Giu 13
12
Hanno vinto i socialcomunisti, quelli del Pd, e perso i socialdemocratici, quelli del Pdl (e ai primi, tra l’altro, è andata bene solo perché hanno subito un’emorragia di consensi inferiore a quella patita dai secondi). Gli italiani, tra l’originale e la fotocopia, insomma, almeno a questa tornata elettorale hanno dimostrato di preferire l’originale.
Dopo la fallimentare esperienza dell’ultimo governo Berlusconi, contrassegnata dall’introduzione di infinite tasse, plurime norme da Stato di Polizia tributaria (come il redditometro ed il “solve et repete”), modesti quanto impercettibili tagli alla spesa, il Pdl avrebbe dovuto imboccare la via della palingenesi: rimettersi seriamente in discussione; cospargersi il capo di cenere e chiedere scusa ai propri elettori; licenziare le “prime file”, irrimediabilmente “compromesse” in quanto “complici” dei disastri dell’ultimo Gabinetto del Cav.; ridefinire il proprio profilo identitario onde renderlo finalmente conforme a quello delle forze di centrodestra europee. Nulla di questo è stato fatto, però, e i risultati, alle Politiche, sono stati più che mai eloquenti: sei milioni e trecentomila elettori, che nel 2008 lo avevano scelto nelle urne, hanno abbandonato il Popolo della Libertà.
Domenica, semplicemente, è andato in scena il secondo atto di questa diaspora: altri elettori hanno preferito astenersi piuttosto che premiare un partito di cui non condividevano più le posizioni.
È stato un voto “politico”, si badi bene, non un voto locale: lo dimostra la sua omogeneità lungo tutto il territorio della Penisola. E il fatto che Berlusconi non fosse in campo, checché ne dicano i paggetti di Arcore, non ha influenzato il risultato: il Grande Inceronato, infatti, non tira più. Se così non fosse, il suo partito non avrebbe perso 6.300.000 voti alle Politiche.
Tirano, invece, e tantissimo, gli argomenti su cui il medesimo, sia pur senza alcuna credibilità personale residua, fa ancora leva: meno stato, e dunque meno tasse, e più libertà. Sono le questioni che, più di tutte, scaldano il cuore degli elettori di centrodestra (italici come europei e mondiali); ma di cui non riescono a farsi vessilliferi i dirigenti del Pdl. E per una semplice ragione: nessuno di essi, o quasi, è di centrodestra.
Il fatto che nel Pdl trovino ospitalità numerose personalità politiche di sinistra, infatti, è una delle ragioni, forse la principale, che spiega perché tale soggetto non abbia ridimensionato, in alcun modo, le pretese della Satanica Bestia, il Leviatano; e, più in generale, fornisce lumi sul perché, negli ultimi vent’anni, ogni volta che è stata al potere la coalizione berlusconiana non sia mai riuscita a rivoltare thatcherianamente il Paese come un pedalino e a farne una nazione liberale e prospera.
Il grumo di forze che il Cavaliere è riuscito a coagulare attorno a sé, possiamo dirlo senza tema di smentita, ha finito per esprimere le medesime posizioni che, nella cosiddetta Prima Repubblica, erano proprie del “pentapartito”: la coalizione di centrosinistra di cui facevano parte, tra gli altri, la Democrazia cristiana ed il Partito Socialista Italiano.
Ed è soprattutto a queste due forze che l’impropriamente definito centrodestra ha attinto personale politico (e valori): da Formigoni a Brunetta, da Sacconi a Giovanardi, da Cicchitto a Pisanu, da Tremonti a Margherita Boniver, da Scajola a Stefania Craxi. Residuati bellici che, nella Seconda Repubblica, tutt’al più, avrebbero dovuto trovare riparo a sinistra; ma che, visto che lì c’erano i tanto odiati comunisti, hanno preferito rifugiarsi altrove, come ha recentemente raccontato Renato Brunetta al Corriere della Sera:
Come fa un uomo di sinistra a stare con Berlusconi? (Gli chiede Aldo Cazzullo).
«Sono un socialista riformista. Guardo dove stanno i comunisti, e sto dalla parte opposta».
Peccato che, in tutto l’orbe terracqueo, i socialisti – riformisti o massimalisti, è lo stesso – siano gli avversari naturali dei liberal-conservatori di centrodestra; e che con essi, al pari della notte con il giorno, non possano convivere essendo, per ragioni culturali innanzitutto, alternativi.
Se tale convivenza riesce nel Pdl, è solo perché in esso non ci sono liberal-conservatori.
La ragione per cui milioni di elettori di centrodestra hanno smesso di votarlo ed altri lo faranno in futuro.