Giu 13
18
Il Consiglio dei Ministri, sabato scorso, ha licenziato un decreto, ribattezzato “del Fare”, contenente 80 misure che, nelle intenzioni dei proponenti, dovrebbero rilanciare la crescita. In esso, però, di utile, a tal scopo, pare vi sia davvero poco o punto.
Partiamo dall’alleggerimento delle bollette energetiche.
Nel decreto è previsto lo stanziamento di 500 milioni di euro per rendere meno salate le bollette della luce a famiglie ed imprese. Di primo acchito verrebbe da dire: bene. Se non fosse per due questioni nient’affatto trascurabili. La prima è che lo sconto (per famiglie ed aziende) ammonterebbe, nel 2013, a 4-5 euro annuali; e, nel 2014, a 10 euro: una vera e propria presa per i fondelli. La seconda è che il provvedimento verrebbe – il condizionale è d’obbligo perché pare vi sia già un mezzo dietrofront – finanziato con l’estensione della tremontiana Robin Tax alle imprese che operano nell’ambito delle “rinnovabili” (e da una rimodulazione dei sussidi cosiddetti Cip6). Ecco. Far pagare più tasse ad alcune impese, perché altre – assieme alle famiglie – possano pagarne meno, è una sesquipedale cretinata; tanto più se i benefici si riducono ad una mancia di pochi euro. Questa misura, dunque, è semplicemente ridicola.
Passiamo, ora, al capitolo degli investimenti in infrastrutture.
Il governo è riuscito a racimolare, definanziando alcuni progetti che andavano per le lunghe a causa di intoppi burocratici, 3,2 miliardi di euro da impiegare nella realizzazione di opere, già cantierate o cantierabili, piccole e medio-grandi. Era quanto suggerivano, in campagna elettorale e in ossequio alla teoria keynesiana, d’altra parte, Bersani e Fassina: per rimettere in moto l’economia, si finanzino tante piccole opere locali.
Bene. Questi investimenti serviranno allo scopo, a rilanciare l’economia? Difficile a dirsi, visto che manca qualsiasi dettaglio sull’impatto macroeconomico che, secondo il governo, avrà la realizzazione delle opere. Di certo, invece, si può dire solo quanto segue.
Secondo la teoria neo-keynesiana, almeno per come il sottoscritto la ricorda dai manuali di Macroeconomia e Politica economica, gli investimenti in infrastrutture servono a favorire la ripresa economica, quando la domanda privata ristagna e la disoccupazione è alta, a patto che si impieghino risorse abbastanza cospicue e non le si disperda, come usa dire, in mille rivoli. Non sembra si tratti dal caso in questione: qui si hanno a disposizione 3,2 miliardi di euro, non proprio tanti quattrini, e, per di più, li si vorrebbe distribuire tra diverse diecine, o forse centinaia, di opere. Gli effetti “moltiplicativi”, dunque, secondo la stessa teoria economica che Bersani e Fassina (non certo il sottoscritto) amano, dovrebbero essere trascurabili; e tali da non poter rappresentare un traino per la ripresa.
Veniamo, adesso, ad alcune misure abbastanza buone.
La prima, sicuramente, è rappresentata dalla cancellazione, quasi totale, della supertassa sulle imbarcazioni voluta dal governo Monti: essa doveva garantire entrate all’Erario per 155 milioni di euro; alla fine ne ha portati in cassa solo 25 procurando non pochi danni al settore nautico; Letta & C., pertanto, hanno deciso di eliminarla, per i natanti fino a 14 metri, e di dimezzarla, per le barche più grandi, perché inutile per lo stato e vessatoria per i cittadini. Molto bene. Speriamo si elimini, prima o poi, anche la tassa sulle auto di lusso che, assieme alla crisi economica, ne ha prodotto il calo logaritmico della domanda. L’unica cosa che non è chiara è come si faccia a coprire finanziariamente il mancato gettito derivante dalla soppressione del balzello. Questo, il sottoscritto, almeno, non l’ha capito (perché non ne ha trovato parola negli articoli di giornale).
Altro provvedimento giusto è quello che consentirà alle imprese, grazie all’ausilio della Cassa Depositi e Prestiti, di accedere a forme agevolate di credito bancario per acquistare nuovi macchinari. Come positivi sono gli interventi volti a difendere il cittadino-contribuente dalle grinfie di Equitalia. Con favore vanno salutati: 1) La possibilità di saldare i debiti tributari con una più generosa rateizzazione; 2) L’impignorabilità della prima casa, purché non sia di lusso, per debiti tributari inferiori a 120.000 euro; 3) La possibilità di pignorare i macchinari d’impresa solo fino ad un quinto del loro valore; 4) Il superamento del sistema dell’aggio, oggi previsto nella misura dell’8%, per il pagamento dei servizi resi da Equitalia. Manca, tuttavia, la soppressione, o quantomeno il ridimensionamento, del “solve et repete”: la norma da Stato di Polizia tributaria, introdotta dal governo Berlusconi, che sta mettendo in ginocchio imprese e famiglie.
Giusta, poi, è la misura che prevede borse di studio più consistenti per gli studenti “fuori sede” meritevoli. Non altrettanto, invece, è quella che innalza – dal 20 al 50% – la soglia del turn over all’interno delle Università e che porterà all’assunzione di 1.500 professori ordinari ed altrettanti nuovi ricercatori. Non sarebbe stato meglio utilizzare le risorse stanziate, 25 milioni nel 2014 e 49,8 nel 2015, per migliorare l’offerta formativa?
C’è, poi, il capitolo Giustizia civile. Per smaltire gli arretrati, e rendere più celeri le pratiche future, il governo ha pensato a due strumenti: 1) La riesumazione della mediaconciliazione obbligatoria (cassata dalla Consulta); 2) L’assunzione, presso le Corti d’Appello, di 400 giudici ausiliari (era l’unica strada percorribile per raggiungere lo scopo?).
Passiamo alle semplificazioni.
Qui si sarebbe potuto fare davvero tanto perché il Paese è sottoposto ad un’overdose di pratiche burocratiche senza pari al mondo. Invece s’è deciso di intervenire, ad esempio, abrogando l’obbligo, gravante su alcuni soggetti come i tabaccai ed i farmacisti, di procurarsi il cosiddetto certificato di sana e robusta costituzione. Praticamente, una barzelletta. Nondimeno, qualcosa di utile si è fatto sul versante del DURC, il Documento Unico di Regolarità contributiva, che avrà validità di 180 giorni e potrà essere richiesto per via telematica, e sulla segnalazione di Inizio di Attività. Tuttavia, e come già detto, è poca roba.
Di misure ne sono state varate molte altre, ma analizzarle tutte, ad una ad una, sarebbe oltremodo oneroso, oltreché inutile: nessuna di esse, al pari di quelle descritte, infatti, pare adatta a stimolare sensibilmente l’economia del nostro paese.
Anche col decreto appena varato, insomma, s’è fatta solo ammuina.