a queste modifiche, poi, avremmo bisogno di una legge elettorale che garantisse il soddisfacimento di due condizioni: 1) Consentire agli elettori di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento senza ricorrere allo strumento “clientelare” per definizione, le preferenze; 2) Rendere ininfluenti, ai fini della definizione di una maggioranza di governo, i “partitini” (onde impedire loro di ricattare l’esecutivo e di bloccarne l’attività con infiniti veti). Per raggiungere e l’uno e l’altro obiettivo, basterebbe introdurre nel nostro ordinamento l’uninominale secca à l’anglosassone: una legge elettorale maggioritaria, a turno unico di collegio, grazie alla quale i cittadini potrebbero scegliersi non solo gli eletti ma finanche i candidati nei singoli collegi (grazie alle primarie che diverrebbero obbligatorie).
Invece di prospettare queste soluzioni, che avrebbero il duplice pregio di mettere al passo coi tempi il Paese (e, dunque, di risolverne in parte i problemi) e di richiedere implementazioni e modificazioni della Carta nient’affatto “traumatiche”, la nostra classe politica (e una parte della nomenklatura intellettuale, ciò che è peggio) suggerisce riforme tanto radicali quanto inutili e dannose: il semipresidenzialismo e il doppio turno di collegio, appunto. Una vera e propria follia. E per diverse ragioni.
Innanzitutto, nel sistema semipresidenziale francese si elegge a suffragio universale il Capo dello Stato. Il quale, almeno in teoria, assume i poteri di Capo dell’Esecutivo. Dico “in teoria” perché, in realtà, egli, dopo essere stato eletto, e al contrario di quanto accada al Presidente degli Stati Uniti, nomina un Presidente del Consiglio cui delega il compito di governare la Nazione; e, come se non bastasse, codesto primo ministro potrebbe anche essere della parte politica a lui avversa. E questa è la cosa più comica.
In astratto, infatti, ma Oltralpe s’è verificato in concreto due volte, potrebbe accadere quanto segue: l’elezione di un Capo dello Stato di destra e l’insediamento di un Parlamento a maggioranza di sinistra. Nel qual caso, il Presidente della Repubblica destrorso dovrebbe “coabitare” (come usa dire da quelle parti) con un primo ministro gauchista; e tutte le decisioni politiche dovrebbero essere concertate tra avversari. Insomma, potenzialmente, il semipresidenzialismo à la francese potrebbe portarci all’inciucio perenne. Nessuno può escluderlo; anche perché le due elezioni, quella del Capo dello Stato e quella del Parlamento, avverrebbero, se da noi venisse riproposto pedissequamente il modello transalpino, a distanza d’un mese l’una dall’altra. Prima si eleggerebbe il Capo dello Stato e poi le Camere.
Domanda. Secondo voi, se in Italia fosse eletto (poniamo caso) Berlusconi alla Presidenza della Repubblica, si mobiliterebbe o no mezzo paese per far sì che, un mese dopo, ad ottenere la maggioranza in Parlamento fosse il centrosinistra, così da impedire al Cav. di avere tutto il potere e fare, uso il linguaggio che impiegherebbero i “compagni”, i propri porci comodi? Credo di sì; e credo anche che ne converrete.
Ebbene, ve lo immaginate cosa accadrebbe in Italia se Berlusconi fosse eletto alla Presidenza della Repubblica e il Parlamento, per le ragioni appena esposte, un mese dopo avesse una maggioranza di centrosinistra? Ve lo immaginate un Berlusconi costretto a “coabitare”, che ne so, con un Bersani o un Fassina? Non sarebbe uno stallo totale, una paralisi completa? Io credo proprio di sì, francamente. E tale eventualità sarebbe, dal punto di vista politico e statistico-probabilistico al contempo, praticamente una certezza. E per una semplice ragione.
Da vent’anni, e chiunque mastichi di politica lo sa, gli elettori di centrodestra tendono a disertare il secondo turno delle competizioni elettorali (quelle locali, per intenderci), o a presentarsi a ranghi ridotti. Ebbene, siccome già per eleggere il Capo dello Stato costoro dovrebbero presentarsi due volte in cabina elettorale (al primo e al secondo turno), è ancora più probabile che diserterebbero, visto che lo fanno abitualmente quando c’è da scegliere un Sindaco o un Presidente della Provincia al ballottaggio, il secondo turno delle Legislative. D’altra parte, è proprio per questa ragione che il centrosinistra fa il tifo per il doppio turno di collegio: sa che le regalerebbe quasi sempre la vittoria in Parlamento. Anche per un’altra ragione (non meno importante): gli elettori leghisti votano solo per i propri candidati e non anche per quelli del Pdl (è un fatto noto). Dunque, nei ballottaggi (di collegio) dove non fossero presenti i lumbard, gli elettori del Carroccio non prenderebbero parte al voto o, come hanno evidenziato le recenti analisi dei flussi elettorali, potrebbero addirittura votare per i Pentacolari (lì dove fossero ammessi al secondo turno).
Insomma, col semipresidenzialismo à la francese ed il doppio turno di collegio, lungi dal risolvere i nostri problemi istituzionali, li aggraveremmo. E potremmo, addirittura, dare la stura a derive autoritarie.
Il Capo dello Stato, sia nelle Repubbliche parlamentari che in quelle presidenziali, infatti, detiene il Comando delle Forze Armate. Solo che, mentre nelle prime (come avviene in Italia) esso non conta una fava, è un semplice notaio e viene designato dal Parlamento (in seduta comune) al solo scopo di apporre firme qua e là (sui provvedimenti legislativi) senza avere alcun vero potere, nelle seconde è eletto dal popolo, a suffragio universale, di poteri ne ha tanti ed è anche il Capo del Governo.
Per farvi capire dove io voglia arrivare a parare, vi riporto quanto ha dichiarato Luigi Bisignani, l’”uomo più potente d’Italia”, come abitualmente viene definitivo, a Paolo Madron nel recente libro-intervista (“L’uomo che sussurra ai potenti”, Chiarelettere) che questi gli ha dedicato:
È vero che una volta Cossiga minacciò di mandare i carabinieri al Consiglio superiore della magistratura, di cui tra l’altro era il presidente? (Domanda Madron a pagina 161).
«Accadde nel novembre del 1991. Non fidandosi in quel momento, nonostante fossero suoi amici, dei ministri della Difesa Virginio Rognoni e dell’Interno Vincenzo Scotti, chiamò personalmente al telefono il comandante della legione dei carabinieri di Roma, il colonnello Antonio Ragusa, perché si preparasse a fare irruzione al Csm, in piazza Indipendenza».
Cosa gli aveva preso?
«In quella riunione il Csm doveva occuparsi dei rapporti tra i capi degli uffici giudiziari e i loro sostituti. Una materia che, secondo Cossiga, non era di sua pertinenza. Nessuno ha mai saputo che il colonnello Ragusa aveva addirittura mobilitato e messo in stato di allerta nella vicina caserma Macao ufficiali e sottoufficiali dell’Arma pronti all’assalto. Conosciuto per essere stato uno degli investigatori più efficaci nella lotta ai sequestri di persona, Ragusa fece parcheggiare anche i blindati fuori dalla sede del Csm».
Per fortuna tutto finì in una bolla di sapone (chiosa Madron a pagina 162).
«Mica tanto. I carabinieri rimasero al loro posto. Ma Ragusa, che era in contatto telefonico diretto con Cossiga, entrò da solo negli uffici di piazza Indipendenza e convinse il vice presidente Giovanni Galloni a togliere dall’ordine del giorno l’argomento incriminato».
Ecco. Immaginate cosa potrebbe accadere se, invece di avere un Capo dello Stato designato dal Parlamento (come accade oggi) e senza potere alcuno (o quasi), ne avessimo uno eletto a furor di popolo e con poteri vastissimi.
Provate ad ipotizzare cosa accadrebbe se Berlusconi, nel frattempo eletto Presidente della Repubblica, avesse una qualche inchiesta della Magistratura a triturargli gli zebedei. Se Cossiga, che pure di poteri non ne aveva alcuno, riuscì a fare ciò che si è appena riportato, il Cav. cosa farebbe? È così azzardato ipotizzare che potrebbe sentirsi autorizzato, data la solenne investitura popolare, a mandare i carabinieri a “sollecitare” i membri del Csm a che si dessero da fare per “dissuadere” i pm “screanzati” e “burbanzosi”? Credo di no.
Vi chiedo ancora una sforzo. Provate ora ad immaginare cosa accadrebbe se al Quirinale non finisse il Cav., che comunque un briciolo di liberalismo nei suoi comportamenti ce l’ha, ma Beppe Grillo. Quello che, da sera a mane, manda a fare in culo tutti, a cominciare dai giornalisti; quello che della democrazia mostra di non avere rispetto alcuno; quello che ama le epurazioni ed i metodi spicci e che, un mesetto fa, invitava i propri elettori a scendere in piazza per una nuova Marcia su Roma. Lui: il fascistone, insomma.
Voi sareste tranquilli se fosse affidato ad uno psicotico del genere il Comando delle Forze Armate? Io, no. Credo che non ci dormirei la notte, francamente. Credo che sarebbe un pericolo per la democrazia; che instaurerebbe, prima o poi, una dittatura, sia pure in forma 2.0.
Meglio evitare, non vi pare?
In conclusione.
Per migliorare le nostre istituzioni e renderle più adatte ai tempi ci basterebbe fornire qualche potere in più al Premier e al governo e rendere più spedita l’attività legislativa (come in principio indicato); lasciando intatte le prerogative attuali del Capo dello Stato (e la sua designazione ad opera delle Camere). Per rendere più incisivo l’operato dell’esecutivo, poi, ci basterebbe cancellare le diecine e diecine di partitini che non servono ad una beneamata mazza. Per avere queste cose, ci sarebbe sufficiente guardare al Regno Unito ed adottarne il sistema di governo e la legge elettorale. Vale dire: il premierato forte e l’uninominale secca a turno unico.
Invece, lor signori politici e lor signori intellettuali che fanno? Ci propongono il peggiore e più complicato dei sistemi istituzionali e il meno adatto, anche per ragioni contingenti (si legga alla voce: Movimento 5 Stelle), al nostro paese.
Complimenti vivissimi.
Ps. In Francia, il semipresidenzialismo funziona anche perché lì, e al contrario di quanto accada in Italia con Grillo, i fascisti del Front National vengono da tutti giustamente discriminati. Giova infatti ricordare che, quando al ballottaggio per le Presidenziali finì il neo fascista Jean Marie Le Pen, pur di non farlo vincere il partito socialista votò compatto per il “nemico” e destro Chirac. In Italia, invece, se finissero al ballottaggio un esponente del Pdl e il fascista Grillo, il Pd e la sinistra radicale voterebbero per quest’ultimo. Perché il loro antifascismo è di facciata. Dettato da opportunismo. Non certo da solidi convincimenti democratici.