Set 13
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La storia è questa.
Due giorni fa, dalle colonne del Corriere della Sera, Giavazzi e Alesina sono tornati a chiedere al governo di falcidiare le tasse: Letta s’impegni a finanziare in deficit un taglio di 50 miliardi al cuneo fiscale, così da portarlo al livello di quello della Germania, e poi, nei tre anni successivi, trovi una copertura strutturale alla detassazione sforbiciando, in misura eguale, la spesa corrente. Questa, la loro richiesta.
Il giorno successivo, cioè ieri, s’è fatto sentire Stefano Fassina. Il quale, sempre dalle pagine del quotidiano di Via Solferino, s’è scagliato contro la proposta: tagliare di 50 miliardi la spesa (e le tasse) è impossibile; significherebbe licenziare un milione di dipendenti pubblici (sai che tragedia!); concludendo, poi, che (la spesa) «non si deve tagliare», «si deve riqualificare e riallocare la spesa attraverso piani di riorganizzazione industriale a ogni livello di amministrazione».
Insomma, secondo il socialcomunista oggi assiso a Via XX Settembre, la spesa non si deve tagliare. E, allora, veniamo al dunque.
Matteo Renzi, per vincere la corsa alla segreteria del Pd, qualche mese fa ha deciso di cambiare linea rispetto al passato; e di spostarsi (abbastanza) più a sinistra. Per tale ragione ha “assoldato” un nuovo economista, Yoram Gutgeld, cui ha affidato il compito di redigere un programma nuovo di zecca (o quasi). Ebbene, in esso si prevede che, per dare 100 euro netti in più in busta paga a chiunque guadagni meno di 2.000 euro al mese – proposta, questa, già presente nel programma con cui Renzi s’era presentato alle primarie del centrosinistra, l’autunno scorso – occorra «ridurre la spesa pubblica di 30 miliardi in cinque anni». Questa è l’unica copertura strutturale al taglio d’imposte proposto dal Toscanaccio.
Il punto, allora, è questo. Se Fassina – che non è l’ultimo dei Carneade del Pd e di sicuro in un esecutivo capeggiato dal Sindaco di Firenze ricoprirebbe il medesimo ruolo che oggi occupa nel Gabinetto Letta, vice ministro dell’Economia – è così pervicacemente contrario all’abbattimento della spesa corrente, come potrà mai Renzi realizzare “la madre di tutte le sue promesse elettorali”, e cioè ridurre le imposte grazie ad un taglio alle uscite di 30 miliardi?
È una domanda legittima. Anche perché Fassina, su questo punto, come tanti altri suoi colleghi di partito, ha sempre avuto la medesima posizione:
«Il Pd non taglierà ulteriormente la spesa, perché va riallocata. La spesa pubblica è un fattore propulsivo dell’economia».
Questo dichiarava, un anno fa, quando al governo c’era ancora Monti, al quotidiano online Linkiesta.
È ragionevole pensare che, tra un anno o due, quando starà al governo col Toscanaccio, possa cambiare idea e accettare addirittura un taglio di 30 miliardi di euro?
Ma non prendiamoci per i fondelli, suvvia: Fassina è, fin nella midolla, uno statolatra keynesiano e socialcomunista. Per lui, come per tanti altri nel Pd, la spesa pubblica è sacra e non si deve toccare.
E, allora, come farà Renzi a ridurre le tasse ai più “poveri”? Con un bell’inasprimento fiscale a carico dei più “ricchi”?
Lo scopriremo solo vivendo (o morendo, di imposte).